7 Giugno 2025 - 10.31

Turismo termico e selfie selvaggi: elogio della villeggiatura perduta

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C’è un momento, ogni estate, in cui l’umanità perde la testa. Non tutta, ma una sua parte sempre più rumorosa, sudata e compulsiva: quella che chiamiamo turisti. Ma non i turisti di una volta, quelli con la guida del Touring in mano e l’ombrellino pieghevole; parlo dei nuovi viaggiatori digitali, pelle arrostita dal sole, zaino minimalista e sguardo fisso sullo schermo del telefono. I pellegrini del
Selfie.
È sufficiente digitare “Capri oggi” o “Venezia in tempo reale” su un motore di ricerca per vedere cosa intendo: code di esseri umani in pantaloncini corti e ciabatte di gomma, che arrancano sotto 35 gradi all’ombra per conquistare un’inquadratura coi Faraglioni o San Marco sullo sfondo e la fronte madida in primo piano.
Scene che neanche Dante avrebbe saputo immaginare nel suo Inferno, tra la bolgia dei sodomiti e quella dei barattieri.
La cosa più affascinante è che nessuno sembra davvero divertirsi.
I musei sono stipati come i treni regionali, le cattedrali trasformate in labirinti di gomiti e aste da selfie, i ristoranti pieni di clienti depressi che pagano 30 euro uno “spaghetto al pomodoro” cucinato da un moldavo sfruttato con diploma in idraulica.
Ma ehi, vuoi mettere postare una foto con l’hashtag #pastaRoma?
Poi ci sono loro, i tardoni, categoria sociologicamente interessante: uomini e donne sopra i 50 che decidono, in preda a un rigurgito adolescenziale, che non possono non visitare le Vanuatu o dormire in una capanna con tetto di banana nelle Filippine.
Li riconosci: hanno lo zaino tecnico da trekking, la GoPro sul petto e il colesterolo a 240.
Li vedi stramazzare a Petra, boccheggianti a Machu Picchu, tramortiti a Bangkok, ma felici, perché c’è il Wi-Fi e possono inviare tutto su WhatsApp alla sorella rimasta a Barbona (ridente località in provincia si Padova, sulle rive del biondo Adige)
E mentre l’industria turistica globale si frega le mani, vendendo pacchetti a peso d’oro per esperienze sempre più disumanizzate, le città muoiono.
I centri storici si svuotano di residenti per diventare fondali, Disneyland di pietra per passanti distratti. I veneziani lo avevano capito secoli fa: non si andava in vacanza, si andava in villeggiatura.
Nelle ville della terraferma, tra salici e canali, per ritrovare l’otium degli antichi Romani, lontano dalla calca, dal clamore e dal commercio.
L’overtourism non è un fenomeno: è un’epidemia culturale.
Non si viaggia più per vedere il mondo, si viaggia per dire che ci si è stati.
Il vero souvenir non è più la calamita da frigo, ma la foto dove sorridi davanti alla Gioconda che non hai nemmeno guardato.
A questo punto, mi sento di dire una cosa semplice e rivoluzionaria: statevene a casa.
Sì, proprio così.
Volete davvero rilassarvi?
Spegnete il telefonino, aprite un libro, uscite in giardino, fate due passi in collina.
Ogni location della Toscana o del Veneto, o di qualunque altro posto al mondo, è bella anche senza filtrarla in HDR.
La pace la trovate ad Abano Terme, non a Manhattan.
Se siete giovani, vi capisco. A vent’anni si deve viaggiare, si deve conoscere. Ma se avete superato i 60 e volete farvi tre scali per arrivare alle Seychelles solo per poi lamentarvi della cucina e del materasso duro… lasciate perdere.
Non siete travel influencer. Siete stanchi. E avete ogni diritto di esserlo.
Siate turisti della quiete, della lentezza, dell’invisibilità.
Tornate alla villeggiatura, quella vera, inventata proprio dai saggi patrizi veneziani per sfuggire alla confusione e ritrovare sé stessi, tra una siepe di bosso e un bicchiere di bianco fresco.
Altro che Vanuatu.
Tanto credetemi, forse ci penserà Putin, forse il cambiamento climatico, a frenare progressivamente i bollenti spiriti delle masse “vacanziere”; ma io penso che il vero “Altolà” arriverà dai cittadini che risiedono nelle località turistiche (non quelli che incassano a man bassa sodomizzando i viaggiatori), che prima o poi diranno basta, o con le buone o con le cattive.

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