3 Giugno 2022 - 8.32

Altro che compost: quando la plastica compostabile finisce in discarica

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di Anna Roscini

Negli ultimi anni abbiamo visto gli scaffali dei supermercati sempre più invasi da prodotti monouso in plastica compostabile, ovvero realizzati, almeno parzialmente, modificando chimicamente polimeri naturali derivanti, ad esempio, da canna da zucchero o mais. Che “sollievo”, quando la plastica sembra ecologica. Se non fosse che, secondo l’indagine “Altro che compost” di Greenpeace, molto spesso la plastica compostabile finisce comunque in discarica o negli inceneritori. Il motivo? Secondo i dati del Catasto dei rifiuti di ISPRA, ben il 63% della frazione organica è inviata in impianti non capaci di trattare la plastica compostabile. Spesso gli impianti di compostaggio si trovano infatti ad operare con tempi decisamente inferiori rispetto a quelli che servirebbero per degradare le plastiche compostabili. Sebbene tutti i prodotti monouso, come posate e piatti in plastica biodegradabile, in Italia vengano smaltiti nell’umido, hanno in realtà una capacità di degradazione molto diversa rispetto ai tradizionali rifiuti organici. «Una situazione conseguenza dell’impiantistica non sempre adeguata – commenta Greenpeace – ma anche dell’evidente scollamento tra le certificazioni sulla compostabilità e le reali condizioni presenti negli impianti. […] I risultati dell’inchiesta gettano ancora più dubbi sull’operato dell’Italia che da anni incentiva la sostituzione delle plastiche fossili con quelle compostabili, lasciando inalterata la logica del monouso i cui impatti risultano sempre più devastanti». «Gli impianti oggi esistenti sono stati progettati per trattare prevalentemente rifiuti biodegradabili di cucine e mense o di giardini e parchi – dichiara Utilitalia, la Federazione che riunisce le aziende operanti nei servizi pubblici della gestione di rifiuti, acqua, ambiente, energia elettrica e gas -; non certo bioplastiche».

Il monouso inquina sempre: quando l’ambiente non è usa e getta

Lo scorso 14 gennaio in Italia è entrato in vigore il Decreto legislativo 8 novembre 2021 n.196 di recepimento della Direttiva europea SUP (Single Use Plastic) sulle plastiche monouso. In linea con il resto degli stati membri, anche in Italia sono stati messi al bando prodotti in plastica monouso (posate, piatti, cannucce, bastoncini cotonati, ecc.), escludendo però gli articoli realizzati in plastica biodegradabile e compostabile. Prodotti che, nella direttiva comunitaria, sono considerati come le plastiche tradizionali, derivate da combustibili fossili. Il provvedimento italiano consente infatti, per ciò che concerne i prodotti che entrano in contatto con gli alimenti, di aggirare il divieto europeo ricorrendo ad alternative in plastica biodegradabile e compostabile. Non solo, il decreto legislativo, prevede che la normativa non si applichi ai rivestimenti in plastica inferiori al 10% del peso totale. Categoria di prodotti per la quale l’Europa non ha mai fatto alcuna distinzione. Se la legge non viene modificata, seguendo le indicazioni europee, si rischia una vera e propria procedura d’infrazione. «Le pubblicità, le etichette che dichiarano la compostabilità dei prodotti e, in Italia, l’obbligo di gettare questi articoli nell’umido: tutto concorre a immergere il consumatore nel greenwashing – commenta David Wilken dell’Organizzazione tedesca per la garanzia della qualità del compost (BGK) -, fino a fargli credere che un piatto compostabile avrà lo stesso destino di una mela. Peccato che la realtà sia molto diversa».

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