11 Maggio 2021 - 17.13

Rapporto Cave 2021 di Legambiente, la situazione del Veneto

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Il “Rapporto Cave 2021. La transizione dell’economia circolare nel settore delle costruzioni” presentato da Legambiente oltre a presentare un quadro preciso della situazione cave, dimostra come rinviando le scelte ci precludiamo lo sviluppo di innovazioni che sono già pronte e che le tante buone pratiche raccolte nel Rapporto dimostrano. Si può arrivare a recuperare il 99% di materiali dalle demolizioni selettive di edifici, da riutilizzare e trasformare creando nuove imprese nei territori. Possiamo trasformare rifiuti provenienti dalla siderurgia e dall’agricoltura in materiali da usare nei sottofondi stradali e nella creazione di mattoni, creare intere filiere di materiali e isolanti ad impatto zero, rifare centinaia di km di superfici stradali, piste ciclabili, aeree aeroportuali, con materiali riciclati al 100%.

Se questo è possibile, la transizione verso un modello circolare va accelerata coinvolgendo il mondo delle costruzioni. Non è più il momento di difendere lo status quo, ma piuttosto di contribuire a riscrivere le regole di progettazione e di appalto, di cantiere, di recupero e riciclo dei materiali. Gli studi evidenziano come nel settore degli inerti la filiera del riciclo garantisca almeno il 30% di occupati in più a parità di produzione.

In Veneto, la recente L.R. 13/2018 ha portato miglioramenti nel quadro normativo regionale in materia di cave. Infatti, oltre ad escludere le aree non comprese nel Piano Cave (P.R.A.E) di cui finalmente la Regione si è dotata, vengono posti dei limiti importanti alle attività estrattive, con divieti assoluti di escavazione, ad esempio, in aree costiere soggette ad erosione, in ambiti naturalistici di livello regionale, in aree di importanza geologica e di interesse storico-culturale, o con vincoli di natura idrogeologica. Ma nonostate questo il Veneto resta tra le Regioni che autorizzano di più e che presentano un maggior numero di siti destinati alle attività estrattive: sono infatti 419 le cave autorizzate ad estrarre un totale di 4.830.000 metri cubi di inerti, mentre sono 1200 quelle dismesse o abbandonate. Molto elevati i numeri per l’estrazione di sabbia e ghiaia che con 3.200.000 metri cubi estratti: oltre un terzo del totale degli inerti estratti in Veneto.

Da notare come rimangono incredibilmente basse le sanzioni previste dalle norme regionali nei casi di coltivazione illegale, abusivismo, inosservanza delle prescrizioni previste dalle suddette leggi e per la mancata comunicazione dei dati. In Veneto infatti la sanzione viene applicata in base al valore commerciale del materiale cavato illegalmente. Un approccio decisamente troppo bonario verso le attività criminali.

Passi avanti grazie alla legge regionale 13/2018 sono stati fatti anche per quanto riguarda il ripristino delle cave dismesse, aspetto troppo a lungo trascurato. Oggi le azioni richieste risultano più dettagliate, da compiersi sia in fase di esecuzione dei lavori di coltivazione sia alla loro conclusione, per una ricomposizione ambientale che deve prevedere la sistemazione idrogeologica dei suoli, la ricostituzione degli aspetti ambientali, paesaggistici e naturalistici dell’area e che vieta di trasformare i siti estrattivi in discariche di rifiuti. Tutti aspetti che per Legambiente dovranno essere monitorati con cura da parte degli amministratori locali coinvolti dalla presenza di queste attività nel loro territorio.

Le entrate annue derivanti da canoni di concessione mostrano livelli ancora bassi, nonostante un generale lieve aumento dei canoni semplicemente adeguati al tasso di inflazione, In un contesto di questo tipo possono cantare vittoria solo gli operatori del settore, forti dell’alibi della crisi economica per il comparto che ci accompagna ormai dal 2008, che ogni anno vedono al contrario un giro d’affari di miliardi di euro per il solo comparto degli inerti.

Il canone regionale per l’estrazione di sabbia e ghiaia infatti ammonta a 2.016.000 euro mentre quello da attività estrattive con prezzi di vendita è di 51 milioni 200mila euro: la  percentuale delle entrate derivanti dai canoni rispetto al prezzo di vendita è del 3,9%: un gap economico pubblico che si aggiunge alla perdita del patrimonio naturale.

Ma a destare preoccupazioni è la recente autorizzazione rilasciata dalla Regione per lo scavo di Cava Morganella che prevede il prelievo di ulteriori 4 milioni di metri cubi di ghiaia tra Ponzano Veneto e Paese in provincia di Treviso. Una cava che scenderà fino a 60 metri di profondità aumentando fino al 50% il suo volume di sfruttamento. Il progetto, dopo 13 anni di stop, riaccende la i riflettori su una delle cave più datate e più grandi d’Europa a cui è ancora concesso di scavare sotto falda in violazione dell’attuale legge regionale 13 del 2018 sulle cave, poiché autorizzata precedentemente all’entrata in vigore della precedente legge regionale 44 del 1982 che ha regolamentato il settore. Oggi la cava ha già raggiunto la profondità di 40 metri causando l’emersione della falda e la creazione di un enorme lago di circa 500 mila metri quadrati. Molte sono le ombre sul passato di questa cava che è già stata oggetto di condanna passata in giudicato per uno sversamento di rifiuti nella falda affiorante. Sul fondo sono stati individuati nel 2012 dei materiali sulla cui pericolosità non vi sono al momento certezze, ma da allora non sono state fatte verifiche, nonostante un ordine del giorno approvato dal Consiglio Regionale le avesse raccomandate. In questo allarmante contesto i circoli territoriali di Legambiente e molti cittadini stanno cercando di opporsi all’iter delle autorizzazioni, chiedendo approfondimento rispetto al rischio di compromissione delle acque di falda e dei pozzi a valle della cava stessa a cui attingono 52 Comuni del trevigiano. Per fare chiarezza su questa opaca vicenda Legambiente ha effettuato richiesta di accesso a tutta la documentazione in possesso della regione riguardante Cava Morganella. Atti da qualche giorno finalmente in possesso dell’associazione e che verranno esaminati con estrema attenzione per valutare ogni azione utile a scongiurare le doverose preoccupazioni della cittadinanza, a tutela del patrimonio idrico in un’area vulnerabile e ricca di risorgive, già colpita dalla drammatica vicenda dell’inquinamento da Pfas che ha compromesso le acque potabili di 300mila persone.

La sfida dei prossimi anni è la rigenerazione delle città, la riqualificazione energetica e antisismica del patrimonio edilizio e in questa prospettiva si può rilanciare il settore delle costruzioni solo puntando su qualità, sostenibilità, recupero e riciclo dei materiali. Per questo Legambiente chiede poche ma decise mosse alla Giunta Regionale: 1) Rafforzare la tutela del territorio con maggiori controlli sulle attività estrattive e cave dismesse o in corso di ricomposizione ed eliminare le  previsioni di nuovi prelievi regolando al meglio la gestione dei materiali già cavati; 2) Stabilire un canone per le concessioni di cava più elevato, come nel Regno Unito pari al 20% del valore di mercato, perché la strada dell’economia circolare passa per una revisione della fiscalità e in tutti i Paesi europei l’aumento dei canoni per le attività estrattive e per il conferimento a discarica degli inerti è stato il volano per la riorganizzazione e modernizzazione del settore verso il riciclo. 3) Ridurre il prelievo da cava attraverso il recupero degli inerti provenienti dall’edilizia e dal riciclo di rifiuti da utilizzare in tutti i cantieri, perché è vantaggioso per il paese e le imprese; per questo serve ridurre il conferimento a discarica, rendere economicamente vantaggioso l’utilizzo di materiali provenienti da recupero e riciclo a fronte di quelli provenienti da cava, facilitare il recupero, riciclo e riutilizzo in edilizia di rifiuti provenienti da tutti i settori e garantire sbocchi di mercato a questi materiali. Tutti fronti su cui la Regione sta già lavorando e da cui non può emarginare il settore delle attività estrattive.

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