28 Giugno 2022 - 10.09

Parlare all’elettore che non vota

La lezione di Verona porta con sè un’agenda naturale per la politica. Ora si tratta di vedere se i leader, anche locali, decideranno di leggerla e farla diventare la propria bussola per non rifare gli stessi errori o se ne faranno altri di ancora più gravi andando ad ingrossare il serbatoio del non voto.
A leggere la cronaca del day after veronese, l’impressione che se ne ricava non è confortante.
Il centrosinistra esulta – per certi versi giustamente – per la vittoria netta di Damiano Tommasi, il centrodestra, invece che pentirsi dei propri errori surreali, scatena la caccia al colpevole (Tosi, Sboarina, Salvini, Meloni e tra un pò la sfiga universale). In realtà ci si dovrebbe chiedere purché la politica, neanche più quella locale, non scalda il cuore dei cittadini o appassiona. Se un elettore su due, anche nelle città, decide di abbandonare il suo diritto a scegliere da chi farsi governare è perchè ha perso la speranza di cambiare il quadro o forse perchè il mercato della politica non offre più idee, progetti, visioni di città che appassionino. Poveri di contenuto i programmi ed i leader che ne sono espressione, ma anche povero il mercato che offre poca scelta al cittadino. Una buona politica dovrebbe interrogarsi sui propri errori e trovare nuove strade, invece da troppo tempo si insiste con la cultura dell’alibi. Soprattutto per se stessi. All’indomani di una sconfitta così pesante per il Centrodestra sarebbe corretto che qualche leader pensasse alle dimissioni, ma sembra che nessuno sia disposto a farlo, e ci siamo abituati, sbagliando, che se anche si perde, la classe dirigente non si assume la responsabilità della sconfitta, restando testardamente al proprio posto e negando ogni addebito.
Finita cosi assurdamente la battaglia su Verona, si comincia già a parlare di Vicenza, prossimo test per ridefinire una proposta seria al cittadino, soprattutto a quello che non vota – che in maggioranza è orfano dell’antipolitica grillina quanto di un centrodestra che esca dalle rendite di posizione -. L’agenda di Francesco Rucco, che peraltro non ha ancora sciolto la riserva sulla ricandidatura, dovrebbe partire da Verona per non fare a Vicenza, gli errori inguardabili di Sboarina, Tosi e dei loro capi. Dovrebbe dichiarare cosa non ha funzionato in questi anni e come mettere a terra un nuovo racconto per la sua città che superi gli schemi classici destra-sinistra e magari parli delle cose da fare e di quelle da sistemare, parlando più che ai politici, sempre più marginali, a Vicenza, una realtà profondamente mutata dopo la claustrofobia del covid e in attesa di un progetto che emozioni e ci faccia tornare la voglia di votare.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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