3 Giugno 2022 - 10.20

Lo scontro del Sud Pacifico: le ragioni di un Risiko pericoloso

di Umberto Baldo

Quando ero ragazzo, verso i primi anni ’60, il ricordo della seconda guerra mondiale non era ancora dimenticato, soprattutto perchè era ancora in vita la maggioranza di coloro che la guerra l’avevano combattuta.
E sicuramente non è un caso se proprio in quel periodo ci sia stato un fiorire di collane di giornalini a fumetti a tema bellico, fra cui ricordo in particolare “Collana Eroica” prodotta dalla casa editrice Dardo.
Certo raccontavano tutte storie a tema, a senso unico, in cui i buoni erano sempre buoni ed i cattivi sempre cattivi. Non ricordo infatti un episodio in cui a vincere fossero i tedeschi, chiamati spregiativamente “boche”, o i giapponesi, definiti “musi gialli”.

Francamente dei militari italiani non si parlava quasi mai, ma le trame erano elaborate in Italia, e probabilmente non si voleva denigrare le nostre forze armate.
Gli scenari delle storie erano ovunque, dall’Europa al Mediterraneo all’Atlantico.
Ma quelle che mi piacevano di più, forse per l’esoticità dei luoghi, erano le battaglie ambientate nel Pacifico.
Grazie a Collana Eroica nomi come isole Salomone, Midway, Marshall, Iwo Jima, Okinawa, facevano allora parte del nostro immaginario di ragazzi.
Questi particolari mi sono riaffiorati alla mente seguendo le manovre espansionistiche della Cina in quell’area del mondo, che stanno riportando agli onori della cronaca quei nomi, che evocano piccoli paradisi tropicali, portabandiera olimpici a torso nudo, e appunto sanguinose battaglie della Seconda Guerra Mondiale.
Ma anche isole in una posizione strategica chiave per fornire l’accesso al Pacifico meridionale (o bloccare corsie marine vitali), a breve distanza dall’Australia, per decenni il grande protettore regionale.
Vi ho sempre detto che la Cina è una potenza con una classe dirigente che guarda lontano, che non ama gesti eclatanti, che sa essere paziente, ma che non molla mai l’osso.
La sua è una politica tentacolare, che tende ad espandere la sua influenza in tutte le aree geopolitiche del mondo, che si presenta sempre con piani di investimento sostenuti dai capitali cinesi, che ovviamente nascondono una contropartita politica.
A questa logica risponde senza dubbio la “Belt and Road Initiative”, meglio nota come Nuova Via della Seta, iniziativa strategica per il miglioramento dei suoi collegamenti commerciali con i paesi dell’Eurasia, e che coinvolge l’Asia centrale, l’Asia settentrionale, l’Asia occidentale, i Paesi e le regioni lungo l’Oceano Indiano, e il Mediterraneo.
E in questa stessa logica si inserisce il nuovissimo “China-Pacific Island Nations Joint Development Vision”, un piano di collaborazione inviato nei giorni scorsi ad una dozzina di Governi del Sud Pacifico, di cui siamo venuti a conoscenze grazie alla Reuters.
Questa iniziativa segue e cerca di ricalcare un patto già siglato dai cinesi con il Governo delle Isole Salomone, che ha messo in allarme rosso americani, giapponesi, australiani e neo-zelandesi, perchè potrebbe aprire la strada ad una base militare permanente cinese nell’arcipelago, ad appena duemila chilometri dalla costa australiana.
Con la calma dei grandi tessitori il ministro degli Esteri cinese Wang Yi aveva scelto di lanciare il “patto per il Pacifico” dalla capitale delle isole Fiji, tappa centrale del suo tour nella regione che comprendeva anche Micronesia, Samoa, Tonga, Kiribati, Papua Nuova Guinea, Vanuatu, Timor Est, Salomone, Niue.
Pechino propone una «visione di sviluppo comune» per la creazione di una zona di libero scambio, che prevede anche accordi su pesca, tecnologia, turismo, commercio, agricoltura, aviazione civile, istruzione, addestramento delle forze di polizia, e soprattutto in materia di sicurezza “tradizionale e non tradizionale”.
Capite bene quanto questo “tour” del capo della diplomazia del Dragone possa aver messo in allarme gli Stati Uniti e i loro alleati nell’area, Australia in primis.
E per rendersene conto non occorre certo essere dei grandi esperti di politica internazionale.
Basta semplicemente aprire una cartina geografica appunto sul Pacifico meridionale, per accorgersi che si tratta di un’area marina sconfinata, in cui ci sono migliaia di piccole isole, arcipelaghi, atolli, paradisi tropicali che dal punto di vista economico non sono certamente delle potenze, ma che sono però di importanza vitale per gli Stati che da sempre vi esercitano un’influenza politico-militare, vale a dire Usa e Australia.
Ecco spiegato perchè il dinamismo cinese, e l’intenso corteggiamento di Pechino verso i micro Stati di quest’area, terrorizzino Washington, Camberra, Tokio e Wellington, che temono uno spostamento dell’allineamento geopolitico di queste Nazioni verso l’orbita cinese.
Pensate all’effetto che avrebbe la costruzione di basi militari cinesi in quella zona.
E non va trascurato il fatto che i Paesi del Sud Pacifico sono sempre stati tradizionalmente alleati diplomatici di Taiwan, e capite bene quanto Xi Jinping ed i governanti cinesi siano interessati a rompere questi legami storici, in funzione di una riconquista da parte di Pechino dell’ isola di Formosa.
Non stupisce quindi se Usa ed Australia abbiano messo in piedi in fretta e furia una controffensiva anti cinese.
Che qualche risultato lo ha dato nell’immediato, visto che Wang Yi sembra non sia riuscito a convincere fino in fondo i Paesi destinatari del “Patto per il Pacifico” della bontà dell’ amicizia cinese.
Infatti, dopo le perplessità e le marce indietro dei giorni scorsi di Micronesia e Fiji, anche le altre nazioni (Samoa, Tonga, Kiribati, Papua Nuova Guinea, Vanuatu, Salomone, Niue) hanno deciso di mettere l’accordo “in pausa” e prendersi più tempo per riflettere, chiedendo per di più delle modifiche.
Il tempo ci dirà se questa politica di contenimento anti cinese abbia funzionato, o se si tratti solamente di una “toppa” destinata a riaprirsi.
Resta il fatto che, come accennavo, i cinesi non sono usi a colpi di testa come quello di Vladimir Putin in Ucraina.
Il loro imperialismo sembra apparentemente più blando, meno invasivo, anche se in realtà mette il cappio al collo ai Paesi che accettano i piani di sviluppo ed i soldi di Pechino.
E poiché, come sostengo da tempo, il vero confronto fra Usa e Cina non sarà in Europa ma nell’area Indo-Pacifico, i cinesi faranno l’impossibile per aumentare la loro presenza in quelle isole, perchè sanno che lì si giocherà il futuro assetto del mondo.
Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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