13 Ottobre 2021 - 10.09

Le tristi infanzie di una volta…

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di Alessandro Cammarano

“Ah quanto si stava meglio una volta!”, mantra di coloro, non pochissimi in verità, che vagheggiano un passato felice in stile “Anche se eravamo poveri” e nel quale “Beati noi che sapevamo divertirci con poco” era un imperativo assoluto.

Per carità, i bei tempi andati conservano il loro fascino ma il loro vagheggiamento fa sì che siano troppo spesso idealizzati oltre misura facendo assurgere un passato talora non eccessivamente roseo a livelli di uno Shangri-La inestistente il tutto a scapito di un presente che sotto moltissimi aspetti è decisamente migliore.

Pensiamo, ad esempio, a quanto sia cambiato l’insegnamento soprattutto nei primi anni scolastici – diciamo fino al ciclo medio inferiore – rispetto a quel che generazioni di sventurati allievi erano costretti ad imparare: cose tristissime.

I libri di testo attuali propongono, in particolare per i più piccoli, letture incentrate sul rispetto degli altri, sulla comprensione delle diversità e via dicendo, il tutto con un linguaggio capace di far comprendere immediatamente il testo e solitamente facendo fare anche qualche risata.

Fino a non troppi anni fa i poveri studenti elementari e medi si sorbivano stralci atroci del libro “Cuore”, in cui il cattivo della classe era ovviamente di famiglia povera e “socialista”, mentre il fighetto inamidato e dai quaderni impeccabili proveniva da famiglia agiata e devotissima. Per la serie “siamo tutti uguali”.

A Garrone e a Franti venivano ammannite – romanzo nel romanzo – atroci ed “edificanti” letture mensili come “La piccola vedetta lombarda”, bimbo impallinato dai malvagi austraci, o “L’infermiere di Tata”, che scopre il suo vero padre curando il padre finto, o ancora “Sangue romagnolo” e “Dagli Appennini alle Ande”; roba che se il pargolo educando non aveva personalità sufficientemente forte da non farsi influenzare rischiava di diventare come il De Amicis, che quando tornava dal bordello menava la moglie.

Sono migliorate parecchio anche le uscite culturali – che carini sono i bimbi a passeggio con i loro insegnanti e tutti col cappellino uguale che si vedono oggi –, un tempo più vicine ad una punizione che non a un premio.

Oggi i piccoli delle elementari vengono portati a visitare fattorie didattiche dove finalmente imparano che il pollo prima di essere pepita ha una sua vita propria e che il latte va munto da apposita mucca prima di finire nel Tetrapack™, così come la lana del maglione prima era addosso a una simpatica pecora.

Un tempo, toccò anche a me, la gita in campagna si riduceva a una passeggiata al bordo di campi nebbiosi di sorgo ingozzato di anticrittogamici in confronto ai quali le foreste del Vietnam irrorate dai Tomahawk statunitensi erano centri benessere e con il rischio costante di essere investiti da Fiat 850 o da A112.

Terrificanti anche le gite scolastiche con meta l’immancabile “Minitalia”, che non sarebbe stata male se visitata in primavera ma dove invece si veniva portati a novembre inoltrato, partenza all’alba come coscritti, con temperature siberiane e panino con la mortadella a seguito. Solitamente si tornava raffreddati e si doveva pure scrivere il temino “Una giornata indimenticabile”.

Anche il versante musicale presentava risvolti tragici: se all’asilo le filastrocche erano passabili, seppur con punte notevoli di demenzialità, alle elementari si imparavano i canti di trincea tipo “Ta- pum Ta-pum” o “Il testamento del capitano” dove l’ufficiale morente chiede di essere cannibalizzato a favore di vari destinatari a lui cari. Pensa che felicità per una fidanzata o una mamma ricevere un pacchetto in stile “anonima sequestri” con un piede del congiunto.

E come dimenticare le “applicazioni tecniche” per i maschietti e l’”economia domestica” per le femminucce? Perché si sa: gli uomini vanno in fabbrica e le donne stanno a casa a badare alla famiglia. La tristezza.

Una cosa sola, una, è da rimpiangere: le poesie, seppure lacrimevoli ma tanto edificanti, si imparavano a memoria. Che “Pianto antico” è un capolavoro l’ho capito all’università, intanto però l’avevo imparata alle medie e ancora me la ricordo.

Alessandro Cammarano

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