20 Ottobre 2022 - 10.34

Gohar Eshghi a 80 anni sfida il regime iraniano togliendosi lo hijab

di  Umberto Baldo

Guardando in video il gesto di Gohar Eshghi il pensiero non poteva non riandare alle donne della tragedia greca; a Medea, a Fedra, ad Antigone, ad Elettra, ad Ecuba, ad Ifigenia.

O in tempi più recenti alle Madres de Plaza de Majo che negli anni bui della dittatura argentina, dopo aver vissuto il dolore più lancinante, la perdita di un figlio, non sono rimaste sole e confinate a rimuginare la propria sofferenza, ma nel pianto comune, nella protesta civile, hanno riversato il loro amore su tutti i ragazzi desaparecidos, fino a renderlo invincibile.

E fu  proprio il loro amore per i figli ed i mariti a spingerle a sfidare la morte per mano degli scherani della Giunta militare, e a lottare per la loro memoria, per la verità, per la giustizia.

Allora vennero chiamate pazze, terroriste, streghe, bestie snaturate, ma ogni giovedì loro ritornavano a sfilare in Plaza de Majo a Buenos Aires, trasformando i loro stessi corpi in oggetti di protesta e sovversione, resistendo alla distruzione fisica e morale operata dal potere militare.

E passati oltre quarant’anni vale ancora la pena di riprendere il motto che  queste madri e nonne amavano ripetere: “le lotte per il bene non sono mai perse. La sconfitta è restare inermi”.

Questo stesso messaggio, quasi si trattasse di un testimone, è stato ripreso appunto da una donna di 80 anni, una nonna per il nostro immaginario, che a migliaia di chilometri di distanza, in Iran, sta sfidando il regime teocratico, oscurantista e misogino degli Ayatollah

Gothar Eshghi era la madre del blogger Sattar Beheshti, ucciso in carcere nel 2012 senza che la famiglia potesse avere informazioni, dopo essere stato arrestato dall’unità iraniana della polizia informatica perché attaccava il regime per il trattamento dei detenuti nelle prigioni, fatto di minacce, torture, sparizioni e uccisioni misteriose.

Gohar non accettò mai la morte, meglio dire l’assassinio del figlio, e continuò a protestare, tanto che nel 2021 venne aggredita e picchiata da sconosciuti mentre andava a visitare la tomba di suo figlio.

Ebbene Gohar, dopo una intera vita  passata indossando l’hjiab, in un gesto estremo di protesta si è seduta sul tappeto del soggiorno di casa sua e tenendo in mano la foto del suo ragazzo assassinato dal potere dieci anni, fa si è fatta filmare mentre si scopriva i lunghi capelli grigi.

Accompagnando questo gesto, che nell’Iran attuale è non solo provocatorio ma addirittura blasfemo, con le parole “Per i nostri giovani, dopo 80 anni, a causa di una religione che sta uccidendo le persone, mi tolgo il mio hijab. Maledico i codardi. Se mi ascoltate, scendete nelle strade. Siete codardi se non lo fate”.

Il video, nonostante il regime abbia oscurato Internet, rilanciato dalle trasmissioni della BBC in lingua farsi, in breve è diventato, come si usa dire, virale.

Guardatelo questo video in Rete, perdete qualche minuto, vi assicuro che ne vale la pena!

Perché nel gesto di Gohar,  in quello scoprirsi la testa, in quella sua canizie ostentata, c’è un  qualcosa di simbolico, oserei dire di gandhiano; una protesta non violenta contro un regime che calpesta ogni diritto delle donne in nome della religione.

Nel video in questione non ha urlato Gohar, non ha inveito, ha solo mostrato la sua fragilità di una ottantenne provata dalla vita e dal dolore, ma è proprio quella fragilità che commuove, e che ha emozionato l’Iran scosso ormai da settimane di proteste.

Un gesto inedito se compiuto da una donna anziana, che le autorità potrebbero pensare invece piegata al volere della Repubblica Islamica, ma che invece si pone in perfetta continuità con altre azioni a cui tutto il mondo ha assistito in questo mese di proteste: hijab strappati, bruciaticapelli ben in vista, tagliati  simbolicamente da tante, tantissime donne, non solo iraniane.

Nonostante l’indignazione montante, la mano dura della repressione, nel frattempo, continua a macinare vittime: dall’inizio delle manifestazioni sarebbero oltre 220 le persone uccise; ultima la giovanissima Asra Pahani, studentessa di 16 anni picchiata a morte perché, assieme ad altre compagne di classe, si era rifiutata di cantare un inno dedicato alla guida suprema Ali Khamenei.

Ma diventa sempre più lunga la lista di migliaia di persone arrestate, che dal carcere potrebbero non uscire mai, o solo dopo tremende torture.

Non so se le proteste degli iraniani avranno uno sbocco.

Probabilmente no, perché non esiste né dentro né fuori il Paese qualcuno che possa fare da catalizzatore alle rivolte, per trasformarle in proposta politica.

Ma questo non toglie nulla, anzi ingigantisce il gesto di Gohar, ed il suo togliersi lo Hijab diventa un simbolo di civiltà, di libertà, di tolleranza, contro la barbarie, l’oscurantismo, la teocrazia.

Fra qualche giorno ci saremo dimenticati di Gohar, presi da altre cose, da altre notizie, ma il suo atto di coraggio, di sfida, resterà comunque nella memoria storica, al pari delle eroine delle tragedie greche, delle madri e delle nonne de Plaza de Majo, e di tutte le donne, nessuna esclusa, che nel corso dei secoli hanno combattuto per la loro dignità e la loro libertà.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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