5 Maggio 2020 - 9.23

30 anni fa la liberazione di Carlo Celadon: il sequestro più lungo della storia d’Italia

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GUARDA ANCHE: “800 GIORNI” – IL FILM SUL RAPIMENTO CELADON CHE HA CONQUISTATO LA CRITICA: INTERVISTA AL REGISTA DELLAI

È il 25 gennaio 1988 e l’Italia vive ancora la stagione calda dei sequestri cominciata negli anni Settanta. Proseguono senza sosta i rapimenti messi in atto in tutta Italia (quasi 500 tra la metà degli anni 70 e gli 80) dalla ‘ndrangheta e da altre organizzazioni malavitose note sotto il titolo di Anonima sequestri – tra le più conosciute la famigerata Anonima Sarda.
Quel 25 gennaio 1988 è un lunedì, e in una villa di Arzignano, abita la famiglia Celadon. L’aggressione avviene in serata: quattro delinquenti irrompono nell’abitazione; due armati tengono a bada le vittime, mentre altri due li legano con corda e bende. Poi gli aggressori prendono Carlo, diciott’anni, figlio di Candido, lo ficcano nel bagagliaio di un’auto e scappano.
Così comincia il sequestro Celadon, quello che rimarrà il più lungo della storia d’Italia.

Il procuratore capo della Procura di Vicenza Ferdinando Canilli decide per l’isolamento della famiglia del sequestrato cui vengono congelati i beni (provvedimento divenuto legge dal 1991) per impedire ogni richiesta di riscatto, secondo il modus operandi dei malavitosi.
La richiesta infatti arriva pochi giorni dopo: 4 miliardi, tanto chiedono gli anonimi sequestratori per liberare il giovane Carlo che effettivamente, e si saprà dopo, si trova già nascosto sull’Aspromonte. La magistratura non risponde alla richiesta, mentre le ricerche proseguono a tappeto.

Dall’altra parte i rapinatori si chiudono in un lungo silenzio che non fa presagire nulla di buono. A luglio, finalmente, arriva una foto di Carlo: è incatenato, ma vivo.
I Celadon affidano le loro speranze a un avvocato di origini calabresi che a suo dire saprebbe come entrare in contatto con i sequestratori. Nel mese di ottobre l’avvocato scende a Reggio Calabria con una somma di tre miliardi fornita dal signor Candido Celadon. L’enorme somma è pronta per essere consegnata alla banda che ha rapito Carlo. Ma non accade nulla, nessuno si fa vivo.

Sul finire dello stesso mese di ottobre sono i fratelli di Carlo, dopo private ricerche, a incontrarsi con alcuni esponenti della malavita calabrese ai quali consegnano ben cinque miliardi. Riscatto pagato, ma Carlo non viene liberato. Subito dopo il pagamento le forze dell’ordine riescono però ad arrestare quattro persone implicate nel rapimento del giovane.
Le indagini, seppur lentamente, avanzano. Nel frattempo arriva una nuova richiesta a Candido Celadon: se l’industriale veneto vuol rivedere il figlio deve sborsare altri cinque miliardi. I contatti continuano mentre si arriva al 1990: Carlo Celadon è sotto sequestro chissà dove da due anni.

È trascorso troppo tempo e i rapinatori sentono ormai il fiato sul collo di polizia e carabinieri. Decidono perciò di liberare Carlo in cambio di un’ultima consegna di due miliardi. Il signor Celadon accetta e la notte del 2 maggio 1990 consegna a mano sui monti di Piminoro dell’Aspromonte la consistente ultima quota.

Il 4 maggio, dopo 831 giorni di sequestro, Carlo Celadon viene liberato su una stradina dell’Aspromonte, a Piano dello Zillastro, tra i comuni di Oppido Mamertina e Platì.
Il ragazzo viene ritrovato la mattina successiva, il 5 maggio. È irriconoscibile, con una lunga barba, senza forze e con le ossa che spingono contro la carne. Ha perso trenta chili da quel gennaio 1988. Oltre alla violenza fisica Carlo Celadon subì anche della pesante violenza psicologica: i carcerieri, durante quegli infiniti 831 giorni passati in catene, lo convinsero che si trovava ancora lì perché il padre non aveva intenzione di pagare per la sua liberazione.

LA FESTA DI UN’INTERA CITTA’ RACCONTATA SULLE PAGINE DI LA REPUBBLICA DEL 5 MAGGIO 1990

“E’ stata dura, papà. In certi momenti ho creduto davvero che non ce l’ avrei mai fatta, che non sarei mai tornato a casa. Ho pensato persino che voi mi aveste abbandonato, che nessuno più si sarebbe ricordato di me. Ho sofferto molto, ho passato dei momenti molto bui, ma per fortuna adesso tutto è finito. E non vedo l’ ora di tornare a casa. Le prime parole Sono le prime parole di Carlo Celadon, poco dopo la sua liberazione […] “Papà, sono libero!. Carlo, Carlo! singhiozza il padre, incredulo. Intanto Arzignano scende in piazza. Escono tutti dalle case, piangono e si abbracciano. C’ è chi canta e chi salta di gioia. Poi con le macchine fanno dei caroselli intorno alla piazza. I vigili urbani devono riprendere servizio per regolare il traffico. Arzignano sembra Napoli il giorno della festa dello scudetto. Il parroco suona le campane a distesa e subito rispondono anche tutte le chiese della valle del Chiampo. Si forma un lungo corteo fino a casa Celadon ed i compagni di scuola preparano grandi cartelli di benvenuto. Il sindaco, Severino Trevisan, stringe le mani a tutti. Angela Marcon, la custode del municipio, lo abbraccia, in lacrime. L’ incubo, che era cominciato la notte del 25 gennaio 1988 quando un commando di uomini armati e mascherati fece irruzione nella villa di famiglia, che sorge sul colle di San Pietro, qualche chilometro fuori del paese, finisce all’ improvviso in questa tiepida notte di maggio. Nel salotto di casa Celadon tutte le luci sono accese, c’ è un’ eccitazione incredibile. Dalle grandi vetrate che guardano la valle si vede la gente, che ha saputo alle dieci della sera la notizia della liberazione di Carlo, che arriva dal paese. Sono in migliaia, è tutto Arzignano che, in testa il sindaco, va in pellegrinaggio a piedi fino a casa del rapito. In salotto, col padre di Celadon, ci sono i fratelli Gianni e Paola, e la zia Luisa con un fratello. Sono stati informati della liberazione di Carlo appena un quarto d’ ora prima che il ragazzo telefonasse a casa. Carlo Celadon, dalla Calabria, vuole parlare con tutti, è emozionatissimo. Racconta che la sua prigionia è stata dura, che temeva di non farcela, che aveva paura che non l’ avrebbero mai liberato”. 

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