31 Marzo 2014 - 17.00

Scoop: Maniero, ecco l’ex boss della Mala del Brenta oggi

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(Felicetto oggi)

di Alessandro Ambrosini-

Molti, nella mia città, mi chiedono perché riaprire il focus su Felice Maniero. Considerato quasi un Robin Hood padano, Felix o Feli o il Cotoea, è nella realtà il prodotto di uno stranissimo intreccio politico-istituzionale-criminale che, oltre 20 anni fa, ha contribuito a creare la famosa “Locomotiva d’Europa”: il Veneto.

Quello che rimane poco evidente, per i più distratti, è che il boss della Mala del Brenta è stato nella realtà alla stessa stregua di un Totò Riina, di un Raffaele Cutolo, di un Bernardo Provenzano. Non è frutto di una esagerazione. Tanto quanto questi boss, Maniero, ha seminato in un terreno fertile, ciò che di peggio ci si può aspettare per un popolo. O per meglio dire, per una grossa fetta di questo: l’omertà. Parola che si usa solitamente nelle vicende “siciliane” o meridionali, in genere. Niente di più falso. Io da veneto posso dirlo con una certa tranquillità. La discrezione di questo popolo è una discrezione che ha coperto molte delle nefandezze del bandito del piovese per un motivo molto chiaro: “ i schei” (i soldi). Se una parola come “ discrezione” venisse cambiata nella più esatta “omertà” non si direbbe niente di strano, niente di ingiusto. Sarebbe la verità cari concittadini veneti.

A vent’anni dalla sua finta fuga dal supercarcere di Padova e dal suo pentimento. Dopo che si è parlato di nuova identità sia all’anagrafe sia nei lineamenti, oggi l’ex boss della Mala del Brenta torna nelle pagine di un settimanale nazionale. Non ci torna di sua spontanea volontà, a lui interessa mantenere l’anonimato ( che nella foto è garantito dai pixel sul volto) per una serie di motivi che andremo a scoprire nel tempo. Ci torna per merito di un fotografo o di una giornalista che è riuscito ad intercettarlo. E’ o sono riusciti/o a stanare colui a cui hanno costruito uno status di collaboratore di giustizia inaccettabile, per lasciare che niente potesse essere intaccato di quel sistema economico che, al tempo, era un polmone dell’intero sistema-Italia. Un polmone dopato.

Il suo essere collaboratore di giustizia gli ha garantito nel tempo una copertura di primo livello. Una copertura ingiustificata per la qualità delle notizie da lui svelate. Immaginatevi se, personaggi come Riina o Provenzano fossero messi nelle condizioni di vivere una vita tra villette a due piani e shopping nelle boutique del centro di una qualsiasi città, solo per aver svelato i nomi di 50/100 picciotti. Lo scandalo sarebbe enorme e andrebbe in onda il teatrino del ridicolo. Con lui è stato fatto.

Essere collaboratori di giustizia è qualcosa di diverso. L’abbiamo chiesto a Luigi Bonaventura, ex capocosca di ‘ndrangheta e da sette anni voce-narrante per i magistrati.

Sig. Bonaventura cosa vuol dire essere un collaboratore di giustizia e come vive il suo status?

Un collaboratore di giustizia ( o in gergo pentito) e’un soggetto che decide per convinzione maturata o per convenienza di lasciare il crimine organizzato e di collaborare con lo stato. La vita di un collaboratore di giustizia e’ una vita non vita, fatta da tanti impegni di giustizia ,isolamento, emarginazione,discriminazione mille pericoli,scarsissima assistenza e sicurezza, un umile contributo economico e un futuro più che incerto.

Si può definire Felice Maniero un “suo collega” ?

Non voglio addentrarmi in altri casi. Posso però dire che la qualità di un collaboratore di giustizia si misura dallo “spessore “ del collaboratore e da quante verità scomode racconta

Nessuna scomoda verità invece per il “Toso” che, nelle sue collaborazioni, ha sempre tenuto la bocca cucita davanti ai rapporti che ha avuto e probabilmente ha ancora con tutto l’apparato imprenditoriale-istituzionale-politico veneto e nazionale. Come cucita è rimasta quando si è parlato del suo vero “tesoretto”. Non le briciole consegnate ai magistrati per tacitare la sua buona fede. Magistrati che hanno usato il guanto di velluto sulla questione, una sorta di sigillo negli accordi tra lo Stato e il boss. Non è perciò strano che Maniero non abbia voluto usufruire del contributo dello Stato, semplicemente usava i propri soldi sporchi.

Bene dunque che si riapra il focus su di lui. Ci permetterà di svelare interessanti retroscena tenuti coperti in questi anni e ci darà la possibilità di “mordere le caviglie” della verità su questo malriuscito tentativo di creare dal male un bravo imprenditore o forse un bravo politico.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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