16 Maggio 2023 - 8.58

PILLOLA DI ECONOMIA – NON spezzeremo le reni alla Grecia!

Sono passati ben 83 anni da quel discorso in cui Benito Mussolini pronunciò la famosa frase “Spezzeremo le reni alla Grecia…”, cui seguì l’attacco al Paese ellenico (fra l’altro allora guidato dal fascista Metaxas), che si concretizzò in una delle più colossali figuracce militari della storia italiana.

Certo ne è passata di acqua sotto i ponti, e la Grecia non è certo un Paese con cui normalmente l’Italia è costretta a confrontarsi nell’ambito della Ue.

Di solito i nostri politici fanno riferimento alla Grecia quando vogliono evocare l’incubo della Troika (FMI, BCE ed UE), che effettivamente impose al Paese ellenico una cura draconiana dopo la crisi del 2010.

Ma in questi giorni mi è capitato di leggere un raffronto relativamente alle stime dei programmi di stabilità della Grecia e dell’Italia, di cui parlerò più avanti.

Perché prima di arrivarci giova a mio avviso fare un po’ di mente locale su come i nostri Demostene stiano affrontando la situazione attuale.

Tanto per fare un piccolo riassunto, per quanto ridotto, si litiga continuamente con Macron e la Francia sul tema dei migranti, si persevera nell’indegno tira e molla con Bruxelles sul Mes, si arzigogola su come preservare i privilegi di taxisti, ambulanti e balneari dai rigori della Bolkestein, e dal conseguente immaginato “sacco dei Lanzichenecchi” sulle nostre spiagge, si fa finta di cancellare il reddito di cittadinanza in realtà semplicemente ridimensionandolo un po’, si lanciano proclami sulla flax tax, si annunciano riduzioni delle tasse, e riforme pensionistiche, ci si divide persino su orsi e cinghiali. 

E ciliegina sulla torta, si mettono in campo anche le riforme costituzionali, che a questo punto veramente paiono finalizzate solo a distrarre i cittadini dai problemi veri.

E scusate se può sembrare una mia ossessione, ma si cerca di evitare di parlare del vero problema dell’Italia, che è e resta il debito pubblico,  anche alla luce dell’imminente attivazione del programma di Quantitative Tightening, in base al quale la Bce ridurrà gli acquisti dei nostri Btp, con tutto ciò che ne conseguirà in termini di approvvigionamento di risorse da parte del Tesoro sui mercati.

Pensate sia un caso se Giorgetti e compagnia stanno cercando di mettere in campo Btp tarati sugli investitori retail, che al di là del nome vuol dire i cittadini normali?

No, non è un caso; e non date retta alla retorica di tipo nazionalista del “debito in mano agli italiani”!

La verità è che a Via XX Settembre sanno che non è detto che la massa di Btp non rinnovati dalla Bce (oltre a quelli in emissione) trovino acquirenti all’estero, come pure non è certo che verranno assorbiti dal sistema bancario nazionale (che in realtà ne ha addirittura troppi in pancia).

Ecco perché il Sir Bepi e la Siora Maria diventano improvvisamente importanti; perché con i loro risparmi possono contribuire a stabilizzare il debito pubblico italiano, che non dobbiamo mai dimenticare serve per trovare i soldi per pagare stipendi, pensioni, sanità, e tutti i servivi pubblici.

Ecco perché le impennate dello spread da noi fanno cadere i Governi; perché se lo spread si impenna e non si trovano compratori dei Btp, se non garantendo loro rendimenti insostenibili, si rischia veramente di chiudere l’Italia nel giro di qualche mese.

Se tutto questo è vero, logica vorrebbe che l’attenzione massima dei nostri Governanti fosse dedicata a chi, come le Parche della mitologia greca, ha in mano i fili dell’economia di un Paese; vale a dire le Agenzie di rating.

Le quali invece sono viste con fastidio, considerate le quinte colonne dei nemici dell’Italia, criticate e a volte persino derise.

Senza considerare che, piaccia o non piaccia, chiunque voglia investire i propri soldi alla fine a loro farà riferimento, ai loro giudizi.

E hai voglia a dire che l’economia vera è una cosa, e i rating un’altra!

Sarà anche vero, ma i Fondi pensioni, le assicurazioni, tutti gli investitori, prima di mettere in tavola i loro soldi, inevitabilmente consultano (o devono consultare per statuto) il rating del Paese o dell’Ente che emette un titolo.

E se il rating è basso, col cavolo che comprano; semplicemente investono i loro soldi altrove.

Di recente S&P ha confermato il rating all’Italia, che però resta a BBB, due gradini sopra la “spazzatura”.

Più tranchant gli analisti di Moody’s secondo i quali il debito italiano è appena un gradino sopra il livello speculativo (l’ultima valutazione è Baa3 con prospettive negative); ciò vuol dire che diventa difficile consigliare i Btp a chi cerca un investimento sicuro. 

E anche Fitch, pur apprezzando l’attuale crescita italiana, tre giorni fa ha lasciato invariato il rating sovrano dell’Italia a BBB, cioè solo due livelli sopra la categoria “junk” (spazzatura). 

Se qualcuno pensa che i giudizi di queste agenzie dipendano dalle chiacchiere e dai proclami dei nostri Demostene si sbaglia di grosso.  

Le Agenzie si basano su indicatori niente affatto cervellotici, quali la crescita, il livello del debito (a marzo salito a 2.789,8 miliardi, nuovo record assoluto) e del deficit, la stabilità politica, e oggi anche l’attuazione del Pnrr.

Ecco perché riuscire a mettere a terra i progetti e le riforme diventa fondamentale anche per migliorare, o non peggiorare, il rating-Paese.

Vi avevo accennato all’inizio alla Grecia.

La notizia è che entro un paio d’anni Roma batterà Atene sul terreno del debito pubblico.

Non esultate, perché ciò vuol dire che la Grecia si sta muovendo per non essere più il Paese con il più alto debito della Ue in termini percentuali, lasciando a noi questo non invidiabile primato.

Lo si capisce, come accennavo, dai programmi di stabilità presentati la scorsa settimana dai due Paesi alla Commissione Europea.

Nel 2020, l’anno del Covid, il rapporto debito/Pil della Grecia era al 206,3%, quello dell’Italia al 152,6% (il Giappone volava intorno al 260%). 

Nel 2022 la Grecia lo ha ridotto al 171,3%; scenderà al 152,6% nel 2023, per arrivare nel 2026 al 132%.  

Il debito pubblico in Italia, oggi è pari al 144,2%, e dovrebbe scendere al 140,4% nel 2026, almeno stando alle previsioni dei tecnici del Tesoro.

Morale della favola: l’Italia sta riducendo il proprio debito pubblico più lentamente rispetto a quello della Grecia.

Perché?

Perché la Grecia pare essere riuscita a trovare un sistema per trasformare i fondi europei in spinta maggiore per far crescere l’economia; in altre parole i tassi di crescita greci nei prossimi anni sono stimati il doppio di quelli italiani.

Ad aiutare gli ellenici nel risanamento dei conti pubblici c’è anche il fatto che la Grecia, diversamente dall’Italia, ha una bassa necessità di nuovi prestiti, e questo le consente di spingere sul taglio delle spese.

Ecco la formula magica, “taglio delle spese”; quella che i nostri politici non riescono non solo ad attuare, ma neppure ad immaginare.

Già, perché da noi domina un’altra filosofia; quella del “tassa e spendi”.

Dove ci porterà lo vedranno purtroppo i nostri figli e nipoti, almeno quelli che non sceglieranno di emigrare in altri Paesi.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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