Malati di leggi, allergici alla chiarezza

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Ricordate il mio pezzo sul diritto, o facoltà se preferite, di ogni cittadino non andare a votare in occasione dei Referendum dell’8 e 9 giugno (https://www.tviweb.it/referendum-8-9-giugno-non-votare-e-un-diritto-garantito-dalla-costituzione/)?
Un lettore mi ha contestato legittimamente sui social di non aver spiegato il contenuto dei quesiti referendari, ed in particolare di averli definiti “astrusi” per la quasi totalità dei cittadini.
Rispondendogli, mi sono limitato a fornirgli il testo di uno dei quesiti, che sottopongo anche a voi: Quesito 1 – Contratto di lavoro a tutele crescenti – Disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione
Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, come modificato dal d.l. 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2018, n. 96, dalla sentenza della Corte costituzionale 26 settembre 2018, n. 194, dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145; dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, dal d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla L. 5 giugno 2020, n. 40; dalla sentenza della Corte costituzionale 24 giugno 2020, n. 150; dal d.l. 24 agosto 2021, n. 118, convertito con modificazioni dalla L. 21 ottobre 2021, n. 147; dal d.l. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79 (in G.U. 29/06/2022, n. 150); dalla sentenza della Corte costituzionale 23 gennaio 2024, n. 22; dalla sentenza della Corte costituzionale del 4 giugno 2024, n. 128, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?
Immagino abbiate capito tutto!
Lascio a voi ogni giudizio sulla chiarezza dei contenuti.
Comunque la pensiate, io credo che il problema della comprensibilità delle norme di legge per il cittadino comune sia in Italia uno dei problemi più seri.
E’ un tema che ho già trattato in passato, ma, come si dice, repetita iuvant….
La prendo alla lontana, constatando che al di là della denuncia della corruzione e del malcostume della Curia Romana del Cinquecento, al di là della condanna della vendita delle indulgenze, al di là delle 95 tesi e degli aspetti dottrinali, ho sempre pensato che la vera novità della Riforma di Lutero sia stata la sua traduzione della Bibbia in tedesco.
E non solo perché quest’opera di fatto favorì la nascita della lingua tedesca moderna, ma perché diede ad ogni fedele protestante la possibilità e la libertà di leggere i testi sacri nella lingua del popolo, senza alcuna mediazione da parte dei chierici, che non a caso privilegiavano il latino, la cui conoscenza non era certo diffusa fra la classi popolari.
Questa fu la vera spaccatura, la vera cesura, con il mondo cattolico, e ci vollero secoli perché anche i fedeli della Chiesa di Roma potessero leggere le sacre scritture nelle lingue cosiddette volgari.
Tranquilli, non ho alcuna intenzione di intrattenervi sulla Riforma Protestante, ma lo spunto mi è venuto, pensate un po’, proprio leggendo il testo dei quesiti referendari, che non sono scritti in latino, bensì in una lingua che Manzoni avrebbe definito da “Azzeccarbugli”. Non so se nei “Palazzi romani” se ne rendano conto, ma questo sembra un linguaggio da “marziani” con un tasso alcolemico notevolmente superiore ai limiti di legge! Ma il problema è che questa non è un’eccezione, bensì la regola nella produzione legislativa italica. Avendo frequentato la facoltà di Giurisprudenza, mi rendo conto che il diritto, (come tutte le scienze in realtà) contrariamente alla lingua comune, che utilizza molto i sinonimi, attribuisce ad ogni termine un significato ben preciso. Tanto per fare un esempio banale, nel linguaggio di ogni giorno i termini residenza, domicilio, abitazione e dimora, vengono usati indistintamente, ma per il diritto ognuno ha un significato diverso, una valenza diversa, e regole diverse. Ma la “peculiarità”, per così dire, della terminologia giuridica non può certamente essere l’alibi per giustificare norme incomprensibili, dense di articoli che richiamano altri articoli, che a loro volta richiamano altri articoli ancora, in una sorta di convulsione legislativa. E non è un problema dell’oggi, anche se con gli anni a mio avviso il problema si è aggravato, perché ricordo che quando facevo la pratica legale presso un avvocato, buona parte del tempo per istruire una causa veniva impiegato per ricercare le norme, e anche la giurisprudenza in verità, applicabili al caso che si doveva trattare. Certo allora non c’era la Rete, e chi ha una certa età ricorda certamente che le pareti degli studi legali erano totalmente occupate da librerie a vista zeppe di riviste e testi giuridici, che servivano appunto per le “ricerche”. A volte mi sono chiesto se l’ “incomunicabilità” delle leggi, in un’orgia di frasi relative e incidentali spesso ingarbugliate tra di loro, sia in qualche modo “cercata e voluta” da Parlamenti costituiti in gran parte da giuristi, per tenere il cittadino nell’ignoranza, per controllarlo, e costringerlo a servirsi di notai, avvocati e commercialisti. Ma non sono del tutto convinto che questa, per quanto suggestiva, possa essere la principale spiegazione del fatto che le nostre leggi sono scritte come una specie di “caccia al tesoro” riservata ad un ristretto gruppo di iniziati. Capite bene che, a rigor di logica, una legge dovrebbe sempre iniziare con l’elenco delle norme “abrogate”, cioè quelle disposizioni che la nuova normativa rende superate ed inapplicabili. Ciò non avviene quasi mai, e poiché la cosiddetta “abrogazione tacita” non sempre risulta chiara, ecco quindi la necessità e l’inevitabilità del ricorso al giudice, perché decida quale sia la norma vigente. Per non parlare dell’iperproduzione di norme, che nel nostro Paese assume quasi il carattere di una schizofrenia legislativa, ma che ad esempio in Germania viene tenuta sotto controllo con un periodico intervento di riordino normativo. Tornando ai legislatori, poiché è chiaro che le leggi non le scrivono i Parlamentari (molti di quelli attuali non avrebbero neppure le competenze), bensì gli Uffici legislativi, viene da chiedersi con quali criteri vengano scelti questi “tecnici”, che invece dell’italiano comune, utilizzano un linguaggio autoreferenziale, da addetti ai lavori, in una sorta di autocompiacimento intellettuale da “io so io e voi e nun siete un cazzo”. Non tutti sanno che Umberto Terrracini, Presidente della Costituente, prima dell’approvazione finale del testo della Costituzione, chiamò lo scrittore Pietro Pancrazi, il latinista Concetto Marchesi, ed il saggista Antonio Baldini, a rivedere il testo, che a distanza di settant’anni si distingue ancora per sobrietà essenzialità, economia, ed anche eleganza. Ma quella era gente che aveva ben chiaro che il testo della Costituzione doveva essere comprensibile da tutti i cittadini! Con l’andazzo attuale invece si ripropongono le condizioni per cui Cesare Beccaria scrisse oltre tre secoli fa: “Le nostre leggi oscure finiscono con l’essere benevolmente interpretate se alla porta bussa un amico e viceversa applicate in modo rigido ai nemici e ai forestieri. Perché le leggi scritte in una lingua straniera al popolo lo pongono nella dipendenza di alcuni pochi, non potendo giudicar da se stesso qual sarebbe l’esito della sua libertà”. In breve, la differenza tra cittadini e sudditi. Quindi le riforma delle riforme sarebbe quella che nelle Aule di Giustizia la scritta “La legge è uguale per tutti”, fosse sostituita da “La legge è uguale per tutti, ma deve anche essere comprensibile per tutti”!