Referendum 8-9 giugno. Non votare è un diritto garantito dalla Costituzione

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Umberto Baldo
Come sempre succede in questa Italia dei “Guelfi e Ghibellini”, ad un mese dei Referendum convocati per domenica 8 e lunedì 9 giugno per esprimersi sui quesiti promossi da Sindacati e Associazioni (quattro sul lavoro ed uno sulla cittadinanza), sta scoppiando la stucchevole polemica sul “voto e non voto”, e sulla “legittimità” dell’astensione.
La problematica è importante ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione, che recita: “perché il referendum sia valido deve essere raggiunto il quorum di validità e cioè devono partecipare alla votazione la maggioranza degli aventi diritto al voto. Perché la norma oggetto del referendum stesso sia abrogata deve essere raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”.
In parole semplici perché la consultazione referendaria sia valida deve recarsi alle urne la metà più uno degli italiani aventi diritto al voto, ed in quest’Italia in cui alle urne ci va sempre meno gente si tratta di un’asticella che francamente sembra irraggiungibile.
E’ chiaro che ai promotori non sta proprio bene aver raccolto le firme ed essersi impegnati, per poi trovarsi con una partecipazione magari del 30/35%, che rende nulla la consultazione, ma soprattutto che diventa un vero schiaffo per chi pensava di trovare con i quesiti una nuova legittimazione, od un rinnovato rilancio politico.
Non stupisce quindi se, di fronte alla presa di posizione del Vicepremier Antonio Tajani, che ha detto che si asterrà ed inviterà tutti gli altri a fare altrettanto, si siano aperte le cateratte del diluvio.
Con Maurizio Landini, vero dominus dei referendum, cui si sono accodati Elly Schlein, Conte e Fratoianni, a gridare all’”emergenza democratica”, prodigo nel dichiarare “Io credo che questo sia un grave errore politico ed un elemento pericoloso sul piano della tenuta democratica”.
Posizione condivisa nei toni e nei contenuti da altri leader: “L’invito all’astensione è il segnale di una profonda cultura antidemocratica” (Arturo Scotto, Pd); “È una destra egoista e irrispettosa della democrazia” (Nicola Fratoianni, Avs); “La destra boicotta la democrazia” (Giovanni Barbera, Rifondazione comunista).
Guardate, oggi mi asterrò dall’entrare nel merito dei singoli quesiti referendari; avremo modo di approfondire se vorrete; ma permettetemi di avvertirvi che se siete ancora abbarbicati culturalmente al totem dell’art. 18 nella versione dello Statuto dei Lavoratori, una eventuale abrogazione via referendum delle attuali norme non farà risorgere magicamente il vecchio art. 18, perché negli anni è stato più volte modificato per via legislativa e giurisdizionale.
Quindi oggi ci concentreremo sul fatto se sia legittimo o meno per un qualsiasi Partito suggerire ai cittadini di non recarsi al seggio.
Capite bene che il problema non si pone per le forze di Centro destra, schiarate apertamente contro questi referendum, a parte qualche individualità con poca influenza sulle scelte di fondo.
Comunque la vediate, il problema sta tutto e solo a sinistra, ed in particolare nel Pd, buona parte del quale è stata attivamente impegnata nel far passare a suo tempo le norme che oggi il duo Landini-Schlein vorrebbe abrogare.
Detta in altre parole oggi vediamo un Pd impegnato ad abrogare norme a suo tempo volute e votate dallo stesso Pd. Roba da barzellette!
E le posizioni dentro il Partito Democratico sono “da ferri corti”, con la Segretaria che minaccia i Parlamentari attuali di cancellarli dalle future liste elettorali, e Matteo Renzi che li sfotte: «Mi colpiscono i miei amici riformisti del Pd, cui la Segreteria ha detto, o votate sì o non avrete spazio nelle liste».
Si tratta di mal di pancia che attraversano tutta la galassia delle correnti dei Dem, tutte le anime del partito: la sinistra di Andrea Orlando e Antonio Misiani, i franceschiniani, i “turchi” di Matteo Orfini, persino la “ditta” di Pierluigi Bersani e Roberto Speranza.
In pratica, tutti quelli che benedissero l’abolizione dell’articolo 18, e che adesso sembra se ne siano dimenticati.
Certo si sarebbe potuta cercare una rivisitazione migliorativa di quelle norme nella sede più deputata, vale a dire il Parlamento.
Ma questa strada “ragionevole” è stata resa impraticabile dal fatto che Elly Schlein si è subito schierata con “Maurizio il rosso” e la Cgil, prima firmando i referendum, poi guidando la campagna elettorale.
Ed io penso che, poiché la Segretaria non è del tutto una sprovveduta, la sua determinazione derivi non tanto del desiderio di vincere (come accennato il quorum sembra appartenere al mondo delle utopie), quanto da quello di “contare” i voti dei cosiddetti progressisti, come fosse una prova generale in vista delle politiche del 2027.
Chissà, magari dagli strateghi che circondano Elly Schlein il referendum viene percepito come la saldatura definitiva del campo largo, come una riedizione aggiornata e corretta della “gioiosa macchina da guerra” che non fece certo la fortuna di Achille Occhetto.
Guardate, non voglio farla troppo lunga.
Il problema, così come posto da Landini e compagni è quello se sia legittimo per una Forza Politica suggerire ai propri elettori o simpatizzanti di non andare a votare per i Referendum dell’ 8-9 giugno.
Per togliere ogni dubbio penso sia sufficiente quanto ebbe a dichiarare l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in un’intervista a Repubblica dell’aprile 2016, prima del voto sulle estrazioni di idrocarburi, cioé che astenersi dalle urne e sperare che un referendum sia invalidato per il mancato raggiungimento del quorum non è né antidemocratico né anticostituzionale: “Se la Costituzione prevede che la non partecipazione della maggioranza degli aventi diritto è causa di nullità, non andare a votare è un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria”.
Spero a nessuno venga ora in mente che Giorgio Napolitano fosse un antidemocratico, magari un po’ fascista.
A volerla dire tutta è evidente che (e questo è populismo allo stato puro) fingono tutti di ignorare ciò che sanno benissimo: che eccetto i Radicali, rispettosi custodi del diritto referendario, non c’è Partito italiano che non abbia puntato sull’astensionismo ai referendum abrogativi ogni volta in cui gli sia convenuto.
Talvolta è stato fatto in modo silenzioso, evitando di dare pubblicità alla consultazione, e facendo passare a tesserati e simpatizzanti il messaggio che, anziché mettere la croce sul «no», sarebbe stato meglio restare a casa, e così sommare il proprio “non voto” a quello degli astenuti abituali.
Talaltra lo si fece in modo aperto, e come esempio credo tutti ricordino quando Bettino Craxi invitò gli italiani ad “andare al mare” piuttosto che a votare.
O quando nel 2016 il governo Renzi invitò pubblicamente a non votare nel referendum sulle trivelle. Renzi dichiarò che il referendum era inutile, che costava troppo, e che votare “Sì” era una scelta ideologica.
Permettetemi però una considerazione personale. Io ho una visione “alta” del Sindacato come soggetto intermedio indispensabile per regolare la conflittualità nel mondo del lavoro, e promuovere la stipula dei migliore contratti per i lavoratori.
Trovo quindi fuori luogo l’iniziata della Cgil di mettersi a promuovere un referendum “politico” che ha un po’ il sapore di una rivalsa, che guarda indietro invece che avanti.
Per dirla in breve sono convinto che per il Sindacato non esiste la scorciatoia della politica, perché alla fine i lavoratori guardano più che altro a cosa portano a casa a fine mese, e non è che in Italia la politica salariale sia stata finora un successo rispetto agli altri Paesi europei.
In definitiva, nel caso dei Referendum dove il quorum di partecipazione è essenziale (cioè deve votare almeno il 50% + 1 degli aventi diritto perché il referendum sia valido), l’astensione può diventare una vera e propria strategia politica.
Non votare equivale quindi, in molte situazioni, a sostenere lo status quo, e a delegittimare la consultazione stessa.
Con buona pace di Maurizio Landini, Elly Schlein e compagnia contante!
Come vi accennavo, se lo vorrete, più avanti potremo anche addentrarci nel chiarire la sostanza dei singoli quesiti, ma vi avverto che, come spesso succede nel BelPaese, si tratta di materie piuttosto astruse, che sembrano quasi fatte perché il cittadino comune non ci capisca nulla.
Umberto Baldo