2 Maggio 2022 - 9.13

L’Opa di Giorgia Meloni sul Nord

di Umberto Baldo

Non so se Salvini lo abbia capito, anche se propendo per il sì, ma il vero messaggio che Giorgia Meloni ha lanciato nella sua “tre giorni” milanese è “io sono il vero leader del centrodestra”, e “io devo essere il premier qualora si dovessero vincere le prossime elezioni politiche”.
Nulla di più, nulla di meno!
Onestamente non me lo vedo il Capitano intonare come il Claudio Villa dei bei tempi “Addio sogni di gloria, addio castelli in aria”, ma senza dubbio farebbe bene a non minimizzare questi segnali che sono arrivati dalla Conferenza programmatica di Fratelli d’Italia.
Non è questo il luogo per analizzare i “contenuti” della kermesse meloniana, che francamente mi sono sembrati piuttosto evanescenti almeno nella loro componente economica, ma basti dire che se il maitre à penser di riferimento è quel Giulio Tremonti che riuscì a portare lo spread sopra i 500 punti, aprendo la strada al Governo Monti, c’è poco da stare allegri.
No, quello che più mi interessa è la chiara volontà della Meloni di portare la sua sfida nel cuore del nord leghista, fino ad ora almeno, in quella Milano che è ancora la capitale economica del Paese, in quella Lombardia che è stata la culla del movimento nato con Umberto Bossi, in quel nord produttivo che finora è stato il valore aggiunto ed il principale sostenitore della Lega.
Che poi alcuni passaggi abbiano fatto spellare le mani ai congressisti ci sta, come quando si è scagliata contro il celebre slogan “uno vale uno” dei 5Stelle definendolo “Una idiozia che ha consentito a gente che non valeva niente di governare”. E analogamente quando ha condannato il reddito di cittadinanza incitando i ragazzi a “ribellarsi’”. E rispolverando un concetto che questa nostra società sembra aver smarrito, quello del “merito”, definito “la benzina di ogni società, mentre oggi l’ascensore sociale in Italia è rotto”.
Sì, Matteo Salvini farebbe decisamente un errore a sottovalutare quello che è accaduto a Milano, perchè i cronisti più attenti, quelli che non si limitano a guardare il palco, ma sbirciano anche “dietro le quinte”, hanno segnalato la presenza di imprenditori importanti, di manager di Stato, ed anche di molti esponenti della Rai, che da sempre rappresentano una specie di “cartina di tornasole”, perchè sono i primi ad annusare i cambi di fase politica nel Paese.
E farebbe male anche a sottostimare che, come ho accennato all’inizio, Giorgia Meloni ha alla fin fine fatto capire che lei sarebbe pronta a ricostruire la coalizione di Centro destra solo a patto che sia lei ad essere la candidata premier, anche se si facesse una legge elettorale proporzionale.
Guardano i freddi numeri, anche se corre l’obbligo di ricordare che si parla di sondaggi, la Meloni ha ragione!
Perchè, probabilmente grazie alla sua scelta di non farsi tentare dal potere, scegliendo l’opposizione agli ultimi tre Governi, da tempo si contende con il Pd per pochi decimali il ruolo di primo partito italiano, mentre la Lega dopo aver raggiunto il picco del 34% (oltre il 40% al Nord) alle europee del 2019, ha imboccato una china calante, che la vede adesso navigare attorno al 15%.
Certo non è facile passare in pochi anni dal 4% al 40%, ma non è facile neppure in altrettanto poco tempo crollare dal 40% al 15%!
Si tratta di variazioni troppo repentine, sulle quali sarebbe bene che il Capitano riflettesse.
Ma io penso che l’arretramento nei sondaggi non sia in realtà il principale problema, perchè il vero nodo da sciogliere è quello di potere e sapere rispondere alla domanda: cos’è la Lega oggi?
E non mi riferisco alla laedership, anche se Salvini di errori politici ne ha fatti tanti in questi ultimi anni, sia in politica interna che in politica estera, bensì all’essenza di quella che fu la grande intuizione di Bossi, quella Lega che oggi vive una complicata fase di transizione.
Ne abbiamo già parlato altre volte, ma il problema nasce dal fallimento sostanziale dell’operazione di allargamento della Lega verso il Meridione, che inevitabilmente si è scontrata con realtà territoriali, con classi dirigenti, con culture e prassi politiche che funzionano con logiche profondamente diverse da quelle del Veneto o della Lombardia.
E’ evidente come questo tentativo di creare la Lega nazionale abbia finito per incrinare gli equilibri dei leghisti del Nord, su cui il Partito aveva fondato le sue fortune fin dagli albori.
Io non so se Salvini se ne renda conto, ma l’impressione che si ricava parlando con la gente dalle nostre parti, è quella di un elettorato leghista completamente disorientato.
E si badi bene che, a mio avviso, non è solo una questione di nostalgia dei tempi dell’Umberto Bossi, delle bandiere verdi, della Padania, degli elmi con le corna!
No, qui si tratta di certezze che stanno sfumando, di identità che si stanno perdendo, e non so se basterà richiamare i militanti nuovamente sul pratone di Pontida per ridare ai militanti quella voglia di esserci, di lottare, che hanno fatto della Lega il primo partito del Nord. Perchè ho l’impressione che a questo punto slogan, parole d’ordine e pacche sulle spalle non basterebbero!
Detto in altri termini, secondo me Salvini ha davanti a sé una scelta da far tremare i polsi.
Continuare nel sogno del Partito nazionale di forte impronta nazionalista e sovranista, oppure ritornare in quella che io chiamo la “ridotta del Nord”, che poi tanto ridotta non è, visto che parliamo dell’intera Pianura padana, una delle regioni più ricche d’Europa?
Il che però vorrebbe dire abbandonare le ondivaghe posizioni di partito di lotta e di governo che hanno finito per confondere l’elettorato, e riprendere a parlare di quello che è stato ed è l’elemento identitario del movimento leghista; l’autonomia.
Un tema che ha il doppio vantaggio di essere nel cuore degli elettori del Nord, e che non potrà mai essere cavalcato da Fratelli d’Italia e dalla Meloni, per il tradizionale radicamento di questa forza politica al Centro-Sud!
Il leghista tipo non è uso sottilizzare più di tanto, non ama perdersi nei bizantinismi e nei compromessi della politica romana! Il leghista tipo fa ancora fatica a distinguere fra “Roma capitale” e “Roma ladrona”!
Vuole avere obiettivi chiari, credibili, riscontrabili sul territorio, come l’”autonomia differenziata”, e questo i leader delle regioni del Nord lo sanno bene, e non è un caso che Luca Zaia riprenda spesso questo tema, ribadendo che si tratta di un obiettivo mai abbandonato.
E’ ormai evidente che la coperta per tenere il consenso al Nord, e nello stesso tempo crescere al Sud, è sempre più corta, e non basta più drogare la comunicazione con sparate sull’immigrazione e la sicurezza, o sulla ennesima rottamazione delle cartelle esattoriali che fa arrabbiare chi le tasse le paga.
Di queste incertezze, di queste difficoltà di Salvini è ben conscia Giorgia Meloni, che da laeder di un Partito con posizioni magari rozze ma chiare, e poco avvezzo ai compromessi, sta facendo presa sui ceti popolari, e anche produttivi del Nord, erodendo consensi alla Lega.
Sarebbe bene che qualcuno ricordasse a Salvini la regola fondamentale che la politica non tollera vuoti.
E di conseguenza se non riprenderà il dialogo con il Nord, ridando alla Lega quell’identità che i militanti ormai faticano a capire quale sia, la sofferenza politica del suo tradizionale elettorato aumenterà, e a trarne vantaggio sarà appunto la Meloni, che non a caso gli ha lanciato la sfida da Milano.
Umberto Baldo

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