19 Ottobre 2022 - 11.53

L’autonomia è una presa per i fondelli?

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di Umberto Baldo

E se l’autonomia regionale fosse solo una grande bufala?

Una sorta di Araba fenice per gonzi, la promessa di una riforma che gli stessi Capi della Lega non vogliono, o non sanno come portare a casa?

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quel 5 settembre 1996 quando da Venezia l’allora fondatore della Lega Nord Umberto Bossi, il mitico Senatùr, tuonava: “Lo Stato italiano ha sistematicamente annullato ogni forma di autonomia  e di autogoverno dei nostri Comuni, delle nostre Province e della nostre Regioni, ha espropriato i popoli della Padania del loro potere costituente e si mostra sordo al grido di protesta che si alza sempre più alto”.

Erano gli anni ruggenti, quelli in cui Bossi sparava alto dichiarando “Abbiamo 300 mila uomini, 300 mila martiri, pronti a battersi, mica siamo quattro gatti”, quelli de “I fucili sono sempre caldi”, quelli del mini Parlamento padano  eletto il 25 maggio 1997.

Sì, ne ha portata tanta di acqua il Po da Pian del Re alla foce, ma a ben guardare siamo sempre al punto di partenza, ad un nulla di fatto, anche se la Lega ha sacrificato l’iniziale aspirazione all’indipendenza del Nord ad una più ragionevole autonomia differenziata.

E a certificare questa che io chiamo “ritirata strategica” c’è stato il passaggio del nome del Partito dal roboante “Lega Nord per l’indipendenza della Padania” al più “governativo”   “Lega per Salvini premier”.

A voler essere cattivi si potrebbe dire che entrambi i nomi del Partito non si sono rivelati un successo: della Padania non parla più nessuno, se non forse qualche nostalgico  nei bar o nelle osterie del Veneto, e il premierato di Salvini alla luce del risultato delle politiche del 15 settembre si è rivelato un miraggio.

Eppure la Lega di occasioni per portare a compimento la riforma dell’autonomia differenziata ne ha avute a iosa negli ultimi anni.

Dal 2001 al 2006, e dal 2008 al 2011, il Partito è stato al Governo per ben nove anni, godendo almeno in un caso di una maggioranza più ampia della storia repubblicana prima del Governo Conte 1; eppure nulla o quasi è stato fatto per concedere l’autonomia alle regioni del Nord che non solo l’hanno chiesta, ma i cui cittadini l’hanno addirittura votata nel 2017, con percentuali che nel Veneto hanno raggiunto il 98%.

C’è stato un momento in particolare in cui sembrava che la riforma fosse in dirittura d’arrivo; quando Salvini governava assieme ai 5Stelle nel Governo Conte 1, e i sondaggi lo accreditavano di percentuali oltre il 30%.

Eppure nella campagna elettorale del 2018 il Capitano proclamava: “Se guiderò il governo, con Luca (Zaia) non credo di impiegare più di tre minuti per concludere la trattativa”.

Alla prova dei fatti si è trattato di parole, parole, parole, come cantava Mina in un nota canzone, e allora bastò la risposta del Ministro per il Sud Barbara Lezzi  ad una interrogazione parlamentare: “Le richieste di autonomia che abbiamo previsto nel contratto non saranno uno strumento per favorire alcune regioni a discapito di altre. Il completamento dell’iter, garantisco, non comporterà un surplus fiscale trattenuto al Nord”, per chiudere di fatto la partita, sbattendo la porta in faccia alle aspirazioni “padane”, con buona pace di Luca Zaia e Attilio Fontana.

E a nulla servì a cambiare le cose l’avere Erika Stefani come Ministro degli Affari Regionali e delle Autonomie.  

Sulle motivazioni di questi insuccessi mi sono espresso più volte, e sarà magari  solo una mia idea, ma io credo che il disegno di Salvini della Lega nazionale non potesse in alcun modo sposarsi con le richieste di autonomia delle Regioni del nord.

E’ facile capire che per il Capitano parlare a Trapani o a Reggio Calabria di autonomia regionale fosse pressoché impossibile, visto che da quelle parti questa riforma è vista come la “secessione del Nord ricco dal Sud povero”.

Di conseguenza la Lega, come si è visto, comincia a vacillare elettoralmente (per usare un eufemismo visto che si potrebbe tranquillamente parlare di crollare) nelle Regioni del Nord in cui è nata, ed in cui trovava le proprie ragioni di esistere, perché è evidente che veneti e lombardi hanno capito che l’autonomia promessa è appunto solo uno “specchietto per le allodole”, e allora tanto vale votare per un Fratelli d’Italia, e pazienza se si tratta di un Partito sovranista, centralista e romanocentrico.

Adesso Salvini, che non è certamente uno stupido, che  ha capito che le ridotta nordista lo sta progressivamente abbandonando, e sente i mugugni e le proteste dei militanti, sembra aver ripreso il tema dell’autonomia, ma la mia impressione è che il momento magico sia passato.

Non solo perché la dovrà contrattare appunto con Giorgia Meloni, che la vuole legare alla riforma presidenzialista, che richiede tempi lunghissimi, ma anche perché le emergenze attuali forse consigliano che il tema non sia tra i più urgenti.

Voglio chiudere con un paradosso, che forse ai leghisti potrà sembrare addirittura blasfemo, ma che è vero.

E questo paradosso ci dice che per l’autonomia del Veneto e della Lombardia ha fatto di più il Centrosinistra che la Lega nei 9 anni in cui ha governato.

Non si può dimenticare che fu il Governo presieduto da  Massimo D’Alema a modificare l’articolo 117 della Costituzione per dare più autonomia alle Regioni ed evitare la transumanza di voti della base operaia che iniziava ad abbandonare i Ds per votare appunto la Lega, ancora considerata “a gauche” come  “una costola della sinistra” .

E fu il Governo Prodi a firmare un’intesa con l’allora presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni,che aveva presentato una proposta per chiedere l’autonomia in 12 settori, tra cui le infrastrutture e il sistema bancario regionale.

Pochi mesi dopo Prodi cadde, e con lui anche l’accordo che avrebbe dovuto portare il testo in Parlamento per l’approvazione finale.

L’anno dopo le elezioni furono vinte ancora del Centrodestra, ma non se ne fece più nulla.

Per quanto riguarda il Veneto a questo punto resta solo da capire se la Lega “Zaiana”   che ha sempre posto l’autonomia come punto chiave e almeno a parole irrinunciabile, dopo averla contrattata con diversi Governi sarà ancora disponibile a restare per l’ennesima volta con il classico “pugno di mosche” in mano.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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