19 Maggio 2023 - 8.34

L’alluvione mi ha fatto incazzare!

Come dopo ogni tragedia, sia essa un terremoto, un’alluvione, una valanga, è sempre difficile togliersi dagli occhi le immagini dei morti, dei dispersi, delle devastazioni, dei danni alle abitazioni,  delle persone sui tetti, delle strade e dei ponti cancellati, delle spiagge invase dal mare, delle frane. 

E come sempre questi eventi “naturali”, che fino a pochi anni erano una rara eccezione, ma che ormai stanno diventando la norma, anche se facciamo fatica a capirlo ed accettarlo, portano sui media un profluvio di articoli, di approfondimenti, di analisi di geologi e meteorologi, di buoni propositi subito dimenticati.

A dirvi la verità, pur con la tristezza con cui guardo le terribili immagini che in questi giorni arrivano dall’Emilia Romagna, il sentimento che prevale in me è la rabbia, un’incazzatura di fondo dovuta al fatto che non ci voleva il genio di Leonardo da Vinci per capire che la gestione dei corsi d’acqua in questo Paese risponde a logiche demenziali.

Se guardate bene il mare di acqua che si è abbattuto sulle città e sui paesi è stato conseguente alla tracimazione di tutti i fiumi di quel territorio.

Va bene che la quantità d’acqua caduta dal cielo è stata notevole e soprattutto concentrata in poco tempo, ma se andate a spulciare le alluvioni avvenute negli anni passati in tutto il Paese, vi accorgerete che esiste un fil rouge che le accumuna tutte; la gestione dei corsi d’acqua, siano essi torrenti, fiumiciattoli, o fiumi veri e propri.

Non è un fenomeno nuovo in Italia.  Le alluvioni devastanti sono frequenti, e hanno ragione i geologi quando dicono che quasi sempre con questi disastri il cambiamento climatico c’entra poco o nulla, perché le cause principali sono l’irrazionale consumo del suolo, e la scarsa manutenzione delle opere idrauliche.

In parte il degrado è iniziato da qualche secolo, ma non c’è dubbio che l’accelerazione vera si è avuta negli ultimi decenni, in cui molti insediamenti residenziali o produttivi sono stati realizzati su un territorio concepito per uso agricolo, senza chiedersi se fosse necessario rivedere ed adeguare la rete idraulica esistente

Così in cinquant’anni si è assistito ad una cementificazione sempre maggiore, con l’eliminazione degli invasi disponibili nei fossi (spesso invece utilizzati per costruire piste ciclabili), la realizzazione di fognature di tipo misto (che raccolgono sia le acque di rifiuto urbano che meteoriche), la commistione fra reti fognarie e canali di bonifica, ma soprattutto la riduzione degli spazi golenali dei fiumi, se non addirittura la loro tombinatura (Genova ne è un esempio di scuola). 

Vedete amici, gli alvei e le golene dei corsi d’acqua non sono nati per caso.

Si tratta degli spazi che in qualche momento della storia il fiume in  piena ha occupato, e il fatto che magari per lungo tempo ciò non sia più avvenuto, non vuol dire che non succederà in futuro.

E quando accade, quando le precipitazioni meteoriche superano la norma, le tombinature ovviamente non reggono, e il fiume o il torrente va a riprendersi il proprio alveo naturale, che nel frattempo abbiamo trasformato magari in una strada o in una zona residenziale. 

Il problema è che non abbiamo mai spiegato bene ai cittadini che sono andati ad abitare in quelle zone che di aree golenali si trattava, o di aree inondabili, o idraulicamente pericolose, con tutti i rischi connessi.

Eppure per contenere i danni sarebbe stato utile avere ad esempio i cosiddetti “bacini di laminazione”, che in occasione della tempesta Vaia (715 mm di pioggia in 70 ore, contro i 300 caduti in questi giorni in Emilia Romagna)  nel 2018 hanno in parte salvato il Veneto!

Con le tragedie c’è poi un secondo fenomeno; quello della corsa ai ripari, di solito stanziando a tamburo battente “fondi per la ricostruzione e la messa in sicurezza”.

Non date retta, non battete le mani!    Si tratta per lo più di fumo, di propaganda ad uso dei cittadini giustamente arrabbiati.

Perché dico questo?

Perché a volerla dire tutta le risorse aggiuntive, decise sulla base dell’emozione del disastro, in realtà servono a poco, se non si sono spese quelle già stanziate negli anni precedenti.

Vi ricordate “Italia sicura”, il piano varato dal Governo di Matteo Renzi appunto per intervenire in tempo contro alluvioni, frane e calamità naturali?

Si trattava di 8 miliardi; una cifretta di tutto rispetto, cui vanno  ora aggiunti altri 2,5 miliardi provenienti dai Fondi Pnrr, ed altri 6 assegnati ai Comuni da spendere entro il 2026.

Pensate che questo “tesoretto” (termine caro ai nostri Demostene) sia stato utilizzato?

Ma quando mai!

Fra burocrazia borbonica, tempi di realizzazione biblici, inerzia politica, rimpalli di competenze e responsabilità, resistenze degli ambientalisti e dei Comitati del No, ma soprattutto ostruzionismi delle Regioni interessate agli interventi, spesso dettati dalle diverse maggioranze locali rispetto a quella romana, i soldi sono rimasti per lo più inutilizzati.

Tanto che la Corte dei Conti, nel suo ultimo rapporto sul dissesto idrogeologico, ha stigmatizzato  la “dubbia capacità progettuale” e la “carenza di profili tecnici unitamente alla scarsa pianificazione del territorio”, messa in evidenza dalle Regioni.

Io sono un convinto sostenitore dell’autonomia regionale differenziata, ma visto come viene affrontato il dissesto idrogeologico, mi sono persuaso che questa materia non può essere oggetto di delega, e debba quindi rimanere nelle competenze esclusive dello Stato; cercando però di affrontarla sempre con una logica “commissariale”, sfrondando cioè molti passaggi istituzionali, ed il coinvolgimento di miriadi di Enti che finiscono per frenare, se non bloccare, progetti ed interventi.

Certo anche i Demostene romani  devono superare le loro meschine logiche di schieramento, che hanno portato, solo per fare un esempio, a non spendere i miliardi del piano “Italia sicura” (perché renziano?), smantellato anche nelle sue strutture tecniche dal Governo Conte, che ha poi varato il nuovo Piano “ProteggItalia”, stanziando ulteriori 3,1 miliardi.

A cosa sia servito lo abbiamo purtroppo visto in questi giorni in Emilia Romagna.

Ma vedete, quello che mi fa inalberare è che risulta palese che il fine ultimo non è quello di far funzionare le cose, proteggendo i cittadini, bensì quello di conquistare le pagine dei giornali e dei media lanciando Piani dai nomi altisonanti, chiaramente destinati a restare sulla carta. 

L’importante sono i titoli o i tweet di autoincensamento; se poi non si fa nulla pazienza, tanto si sa che sistemare un canale o un fiume non porta voti nell’immediato!    Molto meglio un bel bonus!

L’altra sera ho sentito Enrico Mentana chiedere, durante un’intervista, al Presidente emiliano Stefano Bonaccini se rienga utile la  consueta raccolta fondi organizzata da La7 unitamente al Corriere della Sera.

Ovviamente Bonaccini ha risposto di “si”, ringraziando in anticipo.

Non ce l’ho certo con queste iniziative di solidarietà private, cui contribuisco io stesso, ma mi viene da piangere pensare che diventino indispensabili risorse dei cittadini quando lo Stato ha stanziato miliardi che colpevolmente non riesce a spendere.

Ma d’altronde ormai lo abbiamo capito da lungo tempo che la principale “caratteristica” della nostra Repubblica di Pulcinella è quella di non riuscire a realizzare in tempi ragionevoli quello che già si è deciso con difficoltà, dopo scontri, mediazioni e patteggiamenti defatiganti!  

Aspettiamoci anche l’ennesima inchiesta giudiziaria, che non manca mai dopo un evento catastrofico (la Magistratura è obbligata ad aprire un fascicolo eh!)

Perché noi italiani non siamo mai interessati ad andare a fondo nelle problematiche, per individuare disfunzioni e mal funzionamenti strutturali, per porvi rimedio una volta per tutte; ci basta individuare il “colpevole” di turno, da additare al pubblico ludibrio…. in attesa della prossima catastrofe.

Umberto Baldo

PS: le immagini che stiamo vedendo delle zone alluvionate fanno capire che i danni saranno veramente ingenti.  Poiché è inimmaginabile non aiutare l’Emilia Romagna, e l’attuale bilancio dello Stato non consente certo voli pindarici, se avessimo una classe politica seria e “di parola” troverei appropriato instituire una “tassa di scopo” per trovare le risorse necessarie. 

Ma  poiché sappiamo tutti cosa contino promesse ed impegni dei nostri Demostene (destra, sinistra, centro, non c’è differenza), diventa difficile il solo proporre una tassa ad hoc.  

Perché in Italia l’espressione “una tantum” viene da sempre declinata con “una semper”.  

E se paghiamo ancora, sia pure con altro nome, le spese della guerra in Abissinia, figuratevi quante generazioni di italiani ci vorrebbero per chiudere con una eventuale “tassa per l’alluvione in Emilia Romagna!

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

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