23 Agosto 2021 - 17.48

La vittoria dei talebani e l’analisi della sconfitta delle forze occidentali

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La fulminea vittoria dei talebani in Afghanistan, vera e propria débacle per gli Usa e la Nato, che ha messo a nudo tutte le inadeguatezze, politiche in primis, ma anche di analisi della situazione sul campo, credo debba portare a comprendere che dopo Kabul la sicurezza non è più un pasto gratis.
Mi spiego meglio. Di fronte alla ritirata degli Americani dal paese che è stato la “tomba” di tutti gli imperi che hanno provato a conquistarlo, da quello inglese all’Unione Sovietica agli Usa, immagino che in certe capitali si cominci a non dormire sonni tranquilli.
Tanto per fare un paio di esempi, Israele, da sempre sotto l’assedio del terrorismo, e a rischio di essere “gettato a mare” dal revanscismo arabo-palestinese, ed ora anche iraniano, di fronte al ritiro (o fuga?) degli Stati Uniti dall’Afghanistan, che si è addirittura cercato di far passare come una “missione compiuta”, si sente ancora tranquillo sul fatto che l’alleato americano sarà sempre al proprio fianco, costi quel che costi?
E analogamente i cittadini di Taiwan sono ancora certi che l’ombrello americano li proteggerà ad oltranza dalla ferrea volontà della Cina di riconquistare l’isola?
O avranno entrambi il timore di fare la fine dei curdi siriani, che dopo essere stati spronati dagli Usa alla guerra contro l’Isis, con promesse di amicizia e protezione, quando è stato il momento di scegliere fra loro e la Turchia hanno visto Trump dare il via libera ad Erdogan all’invasione del loro territorio?
Sia chiaro che gli esempi potrebbero continuare, perché la politica estera è fatta da sempre così, da alleanze momentanee, e voltafaccia improvvisi basati sulle convenienze del momento.
E qui si innesta la questione iniziale che la sicurezza nell’attuale quadro geo-politico-economico globale non potrà più essere delegata ad altri, come ha fatto l’Europa dal dopoguerra ad oggi.
E’ finita l’epoca in cui, sotto l’ombrello delle Nato l’Europa ha potuto concentrarsi sul finanziamento di un generoso welfare state; è finita l’epoca in cui mentre gli Stati Uniti sostenevano le spese militari, noi europei costruivamo un “Vate Staat from caddle to grave” (letteralmente Stato paterno dalla culla alla tomba).
Ed in quest’ottica la disfatta afgana dovrebbe far capire all’Unione Europea l’esigenza di iscrivere le politiche di difesa e sicurezza nell’agenda delle responsabilità comuni.
E’ quindi inutile, oltre che pericoloso, illudersi di poter continuare nel giochino che altri si occupino della nostra sicurezza, risparmiando così risorse, continuando a fare affari giocando sull’equidistanza, strizzando magari l’occhio di volta in volta alla grande potenza di turno.
Basta guardarsi attorno per capire che i vecchi equilibri sono saltati tutti, anche alle porte di casa nostra.
La Libia diventata mezza russa e mezza turca ci ricatta sia sul versante energetico che su quello migratorio, e pensare di continuare a risparmiare sull’impegno militare magari accontenterà i “pacifisti de noantri” , ma farà salire nel futuro il prezzo dell’estorsione.
E prima noi e l’Europa capiremo che inviare in Libia “statisti” alla Di Maio a tentare vane mediazioni, mentre russi e turchi mandano cannoniere e soldati, meglio sarà.
Ma la “scuola dei bulli” è sempre più affollata attorno ai confini dell’Europa. Putin, Erdogan, Haftar, Al Sisi, il re del Marocco che usa i migranti a Ceuta e Melilla, e per non farci mancare nulla Lukashenko, l’ultimo despota in ordine di tempo a sfidare l’Europa sequestrando militarmente e dirottando un volo di linea fra due capitali europee, per arrestare un oppositore politico.
Perché questi “bulli” non temono di sfidare l’Europa?
Semplicemente perché, dopo lunghe discussioni e mediazioni, la Ue arriva al massimo ad applicare sanzioni economiche, pannicelli caldi per questi autocrati, che danno sì fastidio, ma che possono essere facilmente aggirate con le triangolazioni fra Stati.
Non dico che per ogni provocazione si dovrebbero muovere i cingolati, ma siate certi che se questi dittatori sapessero che esiste una forza militare europea consistente, supportata da una seria politica estera comunitaria, ci penserebbero prima di mettere in atto certe iniziative.
Su entrambi i fronti come europei siamo pericolosamente indietro.
La politica estera della Ue è di fatto una barzelletta, e lo dimostra il fatto che al ruolo di “Alto Rappresentante dell’Unione per le politica estera” vengono chiamate figure politiche non di primo piano, per usare un eufemismo, tipo la Ashton e la Mogherini.
Di difesa comune, di esercito comune si parla dal lontano 1954, quando la Francia dopo averla promossa la bocciò, e da allora passi sostanziali non se ne sono fatti.
Insisto su questo perché l’Europa non può diventare, per usare un’immagine manzoniana, un vaso di coccio tra due vasi di ferro; deve raggiugere una sovranità tecnologica (cloud, processori, crittografia, tecnologia spaziale, intelligenza artificiale, ecc.) che la liberi dalla dipendenza da altre Potenze, ma anche costruire una capacità militare credibile, con un esercito europeo (non delegazioni di eserciti nazionali), ed un quartier generale operativo in grado di prendere decisioni in tempi brevi.
Già perché, pensateci bene, a parte gli Usa, i competitor (Russia, Cina, Turchia) sono caratterizzati da sistemi politici che permettono di prendere ed imporre decisioni in tempi ridotti rispetto alle democrazie europee, che devono per lo più fare i conti al loro interno con formazioni politiche neo sovraniste ed anti europee, che spesso intrattengono rapporti con il Cremlino e la Cina.
Ne deriva la necessità di superare la regola comunitaria secondo cui ogni decisione deve essere presa all’unanimità dai 27 Paesi, per passare finalmente ad un sistema “maggioritario”, in cui il voto di grandi Paesi come Germania, Francia, Italia, Spagna, non sia equiparato a quello di Malta, Cipro o Lussemburgo.
Secondo me, anche alla luce della crisi afgana, questo per l’Europa sarebbe il momento di muoversi.
Perché il tempo delle botti della sicurezza piene, e dei guru dell’antimilitarismo ubriachi, è finito.
L’Europa deve prendere il proprio destino nelle sue mani, rafforzando con determinazione la sua politica di difesa, nella consapevolezza che non esistono crisi che di possono risolvere solo con gli strumenti militari, ma non ci sono nemmeno crisi che si possono risolvere senza lo strumento militare.
Lo avevano ben chiaro anche gli antichi romani, e lo esprimevano con il brocardo “Si vis pacem, para bellum” (Se vuoi la pace, prepara la guerra).

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