Il piano inclinato del centrosinistra: Conte spinge, il Pd scivola (e Schlein si guarda allo specchio)

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Geopoliticus
Leggendo certi miei ragionamenti, uno potrebbe essere indotto a pensare che io nutra un’insanabile acredine contro Elly Schlein. Nulla di più falso, anche perché in politica le simpatie e le antipatie non hanno alcun senso, e lasciano sempre il tempo che trovano.
Essendo da sempre di idee liberali, e non avendo quindi alcuna propensione verso la cultura politica di destra (lo slogan “Dio, Patria e Famiglia” non è nato col Fascismo; era antecedente, e sono i valori al centro dei “Doveri dell’uomo” di Giuseppe Mazzini) sono fermamente convinto che in una Repubblica parlamentare il gioco dell’alternanza al Governo sia alla base della convivenza civile e dello sviluppo.
Ecco spiegato il motivo dei miei attacchi alla Schlein; perché la sua politica da Centro sociale rischia di garantire alla Meloni e alla destra il Governo del Paese per lunghi anni.
E fra tutte le scelte della nostra Elly, la più inspiegabile per chiunque capisca qualcosa di politica, è la sua “ossessione” per il Campo largo.
Che andrebbe bene, ci mancherebbe, se fosse lei a guidarlo, ma che si infrange inevitabilmente di fronte alla personalità ed all’ego smisurato di Giuseppe Conte.
Giuseppe Conte, almeno a me, sembra un libro aperto.
Si tratta di un professore universitario arrivato (guarda caso anche lui come la Schlein, senza che se ne accorgesse nessuno) alla guida di due Governi.
Il potere piace a tutti, e Conte non fa eccezione.
E così, mettendo a frutto le sue indubbie doti di cinismo ed incoerenza, di egocentrico ed opportunismo, è riuscito bene o male a chiudere la parentesi “Beppe Grillo”, e a proporsi come l’ala più avanzata della sinistra, ed ora del pacifismo italico.
A mio avviso la Schlein potrà portare il suo Pd a qualunque percentuale, perché è chiaro come il sole che, ove mai la sinistra dovesse tornare a Palazzo Chigi, lo potrà fare solo accettando Conte come Presidente del Consiglio.
Non occorre essere dei grandi politologi per capirlo.
Basta aver seguito con una certa attenzione tutte le trattative per l’individuazione dei candidati nelle elezioni locali, per essersi resi conto che o i 5Stelle sono alla guida, oppure il Campo Largo “batte in testa”.
Veniamo ora all’ennesima trovata di Giuseppe Conte, con la quale l’Avvocato del Popolo è riuscito a mettere in difficoltà la Segretaria dei Centri Sociali, e stavolta anche Fratoianni.
Il tema è il pacifismo, meglio l’assoluta contrarierà a qualunque spesa militare da parte della Ue, della Nato, e a cascata dell’Italia.
Volendo celiare un po’ si potrebbe dire che Conte è il campione di chi nella fatidica scelta “burro o cannoni” sceglie senza alcuna titubanza il burro.
Bene, domani, 21 giugno, Roma ospiterà l’ennesimo corteo contro il riarmo.
Una manifestazione a cui parteciperanno, con piena convinzione, oltre alla galassia di ben 470 Sigle delle Associazioni pacifiste a Pro Pal, il Movimento 5 Stelle e l’Alleanza Verdi-Sinistra.
Il Partito Democratico, invece, ha deciso, questa volta, di non decidere: ci sarà una delegazione, non meglio definita, per non scontentare nessuno, e così scontentare tutti.
Ma il vero banco di prova sarà martedì prossimo all’Aia, in concomitanza con la riunione della NATO, perché Giuseppe Conte, versione “For peace”, ha reso noto di aver convocato una manifestazione internazionale, chiamando a raccolta i partiti della sinistra europea ed ai leader progressisti.
Una mossa ambiziosa, che si inserisce perfettamente nel copione dell’“Avvocato del Popolo”: radicale nei toni, furbo nelle intenzioni.
E che, al momento, vede il solo Movimento 5 Stelle in prima linea, senza il Pd né AVS, che di fronte all’iniziativa “internazionale” di Conte forse, e a ragione, cominciano a sentire odore di bruciato.
È a questo punto che, almeno ai miei occhi, la strategia diventa chiara: Conte si spinge sempre più avanti, su posizioni estreme, proprio per costringere gli altri “alleati” (sic!) ad arretrare.
È il suo modo per certificare, giorno dopo giorno, che l’unico coerente, l’unico “puro”, l’unico gandhiano, è lui.
E gli altri, se vogliono stargli dietro, devono giocare un gioco sempre più faticoso, sempre più scomodo.
Il Pd invece, sotto la guida di Elly Schlein, continua a ondeggiare nel nulla.
Prigioniero della sua ambiguità strategica, ha scelto la strada dell’identità a ogni costo.
Un’identità che, però, più che da Partito di governo, somiglia sempre più a quella di un collettivo universitario: slogan, pose, rivendicazioni minoritarie, e una fascinazione costante per la marginalità come valore.
Il partito del 20% sogna di diventare quello del 10%, pur di non compromettersi con la realtà, purtroppo per Elly fatta di Ucraina, Gaza, Israele, Iran, e con il corollario dell’inevitabile riarmo europeo.
E così, mentre Conte detta l’agenda e spiazza gli alleati, Schlein si specchia nel suo mondo perfetto: tutto diritti civili, tutto simboli, tutto retorica inclusiva, tutto Gay Pride, tutto porte aperte all’immigrazione.
Ma intanto la società reale scivola via, sempre più lontana.
Eppure era tutto prevedibile; ma solo per uno che capisca l’abc della politica.
L’asse con Conte si è sempre basato su un malinteso di fondo: che fosse possibile costruire un’alleanza strutturata con chi ha come obiettivo quello di cannibalizzarti.
E Schlein, anziché reagire, ha deciso di inseguire.
Fino a ritrovarsi inchiodata su una linea politica minoritaria, che rende felici gli attivisti dei centri sociali ma lascia indifferente, o peggio, ostile, quell’elettorato di sinistra riformista che un tempo faceva la forza del Pd.
Il caso dei referendum sul lavoro è stato emblematico: una girandola di incertezze, mezze adesioni, distinguo imbarazzati, fino all’autodafé finale, tra balbettii e autocritiche che hanno fatto solo il gioco degli avversari.
Conte gioca una partita astuta e, almeno per ora, vincente.
Ed è una partita spregiudicata ma lucida.
Vuole presentarsi alle prossime politiche come l’unico volto credibile della sinistra.
Ci riuscirà? È presto per dirlo.
Ma una cosa è certa: intanto, sta costringendo gli altri a mostrarsi per quello che sono.
E oggi il Pd, sempre più stretto tra il populismo a 5Stelle e il Movimentismo senza sbocco della sua Segretaria, si ritrova privo di identità, di leadership e di prospettiva; un partito impaurito, che teme di rompere, ma ha già perso l’anima.
Intanto Giorgia Meloni può brindare: gli avversari si dividono, si incartano, si radicalizzano.
E perdono.
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