27 Agosto 2021 - 13.21

I Veneti sono altra cosa!

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C’è un’immagine che resterà sicuramente impressa nei nostri occhi per lungo tempo, quella di Venezia nei mesi del lockdown imposto per arginare la pandemia da Covid.
Perché in quegli scatti, in quei filmati, divenne realtà quello che fino ad allora sembrava impossibile anche solo immaginare, la sospensione del turismo.
Certo anche tutte le altre città italiane in quei mesi del 2020 sono state in zona rossa, ma quelle calli vuote, quella piazza San Marco deserta e quasi spettrale, quei canali con l’acqua per una volta limpida, quel silenzio che incombeva su una città solitamente avvolta nel rumore “antropico”, mettevano in dubbio le fondamenta su cui si basa il “modello Venezia”.
In quei giorni molti si chiedevano se le masse dei turisti avrebbero ancora inondato la città.
Non si è poi dovuto aspettare molto per assistere nuovamente all’assalto turistico, e questa estate 2021 ha riproposto il volto “consueto” di Venezia, con punte di 85mila presenze il 5 agosto e nei giorni seguenti.
Tanto da indurre il Sindaco Brugnaro e l’Amministrazione Comunale a riproporre una soluzione di cui si era già parlato nel passato, quella di una “Venezia a numero chiuso”, che dovrebbe essere realizzata a partire dall’estate dell’anno prossimo.
Il progetto in sé è molto semplice, e parte dall’idea di regolamentare i flussi dei turisti con un sistema a prenotazione, ponendo dei tornelli (come quelli dei supermercati) con lettore ottico agli accessi “strategici”, dai quali si potrà transitare in base alla disponibilità di posti decisa da un sistema elettronico, e pagando un contributo di accesso da 3 a 8 euro. Anche questa non è una novità in assoluto in quanto una “tassa di sbarco” era già stata prevista dalla Legge di Bilancio per il 2019, ma fino ad ora non è mai stata applicata.
A quanto è dato sapere, dal pagamento saranno ovviamente esentati i residenti, i pendolari e altre specifiche categorie da definire. Non dovrebbero pagare neppure i cittadini della Regione Veneto, che però dovranno comunque prenotare per accedere alla città.
Come sempre avviene in Italia, gli annunci sono fantasmagorici, salvo che in pratica le cose poi non sempre girano come promesso, per cui sarà necessario aspettare se questo sistema reggerà alla prova dei fatti.
Ma al di là di questa “innovazione” pensata per poter gestire meglio la città nei momenti di massimo afflusso del turismo mordi e fuggi, penso non si possa eludere la domanda; perché siamo arrivati a questo?
Credo infatti che, comunque la si veda, il sistema dei tornelli segnerà la definitiva trasformazione di Venezia in un museo a cielo aperto, in una città usa e getta, in una Disneyland lagunare.
Davvero non si sarebbe potuto pensare ad un modello diverso di città, salvandola dalla dipendenza totale da un unico modello economico?
Chi ha qualche primavera sulle spalle ricorda che tutto ebbe inizio quando la drammatica l’alluvione del 4 novembre 1966 pose al centro dell’attenzione il problema della sostenibilità ecologica, e l’impeto di lotte operaie mostrarono l’obsolescenza del modello industriale di Marghera.
Per le classi dirigenti di allora il turismo apparve la soluzione più semplice, quella più a portata di mano, e da quel momento, sulla base di quella scelta, l’industria turistica divenne il leit motiv dell’economia della città.
E questa vocazione, frutto comunque di una scelta politica, venne rafforzata dalla globalizzazione, dall’esplosione dei voli low cost, dall’espulsione di fatto della maggioranza della popolazione residente, vittima della crescita insostenibile del costo della vita e del mattone.
In breve Venezia diventò una città di case vuote, di seconde case per gente ricca, cui seguì la massiccia diffusione di bed & breakfast più o meno abusivi, di camere ammobiliate, di qualsiasi forma di alloggio recettivo extra-alberghiero.
Ovvio che questa rivoluzione economico-urbanistica portasse ad un inesorabile depauperamento demografico, e così dai 175.000 residenti del dopoguerra, nel “dormitorio turistico diffuso” attuale sono rimasti in 52.000.
Come diretta conseguenza del calo dei residenti sono stati chiusi la quasi totalità dei negozi necessari alla vita quotidiana, alimentari in primis, sostituiti da negozi che vendono paccottiglia “made in Italy” secondo l’etichetta, ma palesemente fatta in Cina, negozi di gradi firme, di souvenir, take away, bar, enoteche, ristoranti, pizzerie, hostarie, e finti bàcari.
La china, ormai inevitabilmente segnata, è quella di una Venezia con pochi residenti, città di ricchi, ma con uno tsunami quotidiano di utenti di un sol giorno.
Non meraviglia se questo modello di turismo di massa alla fine si sia trasformato in un turismo straccione, che invade incurante delle regole tutti gli spazi disponibili creando ingorghi, che consuma panini o pizza da asporto seduta sui gradini di piazza San Marco lasciando a terra ogni tipo di rifiuto, che monopolizza calli e campielli con trolley e valigioni, che intasa i mezzi di trasporto lagunari.
Un turismo spesso “cafone” che raggiunge l’apoteosi con dei “mone” che si tuffano nelle acque della laguna dal Ponte dell’Accademia piuttosto che da quello di Rialto, dal ponte degli Scalzi, o semplicemente dalle rive dei canali. Il tutto per un selfie da mandare agli amici, e che diventano “virale” in breve tempo.
Sia chiaro che di questa situazione l’attuale sindaco Brugnaro non ha alcuna colpa, in quanto il progressivo degrado di Venezia, come abbiamo visto, viene da lontano, e a dirla tutta nessuna Amministrazione si è distinta in una seria azione di contrasto.
Nessuno ha voluto applicarsi, per studiare un modello di sviluppo alternativo, sia pure senza rinnegare il turismo.
D’altronde è chiaro che gli interessi in campo, da quelli dei bottegai che vendono paccottiglia, a quelli dei titolari di punti di ristoro, o degli affittacamere, sono colossali, e non è facile per nessuno contrastare coloro che proprio dalle masse incontrollate di turisti traggono lauti guadagni, e del decoro della città, e del suo futuro, “non gliene può frega’ de meno”.
Brugnaro mostra di avere l’intenzione di frenare, meglio regolamentare, i flussi, e se la cosa funziona sicuramente la città ne trarrà giovamento, anche se ciò non andrà sicuramente ad intaccare l’attuale modello economico di Venezia.
Mi permetto però di osservare che almeno su una cosa dissento dal progetto illustrato dall’Amministrazione.
Quella di costringere anche i veneti alla “prenotazione” per accedere alla città.
Vede, Sindaco, il rapporto che lega i Veneti a Venezia è un rapporto speciale, che affonda nella storia della nostra terra, quindi ben prima dei fasti della Liga Veneta.
El Leòn de San Marco è un simbolo che ancora oggi emoziona i Veneti, che per questo non possono essere equiparati alle torme di cinesi o giapponesi che arrivano a Venezia al Tronchetto, visitano quello che possono in poche ore, e poi ripartono felici di avere fatto tappa nella città più bella del mondo.
No, Signor Sindaco, i Veneti sono altra cosa, e per quanto mi riguarda devono avere il diritto sacrosanto di poter andare a Venezia senza limitazioni di sorta.
Provi a fare un’indagine, e si accorgerà che i Veneti, che sono gente dedita al lavoro, non hanno il tempo per andare in laguna a bighellonare, e ci vanno magari ogni due o tre anni quando sentono il desiderio di ammirare le bellezze della Serenissima.
Che a decidere quando possono farsi un giro a Venezia sia un algoritmo proprio non mi va giù, e penso che sia Lei che il Presidente Luca Zaia su questo debbano fare un esame di coscienza, ed una seria riflessione.
Ci pensi Sindaco, e……. Viva San Marco.

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