10 Giugno 2022 - 9.30

I referendum traditi

di Umberto Baldo

Se dal titolo vi siete fatti l’idea che questo sia l’ennesimo articolo in cui vi si spiegano i quesiti su cui si andrà votare domenica 12 giugno per i referendum popolari, con le relative ragioni del No e del SI, potete continuare a leggere perché non è certamente questa la mia intenzione.
Certo l’argomento è quello, ma visto da un punto di vista generale, cercando di capire perché questo straordinario strumento di partecipazione popolare, che ci è stato dato dai Costituenti perché avessimo a disposizione una seconda opportunità di fare pesare la nostra volontà di cittadini, accanto al voto politico, tornata dopo tornata sia stato rifiutato dagli elettori.
Io vi dico subito il mio pensiero al riguardo, senza infingimenti o ragionamenti bizantini.
L’istituto referendario è stato progressivamente ucciso scientemente dalla nostra classe politica, che ha sempre visto con fastidio le consultazioni popolari, viste come una indebita ingerenza negli “affari di palazzo”, come a dire “Non disturbate il manovratore”.
Non c’è stato un momento particolare in cui i politici hanno manifestato la volontà di affossare i referendum, ma certamente il famoso invito di Bettino Craxi “Andate al mare” del 1991 rappresentò un segnale inequivocabile.
Quella volta i cittadini non ascoltarono il leader socialista, e lo sommersero con il 95% dei voti a favore delle preferenza unica da lui avversata.
Ma non furono certo solo gli atteggiamenti e le indicazioni dei Capi Partito a disamorare l’elettorato.
Certo ebbero qualche affetto, ma in realtà la morte del referendum è il risultato del loro “tradimento”.
Volte la prova?
Andate su Wikipedia alla voce “Consultazioni referendarie in Italia”.
Troverete uno splendido schema, nel quale vengono esposte le 18 tornate referendarie che si sono tenute dal 1974 ad oggi, con il dettaglio dei 72 quesiti sottoposti nel tempo agli elettori, e le relative percentuali di voto.
Questi sopra citati sono unicamente i referendum abrogativi (quelli che mirano a cancellare qualche particolare norma di legge), perché oltre a questi c’è stato quello “istituzionale” del 1946 (Monarchia o Repubblica) un referendum di indirizzo, e quattro referendum costituzionali.
Scorrendo lo schema, balza agli occhi che dal 1974 fino al 1995, a parte tre casi, tutti i quesiti referendari hanno superato il quorum previsto dalla Costituzione per la loro validità, vale a dire il 50% più uno degli elettori aventi diritto.
Dal 1997 il trend si inverte, e a parte quattro quesiti nel 2011, il quorum non si è più raggiunto.
Poiché sono convinto che ogni fenomeno ha una causa ben precisa, cosa è intervenuto per indurre la stragrande maggioranza degli italiani a decidere che recarsi alle urne per il referendum sia tempo perso?
E’ vero che negli ultimi anni è calata paurosamente anche l’affluenza ai seggi nelle elezioni politiche ed ammnistrative, e questo, comunque lo si veda, costituisce un pessimo segnale per la democrazia partecipativa.
Ma è anche vero che un conto è andare a votare un partito politico, o un candidato sindaco, un conto è potersi esprimere su un problema concreto, di quelli che impattano direttamente sulla propria vita.
E qui torna a mio avviso il concetto di “tradimento” cui accennavo prima.
E questo tradimento gli elettori lo hanno potuto toccare con mano quando a seguito di un loro voto, spesso plebiscitario, su un quesito referendario, la loro indicazione è stata disattesa, o peggio raggirata, dai politici e dal Parlamento.
Come vi accennavo, per rendersene conto basta scorrere sullo schema di Wikipedia i quesiti sottoposti al voto referendario, in particolare quelli che il quorum l’hanno raggiunto e sono stati approvati dagli elettori.
Non posso citarli tutti, e mi limito solo ad alcuni.
Ad esempio il referendum sul finanziamento pubblico dei Partiti, votato nell’aprile 1993, in cui il 90,7% dei votanti decise per l’abrogazione della norma.
Disattendendo palesemente questa decisione il Parlamento pochi mesi dopo, nel dicembre 1993, votò una legge che furbescamente ”trasformò” il “finanziamento” in “contributo”, distribuito in base al numero degli aventi diritto ad al numero degli eletti di ciascuna lista. Successivamente, con una legge del 1999 il “contributo” diverrà “rimborso per le spese delle campagne elettorali”.
Nella tornata referendaria del 1995, fra i quesiti c’era anche quello relativo alla privatizzazione della Rai, proposta che fu approvata dal 54,9% degli elettori
Siamo nel 2022, ben 27 anni dopo quel voto, e la Rai è ancora saldamente nelle mani dello Stato, meglio dei Partiti, che la considerano un loro pascolo, e di privatizzazione non se ne è più parlato.
Stesso copione anche per il quesito che chiedeva l’abolizione del Ministero dell’Agricoltura, sempre nel 1995. Nonostante il voto favorevole del 70,2% degli elettori, come la Fenice, pochi mesi dopo il Ministero rinacque dalle proprie ceneri con una denominazione nuova di zecca: Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali. Una denominazione tanto lunga da scoraggiare chiunque a raccogliere nuovamente le firme per la sua abrogazione.
Mi limito a questi tre, ma potrei continuare con altri casi, come quello sui quesiti sull’acqua pubblica del 2011, l’ultimo in cui fu raggiunto il quorum.
Vedete, il problema non erano i contenuti dei quesiti approvati dagli elettori, su cui si poteva legittimamente essere d’accordo o meno, ma il fatto che il voto referendario sia stato aggirato, disatteso, della classe politica.
Questo è stato il vero vulnus inferto all’Istituto del Referendum, perchè è come se Lor Signori avessero detto alla gente “andate andate pure a votare, tanto dopo, indipendentemente dal risultato, facciamo quello che vogliamo!”
A questo punto è lecito persino chiedersi che senso abbia il principio costituzionale che recita che “la sovranità appartiene al popolo”.
La gente evidentemente se lo è chiesto, e poiché ha capito che il voto referendario, e quindi la volontà popolare, spesso non è stato applicata, bensì “interpretata” ad uso della classe politica, ha deciso che andare a votare è del tutto inutile.
Concludendo, personalmente non la penso così.
Io domenica 12 giugno andrò a votare per i Referendum, perché sono uno che crede nella Democrazia e nella Costituzione.
E soprattutto perché sono convinto che elezioni e referendum siano gli unici momenti in cui non siamo sudditi, ma cittadini che possono dire quello che pensano con un voto.
Non ha senso lamentarsi ogni santo giorno per le carenze e le manchevolezze della nostra classe politica, se quando ci viene offerta l’opportunità di esprimerci direttamente ci tiriamo indietro.
Certo dopo oltre settant’anni forse questo Istituto avrebbe bisogno di un po’ di manutenzione, di essere aggiornato alle esigenze della società di oggi, ma questa è comunque un’altra storia.
Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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