7 Novembre 2022 - 10.22

Gli eroi del Soccorso Alpino alle prese con una marea di sprovveduti

di Alessandro Cammarano

Di sprovveduti in montagna avevamo già parlato, in forma scherzosa, nei mesi scorsi, stigmatizzando i comportamenti irresponsabili di molti, troppi “escursionisti” incapaci – per stupidità o negligenza – di mettersi in marcia in totale sicurezza.

Questa volta il discorso si incentra su coloro che quotidianamente, con picchi durante i fine settimana, sono chiamati a soccorrerli, affrontando spesso situazioni di grande complessità e mettendo a loro volta le proprie vite a rischio: i volontari del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, più in breve CNSAS.

Correva l’anno 1954 quando il Club alpino italiano (CAI), la più antica associazione di alpinisti d’Italia, istituì il Corpo di soccorso alpino (CSA). Tra i promotori dell’iniziativa ci furono il trentino Scipio Stenico e l’allora presidente generale del CAI, Bartolomeo Figari.

Nel 1968 il Soccorso speleologico entra a far parte del CSA; nel 1990 l’istituzione assume l’attuale denominazione, e nel 2001 la legge 74/2001 riconosce al CNSAS la funzione di “servizio di pubblica utilità”.

Inquadrato nella Protezione Civile Soccorso Alpino conta ad oggi più di settemila volontari.

A questi eroi della neve e della roccia si deve la quasi totalità degli interventi di soccorso in alta quota, ma anche quelli per riportare in superficie speleologi in difficoltà.

Sia chiaro, l’infortunio in montagna può capitare anche al più esperto degli alpinisti – il Fato non fa distinzioni – certo è che la maggior parte delle operazioni di soccorso si rivolge ai suddetti sprovveduti.

A scorrere i giornali – non occorre andare troppo a ritroso nel tempo, bastano gli ultimi sei mesi – si scopre che di “leggerezze” in montagna se ne commettono a cataste.

Tra le più tipiche quelle causate dalla mancanza di attrezzature idonee: si parte con l’idea di fare una passeggiata senza pensare alle caratteristiche del terreno e soprattutto senza essersi informati delle condizioni meteorologiche.

Lo scorso mese di settembre tre ragazzi veneziani, età dai 19 ai 23 anni, si sono incamminati per la Ferrata degli Alleghesi sul Civetta con calzature e attrezzatura inadeguata; bloccati su una cengetta a quota 2840 sono stati salvati da un tecnico CNSAS, fatto sbarcare da un elicottero in volo a punto fisso (hovering), che ha raggiunto a piedi gli sprovveduti mettendoli in sicurezza e consentendone il trasporto – sempre in elicottero – al Rifugio Coldrai, speriamo dopo un “cazziatone” epico.

C’è anche chi si fida troppo del proprio fisico e poi si trova a malpartito, basti vedere i due turisti bielorussi – ovviamente senza equipaggiamento – che hanno deciso di farsi una passeggiata partendo dal Rifugio Migon di Laste senza pensare che a ottobre le giornate si sono oramai accorciate. Esausti e lontani dal rifugio si sono ritrovati al buio. Se fossi stato uno dei quattro soccorritori, che dopo averli individuati li hanno riaccompagnati al rifugio aiutandoli a superare i tratti difficili del sentiero, un calcione nel sedere glielo avrei rifilato.

Succede pure che un anziano in cerca di funghi si smarrisca nel bosco e non riesca più a trovare la via del ritorno; recentemente è accaduto ad un ottantenne veneziano nella zona del Cimone e anche in questo caso il Soccorso Alpino è intervenuto con sedici soccorritori che hanno setacciato la zona fino a ritrovarlo sano e salvo. Magari la prossima volta i funghi li comprerà da fruttivendolo.

Come si diceva l’infortunio può capitare anche agli esperti: è il caso di un’escursionista ferrarese che, messo male un piede lungo la Strada Granatiera del Monte Cengio, si è fratturata una caviglia; ancora una volta il Soccorso Alpino è intervenuto stabilizzando la malcapitata per poi trasportarla all’ambulanza e successivamente all’ospedale.

Anche i patiti del parapendio – questi in maggioranza tedeschi e austriaci – combinano le loro in vario modo ma fortunatamente senza conseguenze gravi, talora con esiti un po’ da cartone animato.

Lo scorso 25 ottobre il Soccorso Alpino della Pedemontana del Grappa ha dovuto recuperare un parapendista tedesco cinquantaseienne caduto subito dopo il decollo e rimasto impigliato tra i rami di un albero; ci sono voluti cinque soccorritori per tirare giù la bóndola germanica.

Stessa sorte per un tedesco, sempre in provincia di Treviso, rimasto impigliato ai rami di un pino a dieci metri d’altezza, a mo’ di gatto della zia Odoarda, e salvato da una squadra di soccorso che, a coronamento della giornata, è stato chiamato – giusto un attimo prima di risalire sul mezzo di servizio – a prendersi cura di un’altra parapendista, olandese ventisettenne, rimasta pure lei appiccata ai rami di un albero a otto metri d’altezza, ciondolando come un baco da seta.

Giova ricordare agli escursionisti-alpinisti-fungaioli “fai da te” che il servizio di Soccorso Alpino è gratuito solo in caso di emergenza sanitaria e successivo ricovero in ospedale; in tutte le altre evenienze si paga e pure salato.

In Veneto alla chiamata immotivata o il mancato ricovero si applicano le seguenti tariffe: Diritto fisso chiamata squadre a terra € 200 + € 50 per ogni ora aggiuntiva oltre la prima, fino ad un max di € 1500, Elisoccorso: € 90 a minuto di volo, fino ad un massimo di € 7500.

Io prima di andare a fare una ferrata in scarpette da passeggio ci penserei sessanta volte e poi opterei per calzature da trekking.

Alessandro Cammarano

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