27 Gennaio 2023 - 9.54

Giorno della memoria. Fra antigiudaismo ed antisemitismo

Umberto Baldo 

Il 27 gennaio di ogni anno è dedicato alla Memoria delle vittime della Shoah.

Per un giorno radio, televisioni, giornali ci invitano a fermarci per ricordare le atrocità compiute dal Nazi-fascismo in nome della difesa della razza “ariana”  nei confronti del popolo ebraico in particolare, ma anche di altre minoranze quali zingari e sinti.

Qualche giorno fa Liliana Segre, senatrice a vita, una dei pochi sopravvissuti al lager nazista, ha detto: “Io penso che tra qualche anno sulla Shoah ci sarà solo una riga sui libri di storia e poi neanche più quella”.

Una riflessione che condivido, perché vedo in generale un riaffiorare di segnali di ritorno e di nostalgie pericolose, e poi perché nei giovani si assiste ad un indebolimento dell’idea di quello che è stata la Shoah, indebolimento in parte comprensibile a mano a mano che quegli anni si allontanano, e i testimoni  diretti dei campi di sterminio vengono a mancare.

Ecco perché serve il giorno della Memoria: per perpetuare e trasmettere anche alle generazioni future il ricordo di una tragedia, al fine di non abbassare la guardia, sulla scia delle parole che richiamano il monito “profetico” di Bertolt Brecht: “vigilate uomini, perché il ventre che partorì il mostro immondo è sempre fecondo”. 

Ma se è giusto il ricordo di uno dei momenti più cupi della storia umana, ed europea in particolare, unitamente alla condanna di un regime sanguinario ed assassino quale fu il Terzo Reich hitleriano, sarebbe troppo facile, troppo assolutorio pensare che il genocidio di un popolo nel cuore dell’Europa sia stato il frutto improvviso delle idee di un pazzo criminale e della sua cerchia.

No, il nazismo ed il fascismo vanno visti a mio avviso come il punto di arrivo di un’eredità razzista che ha origini lontanissime, e di stereotipi che hanno costituito nei secoli il “patrimonio” da cui hanno attinto l’antigiudaismo teologico di matrice cattolica, e in seguito l’antisemitismo moderno, inteso come pregiudizio antiebraico di matrice economica e politica.

Questi stereotipi che, come accennato sono radicati nella storia, sono ancora diffusi: quante volte abbiamo sentito parlare dell’ebreo “usuraio”, dell’ebreo “ricco”, del “complotto ebraico”, degli ebrei “deicidi”.

Non è certo questa la sede per ripercorrere compiutamente la storia dell’antigiudaismo e poi dell’antisemitismo, ma credo che per capire il vero senso della Shoah non si possa prescindere da qualche ricordo relativo a cosa abbia voluto dire essere “ebrei” nei secoli. 

Cominciando da quell’accusa di “deicidio” nata all’epoca del tardo Impero romano, secondo la quale gli ebrei sarebbero stati i responsabili della morte di Gesù e per questo motivo maledetti eternamente. 

Questa credenza non ha generato solo numerose persecuzioni, ma anche altri pregiudizi, come quello della profanazione dell’ostia e la presunta usanza degli omicidi rituali (di bambini cristiani), intesi come una sorta di prosecuzione del deicidio.

Non va dimenticato che nella liturgia cattolica del Venerdì santo dal VII fino al XX secolo c’era una preghiera nella quale  era presente la locuzione “Oremus et pro perfidis Judaeis”, che venne eliminata solo nel 1959 da Papa Giovanni XXIII. 

Per proseguire in epoca medioevale quando ai cristiani era proibito concedere prestiti ad interesse, per cui a quella che oggi chiamiamo attività finanziaria si dedicarono gli ebrei.

Da qui il pregiudizio di “ebreo avido” e di “ebreo usuraio”, ma in realtà le banche sono nate per una necessità storico-economica, e gli Ebrei sono stati lo strumento che ha facilitato lo sviluppo dell’economia moderna.

Credenze da cui non furono immuni neppure intellettuali che oggi definiremmo di sinistra; ad esempio Karl Marx considerava gli ebrei esponenti di primo piano del capitalismo contro cui lottare in nome del socialismo.

Stereotipi che si concretizzarono nel 1492 con l’espulsione degli ebrei dal Regno di Spagna, e alla fissazione per la prima volta del principio della “limpieza de sangre”, prima importante discriminazione in senso razzista contro gli ebrei.  

Altro fenomeno di fondamentale importanza per la storia del popolo ebraico fu poi la costruzione dei ghettii quali, dopo la Controriforma cattolicacominciarono a sorgere progressivamente in tutta Italia e in tutta Europa, in particolare negli stati tedeschi. 

Gli ebrei venivano così separati dal resto della popolazione e potevano uscire  dal loro “isolamento” solo con dei segni di riconoscimento. 

Il famoso ghetto di Roma fu istituito nel 1555 in seguito alla bolla “Cum nimis absurdum” di Papa Paolo IV.

Ma il pregiudizio antiebraico attecchì a fondo anche nell’ Europa dell’est e nella Russia zarista (e poi anche sovietico-stalinista) tanto che con lo zar Alessandro III  la repressione sfociò in violentissimi pogrom, cioè attacchi con saccheggi e uccisioni effettuati nei quartieri ebraici, che avvenivano con l’assenso del governo. L’antisemitismo assunse qui una nuova forma, similmente a quanto stava accadendo in Germania: gli ebrei, identificati come un corpo estraneo e corruttore per la Russia, erano visti talvolta come coloro che colpevolmente introducevano valori occidentali nell’Impero, e altre volte come capitalisti e sfruttatori.

Con questi richiami storici alla millenaria persecuzione del popolo ebraico non intendo certo ridurre o addirittura giustificare le responsabilità naziste e fasciste sull’ “Olocausto”, anzi.

Il fatto che la Shoah abbia trovato un fertile terreno nell’antisemitismo diffuso allora in Europa  non allevia certo le responsabilità degli Hitler, dei Geobbels, degli Eichmann, degli Himmler e di tutti gli altri macellai nazisti, e anche del regime fascista che emanò le leggi sulla razza. 

Ma credo sia importante anche ricordare che la Shoah è stato solo uno dei tanti drammatici eventi che hanno colpito il popolo ebraico durante la sua lunga storia. 

Perché da 2000 anni il solo fatto di nascere ebreo è considerata una “colpa”!

Umberto Baldo 

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

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