Gaza: fame di aiuti o fame di potere?

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Lawrence d’Arabia
C’è qualcosa di profondamente ipocrita nel dibattito internazionale su Gaza. Tutti, giustamente, si indignano per la crisi umanitaria, per i bambini che muoiono di fame, per gli ospedali senza medicinali.
Ma pochissimi osano dire ad alta voce una verità che grida vendetta: chi tiene la popolazione palestinese in ostaggio non è solo Israele.
E’ anche Hamas!
Sì, Hamas. Quella stessa organizzazione che da anni si presenta al mondo come eroica resistenza, con i grandi capi che vivono in ville miliardarie in Qatar, ma che nei fatti si comporta come un regime autoritario e cinico, pronto a lucrare persino sul pane e sull’acqua pur di mantenere il controllo assoluto sulla Striscia.
In questo scenario, gli aiuti umanitari diventano merce di scambio.
Il cibo serve a mantenere l’ordine, non la giustizia.
Il latte in polvere è un’arma di propaganda. L’acqua potabile diventa uno strumento di fidelizzazione.
E ogni voce che si leva contro questo sistema viene subito bollata come traditrice, o peggio, collaborazionista.
C’è un aspetto che dovrebbe far riflettere.
Israele, anche sotto la pressione internazionale, ha proposto che gli aiuti umanitari vengano distribuiti da autorità terze, come le ONG o agenzie dell’ONU.
Una proposta logica, se si vuole garantire che quegli aiuti arrivino davvero alla popolazione e non finiscano nelle mani sbagliate.
Eppure, Hamas dice NO, si oppone con forza, rifiuta. Vuole gestirli in proprio.
Domanda: perché mai un gruppo che dice di amare il proprio popolo dovrebbe opporsi a un sistema trasparente e neutrale di distribuzione degli aiuti?
La risposta è semplice, brutale, ma necessaria: perché su quegli aiuti ci mangia, ci lucra, e non in senso metaforico.
Perché controllare i convogli, le razioni, i carburanti, significa tenere la popolazione sotto ricatto.
Un popolo affamato è più obbediente. Un popolo disperato non si ribella. E se qualcuno osa protestare, basta negargli il pacco viveri.
Hamas ha trasformato gli aiuti umanitari in strumenti di dominio, in armi politiche.
C’è chi parla di “tasse rivoluzionarie”, chi denuncia che parte del cibo finisce ai miliziani, chi racconta di interi quartieri puniti perché considerati “infedeli” al regime.
Non è una novità: è la logica del totalitarismo. Solo che qui si applica nel mezzo di una tragedia umanitaria di proporzioni bibliche.
E allora diciamolo chiaro: non basta chiedere il cessate il fuoco.
Non basta chiedere a Israele di aprire i valichi.
Bisogna anche chiedere che Hamas esca di scena dalla gestione degli aiuti.
Che si faccia da parte.
Che permetta ad agenzie indipendenti di operare.
Altrimenti, ogni convoglio umanitario diventerà solo un altro strumento nelle mani di chi opprime Gaza “da dentro”.
Il popolo palestinese merita giustizia, pace, libertà.
Ma finché sarà costretto a scegliere tra la fame imposta da fuori e la sottomissione imposta da dentro, non sarà mai veramente libero.
E chi tace di fronte a questo doppio ricatto, per ideologia o convenienza, non sta difendendo i palestinesi.
Sta difendendo i loro carcerieri.
E qualcuno lo sta cominciando a capire finalmente anche nel mondo arabo che a Gaza non c’è futuro se resta Hamas.
Lawrence d’Arabia