23 Giugno 2025 - 9.33

Elogio del piacere proibito e della smodatezza. Tutto il resto è noia

ISCRIVITI AL CANALE WHATSAPP DI TVIWEB PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO

CLICCA QUI.

Umberto Baldo

Ieri mi è capitato di rileggere questa battuta di George Bernard Shaw: “le cose più belle della vita o sono immorali, o sono illegali, oppure fanno ingrassare”.

Di primo acchito non ci ho badato tanto, ma poi ripensandoci, mi sono reso conto che a ben guardare questa ironica constatazione racchiude tutto il senso di colpa che la civiltà occidentale, imbevuta di etica puritana, sensi di colpa cattolici, e rigurgiti salutisti, ha saputo instillare nel piacere.

E a ben guardare viviamo in un’epoca dove il piacere è sotto processo continuo, non solo nei Tribunali, ma nei talk show, sui social, persino nei supermercati bio.  Oggi tutto deve essere misurato, sterilizzato, autorizzato.

Guardate che io, anche per la raggiunta età, ormai sono inevitabilmente un morigerato (in Veneto si dice “col corpo se frusta l’ànema se justa) ma ciò non toglie che sono portato a chiedermi: Perché il piacere, da sempre, fa paura? 

Probabilmente perché è inafferrabile, è anarchico, è personale. 

Non si presta a pianificazioni, non si razionalizza, e, cosa più grave, non obbedisce ai dettami delle autorità costituite, sia politiche che religiose.  

E allora, che fa da sempre il Potere? 

Circonda il piacere di sensi di colpa, lo riduce a svago, lo medicalizza. 

E lo si ammanta di un giudizio negativo: se godi troppo, qualcosa di sbagliato ci dev’essere.

Volete un esempio terra terra?

Chi nell’età adolescenziale, quando si affacciano le prime pulsioni sessuali, non si è sentito dire con toni gravi dal sacerdote che l’onanismo è un grave peccato, e dai genitori che può indurre alla cecità?

Qualunque medico ed oculista vi può confermare che si trattava di una “cazzata cosmica”, e che al massimo, in caso di abuso, tutto si sistemava con qualche uovo sbattuto con tanto zucchero.

Adesso non si ci limita alle “se..he”, perché abbiamo criminalizzato la sigaretta, la libertà sessuale, il vino, il burro, la pigrizia, il silenzio, perfino il sole (oggi ci dicono che è “tossico” anche lui). 

Ma poi ci ritroviamo a pagare per finti piaceri, dalle patatine senza patata ai porno algoritmici, passando per la nuova frontiera della trasgressione domestica: la pizza senza glutine con mozzarella vegetale. 

Roba che nemmeno Shaw, con tutto il suo sarcasmo, avrebbe potuto immaginare.

Hai voglia a parlare di libertà! 

La libertà vera, oggi, sarebbe mordere una tartina al lardo bevendo Barolo alle 10 del mattino con qualcuno che non è tua moglie, magari mettendo le mani dove non si dovrebbe.

O dire una parolaccia coram populo senza finire alla gogna social. 

E magari fare l’amore senza compilare un modulo Google con la liberatoria firmata in triplice copia.

In altre parole viviamo in una società in cui la felicità è tollerata solo se certificata ISO, a basso impatto ambientale, priva di zuccheri, di glutine, e possibilmente anche di significato. 

Il godimento deve essere sostenibile, vegano, tracciabile e plastic free. 

Ma che gusto c’è, mi chiedo, a fare l’amore in posizione yogica solo dopo aver acceso un bastoncino di sandalo, con sottofondo di flauti nepalesi, avendo firmato un consenso reciproco, e misurato il battito cardiaco con lo smartwatch?

Eppure sempre più persone ci credono a queste favole salutiste e moraliste.  Ci credono davvero.

Avete mai pasteggiato con un vegano che quando ti vede addentare il primo boccone di una fiorentina, ti guarda con uno sguardo schifato e ti dice con tono ieratico «Sai che la carne putrefatta ristagna nell’intestino per 72 ore?».   Lo scopo è chiaramente quello di instillarti il rimorso, e rovinarti il piacere, quella gioia primordiale che ti da quel morso, quella sensazione di essere ancora un onnivoro come i nostri antenati.

E vogliamo parlare dei talebani del benessere? Quelli che alle 6 del mattino (io li incontro passeggiando) fanno jogging a stomaco vuoto, bevono acqua alcalina, e parlano solo di fermenti lattici? 

Li riconosci subito: non ridono mai, sempre concentrati sulla performance. 

Hanno la tristezza dolce di chi negli ultimi tempi non ha mai affondato i denti su un babà al rum, né baciato una donna (consenziente eh!) sotto la piaggia.

A questi profeti del sacrificio, del salutismo estremo, che forse all’epoca dei Catari sarebbero stati i “Perfetti, va ovviamente tutto il mio affettuoso pensiero.

Ma non li ammiro fino in fondo, perché, diciamolo, il mondo è già abbastanza grigio senza dover rinunciare anche al burro, alla seduzione, alla carbonara e alla canzone trash anni ’80 che ti fa ballare in mutande.

Per fortuna la storia, in questo sì magistra vitae a mio avviso, ci ricorda che ci sono stati quelli che hanno saputo resistere alle chiamate alla moderazione, che badate bene ci sono sempre state  (pensate solo a Savonarola o a San Francesco).

E così mi sovviene Trimalcione, il personaggio più sguaiato e libertino del Satyricon di Petronio:  un ex schiavo arricchito che faceva della gozzoviglia il proprio status. Le sue cene pantagrueliche, con piatti serviti da danzatrici nude e portate accompagnate da versi di Omero recitati da eunuchi, sono il sogno segreto di ogni manager costretto alle cene vegane di networking. Trimalcione, nella sua volgarità, è più sincero di tanti asceti fasulli.

Per non dire di Giacomo Casanova, uomo di lettere e di lenzuola, che faceva della seduzione un’arte e del vizio una vocazione. Per lui, il piacere non era peccato, ma conoscenza. «Chi non ha amato una donna bella, non sa cosa sia la vita», scrisse. E come dargli torto? Oggi invece ci vendono “esperienze relazionali consapevoli”, cioè l’anticamera del nulla.

Nel Novecento, il testimone per me passa a Keith Richards, sopravvissuto a ogni abuso chimico e morale, che in un’intervista disse: «La gente pensa che io sia un esempio negativo. In realtà, sono un miracolo della medicina!”  “ Io non ho mai avuto problemi con la droga, li ho avuti con la Polizia”.

E in effetti ha ragione: lui è la prova vivente che l’eccesso, se ben calibrato, può essere una forma di longevità.      Di certo è più vivo lui, che a 80 anni suonati saltella sui palchi con Mick Jagger, che molti santoni del benessere.

Senza dimenticare il Marchese de Sade, Oscar Wilde, e Bukowski.

Ma anche in politica, attenzione, non è mancato chi seppe coniugare potere e piacere: Winston Churchill si dice bevesse champagne a colazione, e si rifiutava di fidarsi di chi non beveva. 

E Talleyrand, geniale opportunista e buongustaio, diceva: “chi non ha vissuto prima della Rivoluzione francese, non sa cosa sia il vero piacere di vivere”.

Cosa avevano in comune tutti costoro?

Che non si sono mai scusati per aver vissuto troppo. 

E che hanno fatto del piacere non una colpa, ma un valore, un modo per stare al mondo con più intensità, con meno paura, con più verità.

E allora, tornando all’oggi, a questa modernità imbevuta di paura del corpo, del desiderio, del gusto; dove si vive in una bolla di app. per monitorare il sonno, il battito, le calorie, i pensieri e perfino i sogni. 

Dove un bicchiere di vino a cena è “consumo a rischio”, e un po’ di grasso sulla pancia è “emergenza sanitaria”. Dove per fare sesso devi avere consenso, contratto, e magari anche assicurazione.

Eppure ammettiamo che, sotto questa patina di efficienza virtuosa, il desiderio cova ancora. 

Perché il corpo, la gola, la pelle, non obbediscono alle circolari ministeriali o ai guru di You Tube. 

E allora, ogni tanto, vale la pena disobbedire.

Mangia quella frittura. Fuma quella sigaretta. Sgattaiola da quell’amante. Ridi sguaiatamente. Bevi quel gin tonic. Leggi il Decamerone. Ballati un pezzo dei Rolling Stones nudo in salotto. 

Perché l’unica vera trasgressione rimasta, oggi, è vivere con autenticità.

La morale? Non c’è morale. O forse sì: se una cosa ti fa bene, ti fa ridere, ti accende la pelle, ti scalda l’anima… falla!. 

Anche se poi ti giudicano, anche se poi ti tocca salire sulla bilancia o scendere in confessionale.

Tanto, come diceva un altro grande cinico, «vivere è pericoloso». Ma rinunciare a vivere, quello sì, è davvero immorale.

In piena linea con il pensiero di Oscar Wilde: «Posso resistere a tutto, tranne che alle tentazioni.»

E forse, oggi più che mai, resistere al moralismo, all’ipocrisia e alla mediocrità di certi “piaceri surrogati” è un dovere etico.

Sì, anche se ingrassa!

E allora, caro  amico, anche tu che mi leggi, e che forse hai paura di esagerare… ogni tanto, fallo. Esagera! 

Fatti quella carbonara.

Ama quella persona sbagliata.

Ridi in mezzo al silenzio.

Goditi l’immoralità di un piacere vero.

Non per forza devi fare il vegano!

E poi come poetava il Magnifico Lorenzo: “Del doman non v’è certezza”.

Chiudo con un’ultima notazione: nonostante tutto i cimiteri sono pieni di gente magra, vegana, astemia, sportiva!  

Vuol dire semplicemente che rinunciare ai piaceri della vita non garantisce né la longevità né l’immortalità.

Tutto il resto è noia.

Umberto Baldo

Potrebbe interessarti anche: