Donald Trump: breve guida all’autocrazia 2.0

Dev’essere una questione di stile.
Donald Trump, fresco di ritorno alla Casa Bianca, con più rancore che idee, ha deciso che il modo migliore per riaffermare l’autorità presidenziale è quello di trasformare gli Stati Uniti d’America in una serie distopica di Netflix.
Titolo provvisorio: “House of Handcuffs”.
Nel giro di poche settimane, il Tycoon con la cravatta rossa e la Costituzione in tasca (forse mai veramente letta), ha spuntato un bottino da record: arrestato il sindaco di Newark, fatto incatenare una giudice del Wisconsin, placcato e ammanettato il Senatore Padilla nel pieno di una conferenza stampa, il tutto condito da scene da far impallidire anche la serie “Narcos”.
Da quando si è insediato ha messo in scena il più grande spettacolo di repressione mai visto su suolo americano. Arresti a raffica. Sindaci, senatori, giudici, deputati. Tutti rigorosamente democratici, progressisti o, peggio ancora, contrari a certe sue politiche presidenziali.
In California, il Governatore si è svegliato una mattina scoprendo che la Guardia Nazionale non risponde più a lui, ma al Capo. No, non quello della polizia. Al Chief, quello con la “C” maiuscola, che sta alla Casa Bianca,
A Los Angeles i Marines pattugliano le strade come se dovessero invadere Falluja.
Ma non cercate terroristi: bastano una bandiera arcobaleno o un cartello con scritto “libertà” per finire schedati.
E mentre gli americani di sinistra, o a mio avviso anche semplicemente liberal e democratici, si chiedono dove abbiano lasciato il passaporto canadese, da questa parte dell’Atlantico la Presidente del Consiglio italiana ha pronunciato la seguente dichiarazione: «Io penso che Donald Trump sia un leader coraggioso, schietto, determinato, che difende i suoi interessi nazionali. Io mi considero una persona schietta, coraggiosa e determinata che difende i suoi interessi nazionali. Quindi direi che ci capiamo bene anche quando non siamo d’accordo”.
L’impressione è che si piacciano da morire, come Bonnie e Clyde, ma in versione istituzionale.
Certo, difendere gli interessi nazionali arrestando giudici, deputati e governatori non è una novità assoluta sotto il cielo.
Solo che, di solito, succede in Turchia, in Russia, o nel Venezuela di Maduro.
Purtroppo ora anche in America, che io consideravo, pensate un po’, la “culla della democrazia e della libertà”.
Ma, tranquilli: se lo fa Trump, dev’esserci sicuramente un buon motivo.
E se qualcuno azzarda a dire che questa è una torsione autoritaria spaventosa, viene subito rimbrottato: «E allora Biden? E allora l’Unione Europea? E allora il wokismo?»
Intanto il “leader coraggioso” ci mostra che la democrazia è una convenzione, e che basta poco per trasformare una Repubblica in una Monarchia elettiva, con tanto di diritto divino e diritto d’arresto.
E molti di noi, qui, ad applaudire. O peggio: ad imitarlo.
l pericolo più grande, in fondo, non è Trump.
È l’idea che Trump non sia più percepito come un pericolo; è il fatto che tutto questo venga visto e raccontato come “determinazione”, “leadership”, “realismo”.
È quando l’autoritarismo si traveste da buonsenso che bisogna iniziare a tremare!
Perché il giorno in cui anche da noi un Ministro dovesse essere ammanettato per “ragioni di sicurezza nazionale”, ci sarà sempre qualcuno pronto a dire: «Beh, però era ora che qualcuno facesse pulizia».
Ora, potremmo anche riderci sopra. Ma è un riso amaro, molto amaro.
Il rischio vero? Che Trump non sia un’eccezione, bensì un esperimento. Una specie di test pilota. Se funziona oltre Atlantico perché non ovunque, perché non da noi?
Quindi la domanda a questo punto è la seguente: il XXI Secolo potrebbe essere il Secolo un cui finiscono le democrazie?
Credetemi che si tratta di una domanda meno peregrina di quello che potrebbe sembrare, perché siamo indubbiamente di fronte ad un riflusso delle democrazie liberali, spesso accompagnato da un’accettazione passiva, quando non entusiasta, da parte di ampi settori dell’opinione pubblica.
Forse non siamo alla fine, ma ad una sua trasformazione profonda, tanto che alcuni studiosi parlano di post-democrazia, altri di autocrazie elettorali, in cui si vota ma non si sceglie davvero.
Il rischio concreto a mio avviso non è tanto il ritorno dei regimi totalitari novecenteschi, ma una normalizzazione dell’autoritarismo, che si presenta vestito da efficienza, da difesa dell’identità nazionale, o addirittura da “democrazia illiberale” (un ossimoro, ma molto in voga).
Trump è forse il caso più eclatante, ma In Europa crescono governi “democratici” che limitano le libertà (Ungheria, Slovacchia ad esempio); in Francia l’estrema destra può vincere le prossime elezioni, e persino in Germania l’AfD vola nei sondaggi. Forse non sono veri nostalgici del nazismo che non hanno conosciuto, ma rappresentano un nuovo nazionalismo identitario e illiberale.
In America Latina, in Asiae nel mondo arabo, la democrazia è sempre più debole o del tutto assente. E in Russia e Cina, due potenze con aspirazioni globali, il concetto stesso di democrazia è visto come una debolezza dell’Occidente.
Non so dire se si tratti di un processo ineluttabile e se quindi il XXI secolo sarà la tomba della democrazia. Quello lo diranno gli storici del futuro.
Potrebbe esserlo se le democrazie non trovano la forza di riformarsi e reagire, se continuano a mostrarsi deboli, litigiose, inefficaci.
Ma per frenare la deriva servirebbero dei cittadini esigenti, informati, coraggiosi.
Ecco perché scrivere, analizzare, indignarsi, resistere, è già un atto politico, e non secondario.
Umberto Baldo