Destra e Sinistra. Le repliche infinite di una sitcom senza ascolti

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Umberto Baldo
Stamattina molto presto (si dice che il cervello con il fresco giri meglio, anche quello di un anziano come me) riflettevo sul fatto che la politica italiana assomiglia sempre più ad una pièce della Commedia dell’Arte, recitata da attori sempre più guitti.
Ogni giorno la politica tricolore ci regala un déjà vu.
Sembra di guardare sempre lo stesso episodio di una fiction low cost, solo con costumi diversi e comparse intercambiabili.
Un po’ come due lavatrici rotte, ferme in un cortile condominiale, che da decenni si insultano: una dice all’altra “sei fascista!”, e l’altra risponde “sei comunista!”.
Nessuna delle due lava più nulla, ma entrambe fanno un sacco di rumore.
Avete presente quelle sitcom americane degli anni ’90 che, anche quando non fanno più ridere nessuno, continuano a produrre stagioni su stagioni?
Ecco, la politica italiana è esattamente così.
Stessi personaggi, stessi battibecchi, stessi tormentoni.
Ma con un’aggravante: non c’è pubblico in studio a ridere, solo cittadini in bolletta che sbadigliano.
La Sinistra, come sempre, entra in scena con l’aria ispirata del protagonista di un dramma civile. Parla come se stesse per scrivere la nuova Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ma alla fine finisce a fare una mozione su gender e linguaggio inclusivo nelle mense scolastiche.
I suoi cavalli di battaglia sono eterni: Antifascismo (ormai più come terapia di gruppo che come allarme reale), Europa (che va difesa anche quando ci fa pagare un litro d’acqua come fosse champagne), Migranti (da accogliere tutti, sempre, anche quando i Comuni non riescono neppure a gestire i tombini, ed i cittadini organizzano i comitati “Qui da noi NO”); Diritti civili (che sono sacrosanti, certo, ma non risolvono il problema degli stipendi da fame).
L’ultima frontiera è il pacifismo, però quello duro alla Giuseppe Conte, che è diventato l’ultimo rifugio di chi vuole sentirsi buono senza mai rischiare nulla: si manifesta con la bandiera arcobaleno e poi si torna a casa col SUV ibrido, in tempo per il TG.
In compenso, se critichi anche solo una sfumatura di queste posizioni, vieni bollato come reazionario, ignorante o — peggio — “boomer”.
E attenzione: se sei di sinistra ma non abbastanza, sei un traditore della causa. Roba che Robespierre, in confronto, era un moderato.
La Destra, invece, si presenta come un commando da film d’azione anni ’80. Slogan corti, camicia sbottonata, mani nei capelli e giuramenti alla patria ogni tre frasi.
I suoi mantra? Sicurezza! (anche se il problema vero è che il cittadino ha quasi più paura della bolletta che del ladro), Stop immigrazione (ma intanto la raccolta dei pomodori la fanno i braccianti stranieri), Famiglia tradizionale! (anche se metà dei leader hanno famiglie più fluide di una serie Netflix), Meritocrazia! (purché il merito coincida con il proprio amico di Partito).
E se provi a dire che forse, ma solo forse, le cose sono un po’ più complesse… sei subito un “radical chic”, uno che “vive nei salotti”, o — il peggio del peggio — “uno di sinistra che si vergogna di dirlo”.
La sinistra, personificata da una Elly Schlein che sogna l’Europa arcobaleno ma finisce a Budapest al Gay Pride, recita il copione dei diritti civili con lo stesso entusiasmo con cui si legge il foglietto illustrativo dell’Aspirina.
La destra, con Giorgia in prima fila e i “patrioti” di TikTok alle spalle, recita il patriottismo come fosse uno spot del Mulino Bianco, ma con i confini al posto delle merendine.
In questo eterno ping-pong ideologico, le due squadre sembrano giocare non per vincere, ma per non far vincere l’altro.
Ogni tanto, per tenermi in forma, faccio zapping tra un talk show e l’altro.
Dicono sia masochismo.
Io lo chiamo cardio cerebrale.
Vedere la destra e la sinistra confrontarsi è come assistere ad una rissa tra due Pokémon: usano sempre gli stessi attacchi, si insultano a suon di slogan, e nessuno riesce mai a vincere.
La sinistra, da manuale, inizia con una posizione di superiorità morale, etica, estetica e anche sartoriale. Si presenta al dibattito con un completo ecosostenibile, scarpe vegane e un’espressione sofferente, come se portasse sulle spalle tutte le ingiustizie del mondo… e anche un po’ di cervicale.
Attacca subito con il suo colpo migliore: “Fascismo!”. Non importa l’argomento: immigrazione, edilizia, bonus bebè… tutto riconduce al pericolo nero.
Se una donna indossa un tailleur blu invece che rosa? Fascismo.
Se un comune vieta i monopattini sul marciapiede? Autoritarismo.
Se ti azzardi a dire che forse servirebbe un po’ più di ordine nelle scuole? Ecco il regime!
Ma attenzione: la destra non sta a guardare.
Parte con il suo colpo speciale: “Buonismo radical chic!”
Anche qui, non importa il tema. Se parli di accoglienza, sei un traditore della Patria.
Se hai letto più di due libri e non guardi “Fuori dal Coro”, sei automaticamente sospetto.
Se proponi di regolarizzare qualche migrante per non farlo lavorare in nero?
Sei Soros travestito da parroco di campagna.
Se difendi i diritti civili? Sei comunista, gender fluid, probabilmente ateo, e di sicuro hai una seconda casa in centro a Bologna.
Insomma, entrambi gli schieramenti vivono in un universo parallelo, dove la realtà è solo un pretesto.
La sinistra continua a difendere un mondo operaio che nel frattempo è emigrato in Polonia, e si batte per diritti che nessuno mette in discussione… tranne lei stessa, ogni tanto, per far notizia.
La destra, invece, sogna un’Italia “che non c’è più” (ma forse non è mai esistita), con le sagre, la famiglia tradizionale, i presepi obbligatori e i ministri con la tuta mimetica.
Nel frattempo, la realtà sta da un’altra parte.
La sanità pubblica arranca, e se non hai soldi per curarti muori, la giustizia è lenta, i giovani emigrano, e il Mezzogiorno viene evocato solo nei discorsi da convegno, quando proprio non se ne può fare a meno.
Eppure, loro — Destra e Sinistra — continuano a duellare come due spadaccini ubriachi, convinti che il mondo giri attorno al loro eterno litigio.
Nel mezzo, c’è un Paese vero, sempre più stanco, che vorrebbe solo pagare meno tasse, avere un medico di base ed un treno che arrivi in orario, o poter vedere la figlia uscire di sera senza l’angoscia che trovi qualche delinquente che la violenti o peggio.
Ma questo — ahimè — non fa notizia.
E noi? Noi lì, come pubblico non pagante, a guardare la replica numero 8934 di un dibattito che non porta da nessuna parte.
Un pubblico che non ride più, non applaude più. Al massimo sbadiglia, si volta verso Netflix o si rifugia in un cinismo sempre più disperato.
Forse sarebbe ora di cambiare canale. O, quantomeno, di chiedere agli sceneggiatori di scrivere qualcosa di nuovo.
Anche solo un colpo di scena. O, chissà… una proposta concreta.
Per concludere vi consiglio di non indulgere ad assistere ai tolk show dove imperversano questi scappati di casa: perché c’è il rischio concreto che a lungo andare vi spuntino le orecchie di Pinocchio…. si quelli lì.
Umberto Baldo