7 Ottobre 2020 - 10.20

Dal “test di verginità” in Francia alle mutilazioni genitali: logiche misogine e retaggi tribali

Prima del matrimonio la futura sposa di solito prova l’abito bianco, organizza la cerimonia, compila la lista degli invitati, e si dedica a tutte le altre piacevoli incombenze per un giorno decisamente importante nella vita di una donna.Ma in Francia per alcune donne sposarsi significa sottoporsi a quello che viene chiamato “test di verginità”, cioè all’ “ispezione” di un professionista che deve attestarne l’ “integrità”. Sì, avete capito bene, non parliamo di un angolo dell’Africa dimenticato da Dio, ma della civilissima Francia, in cui certe ragazze per trovare un uomo che le sposi devono produrre a lui o alla sua famiglia un certificato di “garanzia”.   Come si fa per un animale, di cui si chiede il pedigree prima di acquistarlo.Nella Francia alle prese con la seconda ondata di Covid-19, il Governo ha deciso di far fronte al problema della crescente insicurezza sul territorio nazionale legata al cosiddetto “separatismo islamista”, dove per separatismo si intende una sorta di “manipolazione” del fatto religioso per giustificare l’autonomia di certe comunità rispetto alle regole della République.E’ dall’ottobre 2019 che il Presidente Macron ha cominciato a parlare di “manifestazioni separatiste in alcune parti della nostra Repubblica, sintomatiche della mancata volontà di vivere insieme, a nome di una religione, l’Islam”.Da qui l’intenzione di inserire in questa futura legge contro il separatismo religioso anche il divieto dei “certificati di verginità”, rendendo la pratica penalmente perseguibile.“La dignità delle donne non è negoziabile”, questo lo slogan lanciato dall’ex Ministro dell’uguaglianza Marlène Schiappa, che è diventata la principale promotrice di questa iniziativa legislativa. E credo non si possa che essere d’accordo con lei!Il problema c’è, tanto è vero che due anni fa l’Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani, UN-Women e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, hanno chiesto il divieto di questi “test di verginità”, che obiettivamente sono una violenza contro le donne, un attacco alla loro dignità e all’uguaglianza tra generi.  Per non sottacere che “tecnicamente” nessun professionista è in grado di attestare la verginità di una donna, perchè non vi è nessuna connessione certa fra l’imene e la verginità.Partendo da queste considerazioni, come sopra accennato, il Governo francese intende “perseguire penalmente chi rilascia questi certificati”, compresi anche “chi li richiede, come i genitori”.  Ed eventualmente di vietare anche altri certificati “non medici”, come quello che attesta una presunta allergia al cloro, per evitare che le ragazze possano andare in piscina, luogo evidentemente considerato dai puristi dell’Islam come indecente e pericoloso per il sesso femminile.Uno sarebbe portato a pensare che un progetto di legge del genere dovrebbe trovare il sostegno di tutti i francesi, anche se a detta dei medici si tratta di un “fenomeno minoritario”. Ma è proprio dal mondo medico che provengono dubbi e resistenze, tanto che alcuni sanitari hanno addirittura sottoscritto un appello, pubblicato su Libèration, contro questa intenzione del Governo, perchè secondo loro “il divieto penalizzerebbe e metterebbe in gravi difficoltà proprio le donne che la legge stessa pretende di “proteggere”.In particolare il presidente di “Ginecologi Senza Frontiere” e decine di primari francesi scrivono che si tratta di “una pratica barbara, retrograda e sessista, ed in un mondo ideale bisognerebbe rifiutarsi di rilasciare un documento del genere».  Ma aggiungono che nel mondo reale la situazione è diversa, e che “ci capita di dover fornire questo certificato a una giovane donna per salvarle la vita, per proteggerla perché è indebolita, vulnerabile o minacciata”. Secondo i firmatari approvare una norma che preveda che il rilascio del “certificato” diventi un reato significa abbandonare le ragazze a pratiche clandestine, o a viaggi all’estero per ottenere comunque gli attestati, mentre oggi la consultazione è l’occasione per aiutare le ragazze “a prendere coscienza e a liberarsi dal dominio maschile o familiare”.Mi rendo conto che si tratta di problematiche difficili, perchè impattano direttamente con culture ancora ben radicate in certi Paesi ed in certe etnie.E c’è da dire che, storicamente, i test della verginità non hanno comunque un legame esclusivo con determinati Paesi o con determinate religioni monoteiste. Basti pensare all’usanza diffusa fino a qualche decennio fa anche in certe parti d’Italia di esporre alla finestra il lenzuolo della prima notte di nozze, a dimostrazione della “virtù” della sposa.Ma resta il fatto che nell’Europa del terzo millennio, e nella Francia patria dei Diritti dell’Uomo, non è accettabile una pratica come quella dei “certificati di verginità” che costituiscono, comunque la si voglia vedere, una violazione del rispetto delle giovani donne e della loro privacy.Per quanto attiene all’Italia, non ho trovato notizie che esista un problema analogo a quello francese.Ma ciò non vuol dire che anche nel BelPaese non ci siano problemi per alcune donne, derivanti da pratiche ancestrali, tipo escissione o infibulazione.Il fenomeno è legato soprattutto ai flussi migratori che hanno interessato e stanno interessando la nostra Penisola negli ultimi decenni, che hanno portato alla ribalta anche in Italia il tema delle mutilazioni genitali femminili.Quanto è diffuso il fenomeno?L’ultima indagine, “Il rapporto sulla popolazione del mondo”, dedicato anche alle Mutilazioni genitali femminili, risale al 2019, e rivela che  al 1° gennaio 2018 nel territorio italiano erano presenti 87.600 donne escisse, di cui 7.600 minorenni.Ricordo che si tratta comunque di stime, perchè è quasi impossibile, per questioni di naturale reticenza delle donne interessate, avere numeri precisi.Come accennavo il fenomeno è legato all’intensità dei flussi migratori dai Paesi dove sono diffuse tali pratiche.La proporzione di donne mutilate supera l’80% fra le maliane, le somale, le sudanesi e le burkinabé; altre provenienze non superano invece il 30%.La pratica è gestita dalle donne, ma è sorretta da un sistema di valori e di norme che esercitano una funzione culturale e identitaria, basata sul perseguimento dell’attenuazione del desiderio femminile, dell’aumento del piacere maschile, ma soprattutto della sicurezza della fedeltà matrimoniale e della preservazione della verginità.La mutilazione genitale viene ad assumere in queste culture una sorta di rito di passaggio della giovane donna, spesso una bambina, all’età adulta, finalizzato alla sua “integrazione sociale”, incluso il suo “valore sul mercato matrimoniale”. Non c’è dubbio che si tratti di pratiche aberranti, che non hanno alcun fondamento nè religioso nè sanitario. Rispondono solo a retaggi tribali e a logiche misogine. Il fenomeno in Italia resta comunque difficile da inquadrare e affrontare, anche per il doloroso ritegno con cui le donne che lo hanno subito conservano il segreto su questo trauma. Oltre tutto il contrasto a tali pratiche, che per la nostra legge sono un reato, resta difficile per la diffusa usanza di praticare le mutilazioni alle bambine nate in Italia durante soggiorni temporanei nei loro Paesi di origine. E’ evidente che finchè ci saranno uomini che per sposare una ragazza pretendono che questa sia “infibulata” od “escissa” c’è poco da fare. Per questa ragione l’unica possibilità di porre un freno al fenomeno è un intervento di tipo “culturale”, in primis sulle madri che devono essere convinte a non sottoporre le figlie a questi atti di barbarie. E poi iniziative condivise dalle comunità di appartenenza, che coinvolgano leader capaci di “rompere” una consuetudine che si nutre della paura di queste donne di essere emarginate.Più facile a dirsi che a farsi, lo capisco, ma non vedo altre alternative.

PS: sul tema consiglio a chi non l’ha visto di andare a ripescare il film “Fiore nel deserto”, tratto dal libro autobiografico di Waris Dirie, che è la storia vera di questa ragazzina nomade, infibulata in tenera età, che per sfuggire ad un matrimonio combinato con un sessantenne  vedovo decide di scappare, attraversa da sola il deserto, arriva a Mogadiscio e poi a Londra, e in pochi anni diventa una delle modelle più amate e pagate del mondo.  Per le sue battaglie, Kofi Annan la nominò ambasciatrice delle Nazioni Unite per la lotta contro le mutilazioni genitali femminili.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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