Conclave 3 – Le Chiese del “resto del mondo”

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Umberto Baldo
In quest’ultima carrellata sull’imminente Conclave puntiamo lo sguardo sulle Chiese di altri Continenti, che per secoli e secoli sono sempre state subordinate a quella italiana ed europea, ma che stanno vivendo una fase di crescita, che fa da contraltare alla scristianizzazione strisciante del vecchio continente.
Partendo dalla situazione della Chiesa cattolica in Sud America, direi che il quadro si presenta complesso ma molto interessante, soprattutto perché questo continente è stato storicamente una delle roccaforti mondiali del cattolicesimo.
Eppure negli ultimi decenni, la Chiesa cattolica ha perso terreno in molti Paesi sudamericani. La causa principale sta nella crescita esplosiva delle Chiese evangeliche e pentecostali; molto dinamiche, radicate nelle comunità povere, capaci di offrire sostegno materiale e spirituale diretto.
Cui si è aggiunta la percezione di una Chiesa lontana dai bisogni della gente, nel senso che l’istituzione cattolica viene spesso vista come burocratica, gerarchica, poco reattiva alle urgenze sociali.
A seguire gli scandali (soprattutto legati alla pedofilia), che hanno contribuito a minare la fiducia in molte diocesi, e poi la secolarizzazione, nel senso che le nuove generazioni, soprattutto nei grandi centri urbani (San Paolo, Buenos Aires, Santiago), si allontanano progressivamente dalla religione organizzata.
Tanto per fornire un solo dato, in Brasile il numero di cattolici è sceso dal 90% (anni ’70) a circa il 50-55% di oggi.
In estrema sintesi la Chiesa cattolica in Sud America sembra essere ad un bivio: o saprà adattarsi alle nuove realtà sociali, economiche e culturali, oppure continuerà a perdere terreno, soprattutto tra i giovani e le classi urbane. La sfida è epocale, ma non priva di speranza: perché proprio in Sud America si giocano alcune delle partite più decisive per il futuro globale del cattolicesimo.
Passando al Continente Africano, è indubbio che il problema del primo “Papa di colore” si avvicina sempre più, per i motivi che seguono.
L’Africa è oggi il continente in cui il cattolicesimo cresce di più. Mentre in Europa il numero dei praticanti cala, e anche in America Latina come abbiamo visto c’è un certo rallentamento a causa delle Chiese evangeliche, in Africa il totale dei cattolici è esploso negli ultimi decenni. Se guardiamo al futuro della Chiesa, l’Africa non è più periferia: è centro vitale.
La Chiesa africana è molto fedele alla tradizione. In un’epoca in cui nei Paesi occidentali si discutono riforme dottrinali (celibato dei preti, ruolo delle donne, morale sessuale), molti vescovi africani difendono una linea più conservatrice. Questo può piacere o non piacere, ma sicuramente è un tratto che conta nella scelta di un Papa: spesso i cardinali cercano un “equilibrio”, e chi è visto come saldo nella dottrina ha buone carte.
I cardinali africani sono oggi molto più numerosi di pochi decenni fa. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ne hanno nominato molti, Francesco ha continuato. Oggi sono una componente importante nel Conclave.
La questione “simbolica” è potentissima. Un papa africano sarebbe una svolta storica, il primo dopo i tempi antichi (alcuni papi dei primi secoli, come San Vittore o San Milziade, erano probabilmente nordafricani). E manderebbe un segnale fortissimo sul fatto che la Chiesa è davvero “cattolica”, cioè universale.
Passando infine al Continente Asiatico le prospettive della Chiesa cattolica asiatica sono un tema interessante e complesso, perché quelle comunità riflettono una fede globale che si incarna in contesti culturali e religiosi profondamente diversi da quelli europei, africani, o latinoamericani.
In Asia, il cattolicesimo è una minoranza religiosa quasi ovunque (con poche eccezioni come le Filippine e Timor Est), e ciò ha modellato in modo peculiare il pensiero, la pastorale ed anche la spiritualità della Chiesa cattolica in quel continente.
Non va mai dimenticato che in Asia convivono le grandi religioni del mondo: l’induismo, il buddismo, l’islam, il confucianesimo, il taoismo, senza dimenticare le religioni tradizionali.
Questo ha portato la Chiesa cattolica asiatica a sviluppare necessariamente una teologia del dialogo molto più marcata che ad esempio in Europa o nelle Americhe.
Non si tratta solo di dialoghi accademici, di quintessenze dottrinali, ma di convivenza quotidiana, fatta di rispetto reciproco, collaborazione sociale, e a volte anche di silenzioso testimoniare la fede con la vita, più che con le parole.
In paesi come Cina, India, Giappone, Corea del Sud, Vietnam, la Chiesa cattolica rappresenta una minoranza spesso marginale, ed in certi casi anche perseguitata o fortemente controllata (soprattutto in Cina e Corea del Nord).
Questo ha generato uno stile pastorale fatto di sobrietà, discrezione, e forte enfasi sulla formazione personale e comunitaria, nel senso che la fede più che nelle chiese si trasmette attraverso reti familiari, gruppi di base, catechesi intense, e una liturgia che spesso si intreccia con simboli culturali locali.
Un altro aspetto centrale è l’inculturazione, ovvero la capacità del cristianesimo di assumere elementi culturali asiatici (lingua, simboli, spiritualità, arte) senza snaturare il messaggio evangelico. In India, ad esempio, esistono liturgie cattoliche con elementi della tradizione vedica; in Giappone si valorizzano i concetti di armonia e silenzio; in Corea la pietà familiare ed il culto degli antenati vengono reinterpretati alla luce cristiana.
Il risultato finale è una Chiesa che ha imparato a non essere “occidentale”, ma profondamente asiatica e allo stesso tempo cattolica, universale.
Ricordate che papa Francesco ha sostenuto più volte che il futuro della Chiesa è in Asia; ed in effetti la Chiesa cattolica asiatica rappresenta una delle frontiere più vive e complesse del cattolicesimo contemporaneo. È una Chiesa che vive nella marginalità e nel dialogo, ma proprio per questo sviluppa una teologia e una spiritualità capaci di parlare al mondo intero. In un tempo di secolarizzazione dell’Occidente, le Chiese asiatiche ci ricordano che la fede può fiorire anche in contesti non cristiani, a patto che sia incarnata, umile e dialogante.
Ovviamente la Chiesa è ovunque fatta di uomini, ed i Cardinali extraeuropei ormai sono in grado di determinare chi sarà il successore di Franceso I°.
A partire da Antonio Gokim Tagle, 67enne Arcivescovo di Manila, vicino a Francesco, tanto da esser stato soprannominato il “Bergoglio asiatico”.
Il suo nome potrebbe uscire dal Conclave nel segno della continuità e dell’espansione della Chiesa nel sud del mondo. La buona esperienza pastorale e gli studi in teologia lo avvantaggiano, il suo nome girava già nella lista di outsider da cui nel 2013 è poi uscito eletto Bergoglio.
Condivide la postura internazionale di Francesco, dalla Cina alla lotta ambientale; è meno chiara invece la sua posizione sulla benedizione delle coppie omosessuali. Tagle, è certamente l’enfant prodige della chiesa delle periferie e, sul solco di Bergoglio, potrebbe portare ancor più in profondità il cattolicesimo, almeno in quelle aree del mondo, Pechino compresa, visto che sua madre ha origini cinesi.
Passando al Continente Nero Fridolin Ambongo Besungu, cappuccino 65 anni, Arcivescovo di Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo), è uno che conosce le regole della diplomazia, e quindi potrebbe avere i numeri per essere il primo Papa africano della storia.
E’il presidente delle Conferenze episcopali africane ed ha mantenuto la barra dritta sulla giustizia sociale, sulla lotta al neocolonialismo, sulle disuguaglianze e sulla tutela dell’ambiente; ma alcune sue posizioni reazionarie sui diritti e l’omosessualità potrebbero far sì che i cardinali conservatori scelgano lui come principale sfidante.
Chiudo con il cardinale Robert Sarah, originario della Guinea, che a 79 anni (forse troppi a mio avviso) incarna l’immagine del “papa anti-woke” che molti cattolici conservatori e tradizionalisti desiderano ardentemente. E’ una figura schietta e decisa, nota per la sua ferma opposizione all’ideologia di genere, all’immigrazione incontrollata, al fondamentalismo islamico e al secolarismo occidentale (“Temo che l’Occidente stia morendo… siete invasi da altre culture, che cambieranno le vostre convinzioni ed il vostro credo” ; questo un suo messaggio diventato virale e che ha acceso l’entusiasmo dei conservatori).
Spero di non avervi tediato, ma, come si usa dire, la morte di un Papa non è un evento frequente, ed in questa fase in cui l’Europa non è più il centro del mondo” a mio avviso valeva la pena di ragionarci un po’ su.
Vedremo come andrà a finire dopo il fatidico “Extra omnes”.
Umberto Baldo