Borse e guerre. Così la finanza gioca con i nostri soldi (e ci fa credere sia normale)

ISCRIVITI AL CANALE WHATSAPP DI TVIWEB PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO
Umberto Baldo
Avrete certamente notato che solitamente, dopo una notizia di una certa gravità, il commentatore di turno scandisce la fatidica frase: “vedremo domani come reagiranno i Mercati!”
Come se le Borse fossero il “Demiurgo”, che decide ciò che è bene e ciò che è male per il mondo e per l’umanità.
Guardate, da che esistono i Mercati si usa dire che gli stessi “amano la stabilità”, per cui non mi stupirei, tanto restare alla stretta attualità, se l’attacco di Israele all’Iran, e la relativa risposta armata, provocasse un piccolo terremoto, con una volatilità delle quotazioni simile alle montagne russe.
Ci sta tutto eh! Basta la sola ipotesi, o minaccia, di blocco dello stretto di Hormuz da parte degli Ayatollah per provocare un’impennata del prezzo del petrolio.
Aumento teoricamente motivato, visto che attraverso quella strozzatura transita circa il 30% del traffico mondiale di idrocarburi.
E si sa che il prezzo del petrolio influenza buona parte delle nostre economie.
Ma non è sempre così amici miei.
Anzi molto spesso aumenti o flessioni delle quotazioni sembrano basarsi più su sensazioni, che io definisco “visioni stregonesche”.
Mi spiego meglio.
Avete mai avuto l’impressione che i mercati finanziari siano diventati un’enorme macchina irrequieta, che sobbalza al minimo sussurro, come una cavalla imbizzarrita davanti a un topolino?
Questa è ormai la Borsa globale del XXI secolo, dove uno stormir di fronde a Shanghai può far crollare le azioni di un produttore di carta igienica in Finlandia, e dove la logica sembra più un optional che un principio regolatore.
Faccio un esempio.
Prendiamo il caso (la società citata è frutto della mia fantasia) della Papier&Popò Ltd., storica produttrice di carta igienica, azienda solida, con bilanci in attivo, domanda stabile, e clienti che, banalmente, non possono certo “fare a meno” del suo prodotto.
Un giorno, in uno sperduto villaggio ucraino, parte un razzo in risposta ad un drone.
Conseguenza: i titoli di Papier&Popò crollano del 7,4%.
Perché? “Per l’instabilità geopolitica”, ti dicono gli analisti con faccia grave.
E tu pensi: ma che c’entra la carta igienica con un razzo nel Donbass?
La gente non si pulisce più il c…o se in Ucraina si spara?
Ma gli esempi sono quotidiani.
Basta un tweet sgrammaticato di Elon Musk, un report di Moody’s sulle banche cinesi, o l’ennesimo missile lanciato nel Mar Rosso perché il mercato europeo crolli, quello americano vacilli, e il tuo portafoglio titoli pianga silenziosamente nel cassetto, anche se hai solo azioni di un’azienda che produce carta igienica (che, finché esisterà la civiltà, dovrebbe avere una domanda stabile, o no?).
John Maynard Keynes, che di economia a mio avviso ne capiva più di un intero consiglio di amministrazione della BCE, diceva che: “i mercati possono restare irrazionali più a lungo di quanto tu possa restare solvibile.”
Il punto è tutto qui.
La verità, amici miei, è che la Borsa ha da tempo perso il contatto con l’economia reale, quella delle fabbriche, dei lavoratori, dei prodotti.
È diventata un gigantesco videogame dove a giocare non sono più gli umani, ma algoritmi privi di qualsiasi buon senso, capaci di vendere in un nanosecondo appena annusano una parola chiave tipo: “rischio”, “default”, “recessione”, o, peggio, “tweet”.
Già, perché oggi un tweet può valere più di un bilancio annuale, tanto che se domani Vladimir Putin scrivesse “tranquilli, scherzavo, adesso si fa la pace”, Wall Street probabilmente rimbalzerebbe più dell’indice glicemico dopo un tiramisù.
Come dicevo, la Borsa moderna non è più un riflesso dell’economia reale, ma un teatrino nervoso, pieno di speculatori travestiti da investitori.
Un teatrino dove la logica non ha più alcun valore, conta l’umore.
E oggi l’umore lo decidono: gli algoritmi, freddi e letali; irumors, spesso partoriti nei sottoscala di qualche hedge fund; e, naturalmente, le previsioni catastrofiste, che fanno vendere prima ancora che ci sia un problema.
Amici miei, io capisco tutto. Capisco che i mercati hanno bisogno di efficienza, di velocità, di capacità di elaborare milioni di dati. Ma affidare di fatto le sorti del risparmio globale a robot da trading senza il filtro dell’intelligenza umana è esattamente lo stesso che dare in mano una Ferrari a un neopatentato bendato.
Vedete, si dice che la prima Borsa valori sia nata in Belgio, in quel di Bruges, nel XV secolo (altri sostengono sia nata a Venezia sempre in quell’epoca), ma si trattava di un Mercato che scambiava solo merci, cose che si potevano vedere, toccare, anche mangiare se del caso.
Ma noi umani amiamo le sofisticazioni; e così con il tempo il vero colpo di grazia al buon senso è arrivato da certe “raffinatezze finanziarie” come i futures, le opzioni, le vendite allo scoperto. Diciamolo chiaro: tutti strumenti nati non per chi vuole investire, ma solo scommettere.
Scommettere che un’azione crollerà, che un’azienda fallirà, che il mondo andrà a rotoli.
Più il disastro è grande, più si guadagna.
Eticamente parlando, è come vendere biglietti per il Titanic sapendo già che affonderà.
L’errore di fondo sta nel credere che la finanza moderna sia “evoluta”.
No: è solo diventata più “opaca”.
Come accennato, dietro termini altisonanti come futures, short selling, derivati complessi, spesso si nascondono scommesse legalizzate, fatte da pochi per guadagnare molto sulle disgrazie altrui.
Come diceva Warren Buffett, che con la finanza ci ha fatto più soldi che parole: “I derivati sono armi di distruzione finanziaria di massa”.
E se lo dice lui, che pure li ha usati a piene mani, forse dovremmo ascoltarlo.
Abbiamo stravolto tutto: perché la Borsa, in origine, era uno strumento per finanziare l’impresa, per permettere a un’idea di diventare un’azienda, e ad un’azienda di crescere.
Oggi sembra un’arena dove gladiatori invisibili si scambiano colpi su titoli di aziende che non hanno mai nemmeno visto, e dove il risparmiatore medio è solo carne da macello.
E così il “progresso” ci ha portato agli algoritmi HFT (high-frequency trading), che muovono il 70% delle transazioni in Borsa in pochi millisecondi, cercando solo micro-vantaggi speculativi.
Non creano valore, non finanziano imprese, non costruiscono nulla.
Solo profitti istantanei, come rapine coordinate nel tempo di un battito di ciglia.
George Soros (uno che con la speculazione ci ha marciato eccome) sosteneva:
“I mercati finanziari sono sempre instabili. È proprio questa instabilità che li rende redditizi per alcuni e disastrosi per altri.” (che tradotto suona così: se tu compri azioni perché credi nell’azienda, sei il pollo. Se invece giochi al ribasso con strumenti complessi, sei il lupo).
Ah già, perché non dimenticate mai che quando sentite: “I Mercati oggi hanno bruciato 1000 miliardi” non c’è stato alcun rogo eh. Poiché la Borsa è un mercato a somma zero: semplicemente quei 1000 miliardi si sono traferiti magari dalle tasche del “parco buoi” a quelle ben più capienti degli speculatori, quelli che sanno “leggere le tendenze”.
Vi starete chiedendo; caspita, sei scatenato, dove vuoi arrivare con questa reprimenda, con questa critica feroce?
Facile ragazzi, ad una semplice domanda.
Che futuro può avere un sistema in cui il lungo termine vale meno di un tweet?
Che fiducia possiamo dare a un mercato che premia la paura più della stabilità?
Ecco perché continuo a pensare – e a dirlo senza peli sulla lingua – che l’unica vera riforma sarebbe una sola: vietare tutte le operazioni che non abbiano dietro beni o soldi reali.
Compri solo se hai i soldi, vendi solo se hai le azioni. Tutto il resto? Fuori dal listino, o tassato come il gioco d’azzardo. Non mi sembra poi tanto complicato da capire.
Bisogna superare la follia secondo cui se scommetti sui cavalli lo Stato ti tassa e ti controlla. Ma se scommetti sul fallimento di un’azienda, sei un “investitore sofisticato”.
E allora?
So di essere un sognatore, ma cosa volete, vorrei un mondo in cui le aziende solide venissero premiate per i bilanci e per i prodotti, non punite per le emozioni di un algoritmo.
Un mondo in cui la carta igienica prodotta dalla Papier&Popò Ltd. conti più della volatilità.
E soprattutto un mondo in cui i Mercati non siano sempre in altalena fra miraggi e bolle, in cui le Borse non siano l’epicentro dell’irrazionalità, ma tornino ad essere il luogo dove si finanzia il futuro.
Nell’attesa dell’avverarsi di questo sogno impossibile, vediamo…… “come reagiscono oggi Mercati alle bombe israeliane ed ai missili iraniani…..”.
Umberto Baldo