30 Gennaio 2023 - 9.52

Bella città, ma… non ci vivrei… Qualche esempio

di Alessandro Cammarano

Viaggiare è uno dei grandi piaceri della vita. Lo si faccia per ragioni di lavoro o per semplice diletto l’idea di partire per raggiungere una meta – nota o sconosciuta che sia – è sempre motivo di attrazione.

Chi scrive si considera cittadino del mondo, in albergo ci sto benissimo e adoro esplorare le città in cui mi trovo a soggiornare, cercando di coglierne il maggior numero di aspetti possibili.

Entra qui in gioco il famoso adagio “Bellissima, però non ci vivrei”; esistono infatti luoghi meravigliosi, capaci di aprire il cuore del visitatore ma che ad un esame attento, pur nel loro fascino, non invitano ad un trasferimento stabile.

Le città che prenderemo in esame sono tutte, secondo me, assolutamente meravigliose, ricche di storia e di monumenti, però … dopo tre giorni cominciano ad andare strette.

Parto da un altro continente e vi porto a Tunisi.

Città incantevole, con un retaggio europeo che ancora si sente, tanto che nel diciannovesimo secolo – anche perché la Tunisia era colonia francese – aveva attirato a sé personaggi del calibro di Gustave Flaubert e di Camille Saint-Saëns solo per citarne due.

L’arabo si stempera nel francese e, miracolosamente, si riesce a comprendere quasi tutto quello che la gente dice, i viali di palme sono meravigliosi e conducono a luoghi magici come il Museo del Bardo e poi, dopo una corsa in auto, si arriva a quel miracolo che sono le rovine di Cartagine dalle quali si capisce ancora perché a Roma facesse tanta paura.

Tutto meraviglioso, per una settimana, poi le mosche prendono il sopravvento: sono ovunque, si posano su qualsiasi cosa e la visita a qualunque mercato in cerca di spezie diventa un incubo. Legioni di ditteri assatanati perpetrano assalti organizzati alle ciotoline di hummus o di olive servite con l’aperitivo, si insinuano nella camera dell’albergo, fanno capolino sulla tajine al ristorante e poco manca che si facciano aspirare insieme al vapore del narghilè. Anche i taxi con i sedili rivestiti di peluche quando la temperatura sfiora i quaranta gradi qualche problema lo danno.

Anche Venezia, alla quale pochi giorni fa è stato attribuito il titolo non esattamente lusinghiero di città più maleducata d’Italia, si difende in effetti abbastanza bene.

Tre giorni ospiti della Serenissima sono un’esperienza magnifica, tra monumenti noti e scoperte inaspettate fatte camminando senza meta per calli e campielli, poi all’improvviso ci si accorge di trovarsi in una delle città più faticose del mondo. Reperire del cibo decente – a meno di non essere disposti a sacrificare un rene – è impresa ardua a meno che non si decida di vivere di “cicchetti”. Inoltre bisogna munirsi di ottime calzature perché se si risolve di spostarsi con i mezzi d’acqua è bene procurarsi un organetto e una scimmia per chiedere l’elemosina, visto il costo del vaporetto.

Dopo la prima visita pensai che Varsavia potesse essere una capitale bellissima nella quale vivere, ma già al mio secondo soggiorno l’opinione era mutata e al terzo si consolidò.

La capitale polacca trasuda storia, anche quella più recente e tragica che si respira passeggiando per quello che fu il Ghetto testimone di eventi abominevoli.

La Città Vecchia – o Stare Miasto – seppur interamente ricostruita dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale è ricca di fascino, così come la chiesa di Santo Stefano dove è sepolto il cuore di Chopin. Però, a girare per le strade si respira una malinconia insopportabile che ti assale improvvisa e non si stacca più; le persone sono gentilissime ma anche il sorriso più aperto è velato da un’ombra di tristezza.

L’italiano medio, se interpellato in proposito, affermerebbe con assoluta certezza che la città perfetta in cui vivere è Barcellona: mi permetto di dissentire.

Fatte salve le bellezze architettoniche – Gaudí e gli altri architetti eclettici hanno lasciato testimonianze strepitose ma anche il gotico fiorito fa la sua bella parte insieme ai grattacieli moderni – la città è decisamente antipatica. Avete presente il “milanese imbruttito”? Quello del “lavoro guadagno, pago pretendo” per intenderci; ecco, esiste anche il “barcellonese imbruttito” ed è quasi peggio.

Inoltre quella della città che non dorme mai e dove si può cenare fino alle due di notte è una panzana colossale. I catalani che non sono come i madrileni – a Madrid sì che si vive ventiquattr’ore al giorno – vanno a letto presto e, salvo un giro di tapas turistiche, dalle dieci di sera in poi ci si deve accontentare del McDonald sperando che non stia chiudendo.

Terminiamo il giro tornando in Italia e più precisamente a Bologna, città meravigliosa ma con la quale non è mai scoccato il colpo di fulmine. Adoro incondizionatamente le botteghe di leccornie dietro l’Archiginnasio, amo le chiese e i palazzi, mi perdo sotto i portici infiniti ma non sopporto la sua popolazione universitaria composta in maggior parte – e credetemi non sto generalizzando – da eserciti di zozzoni che invadono i baretti e i pub del centro storico o che bivaccano direttamente in Largo Respighi abbandonando sul selciato i resti delle loro libagioni, il tutto avvolto in una nube di erba spinella che almeno contribuisce un po’ a rimetterti di buon umore. Ah, ci sono pure i pukabbestia con i loro cani sempre un po’ intronati che fanno la spesa gratis ai buffet preparati dai caffè per l’happy hour. Direi che basta.

Magari la prossima volta vi racconterò delle città dove andrei a vivere subito, senza se e senza ma.

Alessandro Cammarano

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