L’oroscopo come supercazzola nazionale. L’Italia che si affida alle stelle ed allo stellone

C’è una legge non scritta, ma solidissima, dell’economia di mercato: se qualcosa viene offerto con regolarità, è perché qualcuno la vuole e la compra.
Vale per i panettoni a Ferragosto, per le criptovalute improbabili e – purtroppo – per l’oroscopo quotidiano.
Nessun produttore insiste su un bene che nessuno vuole.
Nessuna trasmissione televisiva spreca minuti preziosi per qualcosa che non fa audience.
Dunque, se ogni mattina, puntuali come una tassa, arrivano le “previsioni”, il problema non è chi le propone, ma chi le aspetta.
E non parlo solo di quelle del tempo, che in fondo ci stanno, ma bensì di quelle del futuro, che evidentemente hanno una grossa fetta di estimatori.
Perché l’oroscopo non viene imposto con la forza.
Nessuno entra in casa armato di “zodiaco”, obbligandoti ad ascoltarlo.
È un prodotto richiestissimo, coccolato, difeso. Un bene rifugio dell’anima fragile.
E così, tra una ricetta light ed un collegamento dal mercato rionale, ecco comparire l’astrologo di turno.
Grafica stellata, voce impostata, sorriso da santone televisivo.
E via con la grande narrazione cosmica: oggi Marte è nervoso, Venere tentenna, Mercurio fa le bizze.
Una specie di Consiglio dei Ministri celeste che decide se litigherai col collega, o se troverai parcheggio sotto casa.
ll tutto con una precisione scientifica degna delle interiora di un pollo.
La scena, se la guardiamo bene, è fantastica nel senso letterale del termine.
Milioni di individui diversi – operai e notai, disoccupati e manager, studenti e pensionati – ridotti a dodici categorie cosmiche.
Dodici. Neanche i salumi al banco hanno una classificazione così rozza.
Eppure funziona. Funziona benissimo.
Perché l’oroscopo è una grande macchina di deresponsabilizzazione di massa.
Se la giornata va male, non è perché hai sbagliato. È Saturno.
Se una relazione naufraga, non è perché non vi parlavate più. È Venere in opposizione.
Se prendi decisioni disastrose, tranquillo: “era scritto”.
L’oroscopo è il fatalismo per pigri, il determinismo per chi non ha voglia di pensare.
È la favola moderna per adulti che non credono più alle fiabe, ma hanno ancora un disperato bisogno di essere rassicurati.
E attenzione: non stiamo parlando di ingenui cronici o di analfabeti funzionali.
Ci credono anche avvocati, professori, dirigenti, opinionisti.
Persone che nella vita quotidiana pretendono dati, prove, numeri, evidenze.
Ma poi, al mattino, prima del caffè, si consegnano mani e piedi ad una previsione scritta in modo talmente vago da sembrare il bugiardino di un farmaco: “Possibili tensioni”, “Occasioni da valutare”, “Attenzione alle parole”.
Grazie. Lo poteva dire anche il portiere del palazzo, o il barista sotto casa. Almeno loro esistono davvero.
Il bello è che l’oroscopo non sbaglia mai.
Perché è strutturato per non poter sbagliare.
È una profezia elastica, adattabile a posteriori, come le promesse elettorali. Se accade qualcosa, era previsto.
Se non accade, era implicito che potesse non accadere. Geniale.
E così l’astrologia, espulsa da secoli dalla scienza, rientra dalla porta di servizio dell’intrattenimento.
Si mimetizza. Si traveste da gioco. “Ma dai, è solo per ridere”, dicono.
Peccato che poi la stessa gente prenda decisioni vere – umore, aspettative, perfino rapporti personali – sulla base di quel gioco.
ll risultato è un esercito di cittadini che non governano più la propria vita, ma la consultano.
Non decidono: interpretano. Non agiscono: attendono segnali.
Come se l’universo avesse davvero tempo da perdere con le loro beghe condominiali.
E allora sì, l’oroscopo ha un merito straordinario: racconta perfettamente il nostro tempo.
Un’epoca che ha paura della complessità, allergica alla responsabilità, e sempre in cerca di una scusa cosmica per non scegliere.
Altro che stelle.
Il vero allineamento è quello tra pigrizia mentale, bisogno di consolazione, e televisione che fiuta il mercato.
Le stelle, in fondo, stanno benissimo dove sono.
Silenziose, indifferenti, lontanissime.
Siamo noi che, incapaci di guardare in faccia la realtà, preferiamo farci leggere il futuro da chi non sa nulla né del cielo né della terra.
E magari, domani mattina, prima di uscire di casa, daremo ancora un’occhiata all’oroscopo.
Non si sa mai. Saturno potrebbe offendersi.
Forse, allora, l’oroscopo non è soltanto un innocuo riempitivo televisivo.
È un indicatore sociale. Un termometro.
Un Paese che affida le proprie giornate alle stelle è un Paese che ha smesso di pretendere spiegazioni dalla politica, dalle istituzioni, da chi comanda davvero.
Quando non ci si fida più di chi governa, ci si rifugia in chi “prevede”.
L’oroscopo educa alla rinuncia.
Ti abitua all’idea che le cose accadano, non che si cambino. Che il futuro si aspetti, non si costruisca.
È la palestra perfetta del cittadino deresponsabilizzato: niente cause, niente colpe, niente meriti.
Solo allineamenti.
Non sorprende, allora, che lo stesso atteggiamento si ritrovi davanti alle urne.
Si vota come si legge l’oroscopo: di pancia, per simpatia, per destino, per sensazione. Programmi, numeri, coerenza? Roba da scettici.
Molto meglio affidarsi all’intuizione del momento, possibilmente con Mercurio favorevole.
E mentre Marte consiglia prudenza e Venere invita al dialogo, qualcun altro decide sul serio.
Senza stelle, senza oroscopi, senza alibi; decide per tutti.
Alla fine l’oroscopo svolge una funzione politica precisa, anche se non dichiarata: assolvere.
Assolvere il cittadino da ogni responsabilità, il votante da ogni scelta, il Paese da ogni fallimento.
Se va male, non è colpa di nessuno. È Saturno.
C’è poi il momento dell’anno in cui questa industria della superstizione smette ogni pudore e va in scena a pieno organico: le ultime settimane di dicembre.
È la stagione in cui gli astrologi, come le zanzare d’estate, proliferano ovunque.
Non più semplici previsioni quotidiane, ma la grande epica del futuro nazionale, continentale, quasi cosmico.
L’“anno che verrà”, spiegano, sarà “di svolta”, “di passaggio”, “di assestamento”.
In pratica: succederà qualcosa, forse, o forse no.
In quei giorni, studi televisivi e pagine di giornale si popolano di indovini che parlano dell’anno nuovo con la stessa sicurezza con cui un cartomante da bar decide se troverai l’amore.
Nessuno chiede conto dell’anno precedente, di quello prima ancora, o delle previsioni clamorosamente sbagliate.
Nel mondo dell’astrologia non esiste archivio, non esiste memoria, non esiste responsabilità.
Il sogno di ogni classe dirigente.
Il capolavoro è la formula: “anno difficile ma ricco di opportunità”.
È la supercazzola cosmica definitiva.
Vale sempre, ovunque, per chiunque.
È l’equivalente zodiacale del “stiamo lavorando per voi”.
E il pubblico annuisce, sollevato. Qualunque cosa accada nei dodici mesi successivi potrà essere spiegata come perfettamente coerente con ciò che “era stato previsto”.
Così, mentre si stappano bottiglie e si fanno buoni propositi che non dureranno oltre l’Epifania, milioni di persone delegano il futuro ad un oroscopo annuale, redatto da un furbacchione che ha ben capito come vivere sulle debolezze altrui.
È un gesto comodo, rassicurante, infantilizzante.
Il futuro non è più una responsabilità collettiva, ma una lotteria astrale.
E se l’anno nuovo sarà mediocre, ingiusto o peggiore del precedente, nessuna indignazione: era un anno “di transizione”. Lo avevano detto.
In definitiva, le stelle non votano, non governano, non firmano decreti.
Ma fanno un lavoro straordinario: ci convincono, ogni mattina, che la colpa non sia mai nostra.
Ed è così che un popolo che si affida al destino finisce per accettare qualunque destino.
Anche il peggiore.
Umberto Baldo













