15 Maggio 2025 - 10.15

Zona rossa a Padova. Duello rusticano fra sinistra e destra

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Umberto Baldo

Da giorni la cronaca padovana è caratterizzata da ampie discussioni, anche con qualche scontro verbale per la verità, sulla decisione del Prefetto, allineata con le Direttive del Ministero dell’Interno, di istituire una cosiddetta “zona rossa” nel quartiere Arcella.
Non mi dilungherò sulle diatribe in corso fra il Sindaco Sergio Giordani che manifesta tutta la sua contrarierà al provvedimento, ed il sottosegretario alla Giustizia della Lega Andrea Ostellari (fra l’altro residente all’Arcella) che invece lo sostiene a spada tratta.
Ma fra le numerosissime prese di posizione, pro e contro, provenienti da molti settori della società, mi hanno colpito queste parole della Consigliera Regionale del Pd Vanessa Camani riportate da un quotidiano locale: Pensare di risolvere problemi così complessi legati non solo al degrado urbano ed alla criminalità ma anche all’esclusione sociale e alla povertà, con strumenti come le zone rosse , che comprimono la libertà e criminalizzano interi quartieri e chi li abita è inutile e pericoloso”.
Perché mi hanno colpito queste affermazioni?
Perché, potrei anche sbagliarmi ovviamente, ma a me sembra di percepire una sorta di equazione fra povertà e criminalità, come se necessariamente ci debba essere un legame fra indigenza e delinquenza.
Quindi credo sia opportuno sviluppare qualche ragionamento sulle “zone rosse”, nate con l’intento di aumentare il presidio del territorio, e contrastare degrado e microcriminalità in certe aree urbane, ma che, filtrate e strumentalizzate in chiave ideologica, stanno diventando un nuovo terreno di scontro tra le opposte tifoserie politiche.
Padova penso rappresenti un ottimo esempio: città con una solida tradizione di amministrazione di centrosinistra, ma con problemi reali in quartieri dove la percezione (e talvolta anche la realtà) di insicurezza è tangibile.
Quindi le zone rosse, in teoria, dovrebbero essere strumenti temporanei e mirati per intervenire su contesti critici, rafforzare i controlli e limitare l’accesso di pregiudicarti e sbandati in alcune zone dove si concentrano spaccio, risse e microcriminalità, ma che come succede da noi hanno subito acceso il riflesso pavloviano della sinistra: “provvedimento repressivo”, “svolta securitaria”, “attacco alla libertà”.
Seguendo per di più il solito copione italiano: non si discute sul merito, ma sul colore politico della misura.
Se è di destra, allora è sbagliata; se è di sinistra, allora è giusta.
Con questo schema, però, i problemi restano e peggiorano.
Le zone rosse, piaccia o no, rispondono a un’esigenza reale: tutelare le persone perbene che vivono in quartieri difficili, dove la sicurezza è un miraggio e il degrado è sotto gli occhi di tutti.
Non sono “campi militari”, non sono sospensioni dello Stato di diritto: sono strumenti temporanei, mirati, pensati per ripristinare condizioni minime di vivibilità.
È davvero così scandaloso?
La politica dovrebbe rispondere a questa domanda con onestà. Invece, continua a muoversi come una curva da stadio: a prescindere.
E allora discutiamo pure delle zone rosse. Ma facciamolo con serietà: chiediamoci se funzionano, se sono proporzionate, se rispettano i diritti.
Ma smettiamola di bocciarle o promuoverle solo per chi le ha proposte.
Perché, se ogni cosa è politicizzata, alla fine a rimetterci è solo uno: il cittadino.
Tornando al tema che mi ha colpito, mi spiace dirlo perché non sono certamente di idee di destra né tantomeno un “patriota”, ma l’idea che la criminalità sia solo un riflesso della povertà ha portato parte della sinistra a giustificare, minimizzare o perfino negare il problema della sicurezza.
È un atteggiamento che ha avuto effetti devastanti, perché ha delegittimato le denunce degli abitanti delle periferie, spesso tacciati di “razzismo” o “egoismo sociale”, ed ha alienato il consenso popolare, soprattutto tra operai, pensionati, piccoli commercianti: cioè quel popolo che storicamente era l’ossatura elettorale della sinistra.
La conseguenza l’abbiamo vista alle ultime tornate elettorali, con la sinistra che ha regalato agli esponenti delle destre la centralità del discorso sulla sicurezza, permettendo loro di presentarsi come “gli unici che ascoltano i cittadini”.
Il paradosso è che in nome dell’“ascolto degli ultimi”, la sinistra ha smesso di ascoltare davvero chi vive nelle zone difficili.
L’ascolto si è trasformato in paternalismo ideologico, più attento a tutelare minoranze marginali (spesso strumentalizzate) che non le comunità locali nel loro insieme.
Non è un caso se negli ultimi anni molti commentatori hanno parlato di “sinistra da ZTL”!
Ma chi vive nelle periferie sa benissimo che la microcriminalità è una realtà quotidiana, che le baby gang, lo spaccio, le occupazioni abusive, l’inciviltà diffusa non sono “percezioni”, ma esperienze concrete, che le forze dell’ordine sono poche, mal coordinate, lasciate sole, e spesso osteggiate e sbeffeggiate dai ragazzi dei centri sociali.
In questo contesto, il cittadino che si sente abbandonato trova più facile rivolgersi a chi promette “ordine e fermezza”, anche se spesso si tratta di ricette semplificate o propagandistiche.
Per la gauche si è trattato senza dubbio di un’opportunità mancata.
La sinistra avrebbe potuto proporre una sicurezza democratica, civile, partecipata, capace di: rafforzare la presenza dello Stato nei territori, sostenere le forze dell’ordine, integrare misure di repressione e prevenzione, lavorare sulle cause sociali della devianza, senza giustificare gli atti criminali.
Ma non lo ha fatto. E ora paga il conto in termini elettorali e di rappresentanza sociale.
In fondo è lo stesso meccanismo dell’immigrazione clandestina, dove la demonizzazione delle destre ha avuto buon esito rispetto al buonismo generalizzato delle sinistre.
Concludendo, la sinistra, inseguendo un certo moralismo ideologico, ha finito per tradire proprio quelle fasce popolari che diceva di voler rappresentare.
E ha lasciato alle destre la narrazione della sicurezza.
Il problema è che la destra propone soluzioni muscolari, ma raramente efficaci.
E così i problemi restano, i consensi si spostano, e il disagio cresce.
Nel frattempo, chi abita davvero nelle periferie degradate – pensionati, operai, famiglie monoreddito, immigrati onesti – ha continuato a convivere con spaccio, furti, aggressioni, baby gang, inciviltà diffusa, presenza costante di degrado.
Non si tratta di “percezioni”, come qualche sociologo da salotto ama ripetere: si tratta di esperienze concrete, quotidiane, umanamente logoranti.
Invece di ascoltare questo disagio, una parte della sinistra ha preferito giudicarlo.
Ha etichettato come “razzista” chi denunciava il caos sotto casa.
Ha trattato con fastidio i cittadini esasperati, colpevoli di “non comprendere le dinamiche sociali”.
Ha difeso i colpevoli più delle vittime.
Così facendo, ha perso consenso proprio là dove un tempo aveva le sue radici: tra il popolo, tra i lavoratori, tra gli ultimi.
La destra – che ha mille difetti ma sa annusare l’aria – ha colto la palla al balzo: si è proposta come “l’unica che ascolta”, l’unica che parla di sicurezza senza giri di parole, anche con soluzioni semplificate, slogan, promesse da campagna elettorale. Ma ha funzionato. E funziona ancora.
Non era scritto da nessuna parte che il tema della sicurezza dovesse appartenere alla destra.
Una sinistra intelligente, pragmatica, vicina alla realtà avrebbe potuto coniugare legalità e giustizia sociale, proponendo una sicurezza democratica: più forze dell’ordine, più presidi nei quartieri, tolleranza zero per chi delinque, ma anche politiche di inclusione, scuola, formazione, integrazione vera, non quella parola vuota ripetuta per moda.
Ma questo non è accaduto. Troppo occupata a difendere minoranze rumorose, troppo spesso strumentalizzate, la sinistra ha smesso di difendere le maggioranze silenziose che chiedevano solo di vivere tranquille.
Il risultato è davanti agli occhi di tutti: quartieri lasciati al loro destino, cittadini sfiduciati, voti persi.
E a Padova, e in altre città, i nostri politicanti del dopolavoro continuano a scontrarsi sulle “Zone Rosse”
Umberto Baldo

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