27 Dicembre 2013 - 12.01

VENETO CRIMINALE: nome in codice Ludwig

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di Alessandro Ambrosini
Prima puntata.

Il Veneto criminale, quello raccontato dalle cronache, non è solo composto dalle grandi e piccole forme di criminalità che attanagliano tutta Italia. Anche singoli casi hanno dato vita a fiumi di inchiostro su libri e giornali, fatti di sangue particolari e agghiaccianti, per le loro modalità e per le loro motivazioni.
Come abbiamo visto in questi giorni i serial killer non sono solo il prodotto della cinematografia americana. Esistono da sempre e il Veneto non è stato immune a questa forma di patologia criminale. A cavallo tra gli anni ’70 e ’80, a scuotere le cronache e gli animi della gente fu una coppia di ragazzi della Verona “bene”, secondo le sentenze e gli atti. Il loro marchio era l’aquila nazista stilizzata, i loro comunicati erano vergati in runico. Loro erano il gruppo“Ludwig”.
Diciamo gruppo ma si deve leggere “coppia” perché i processi indicano questo. La realtà però potrebbe essere diversa e ancora non del tutto svelata. Ad oggi, la certezza che ci fossero altri elementi di supporto non ha delle prove giudiziarie ma nelle menti di chi ha seguito il caso è qualcosa di più di una sensazione.
Questa storia finisce nel suo delirio il 4 Marzo 1984, a Castiglione delle Stiviere. E’ domenica pomeriggio e alla discoteca Club Melamara la musica afro-funky fa da colonna sonora a una festa di carnevale.Ci sono anche due ragazzi con dei borsoni da palestra. Inspiegabile come gli addetti al controllo non li abbiano fermati all’entrata.
La festa non è ancora entrata nel vivo e la gente è tra i divanetti e il bordo della pista. Quattro chiacchiere, saluti e qualche birra prima di aprire le danze, tutto normale, tutto contemplato, quasi un rito.
Qualcosa di inusuale c’è però. Qualcuno avverte un forte odore di benzina e allarma gli addetti alla sicurezza. Troppo tardi, entra in scena il fuoco. Urla, pianti e il disc-jockey che cerca di portare la calma e di fare uscire ordinatamente la gente. Il fumo si espande nella sala tra strobo e luci, brucia gli occhi, crea il panico. Nella confusione del momento viene catturato il primo dei due ragazzi che, con una tanica dentro a uno dei borsone, ha creato un perimetro potenzialmente mortale attorno alla pista. In testa una cuffia da Pierrot, triste interprete carnevalesco, involontario ,di una storia che poteva lasciare dietro di se fiumi di lacrime. Saranno proprio i “buttafuori” a salvare dal pestaggio Marco Furlan dall’ira della gente.
Wolfang Abel, dopo aver lanciato un fiammifero antivento nella sua tanica creando una vampata di fuoco cerca di uscire gridando “ Brucia tutto brucia tutto”, come era stato concordato nei loro piani. Servì a poco il diversivo, qualcuno lo vede e lo blocca a terra.
Finirà tra paura e qualche ferito lieve quel pomeriggio e inizierà da quegli istanti concitati la storia giudiziaria di Wolfang Abel e Marco Furlan, nome in codice Ludwig.
Hanno 24 e 25 anni quando le porte del carcere si chiudono alle loro spalle mentre l’elenco di persone morte per loro mano si ferma a 23 per gli inquirenti.
Diverso l’iter giudiziario che vide i due giovani, del quartiere scaligero di Borgo Trento, essere condannati “solo” per 10 omicidi.
Giovani dalle belle speranze e da famiglie benestanti, universitari modello con bei voti e un futuro da scrivere.Furlan prossimo alla laurea in Fisica e Abel già nel mondo del lavoro insieme al padre dopo essersi laureato in Matematica. Ma non sempre le cose sono quelle che sembrano. Mentre i loro genitori lavoravano come primario o come dirigente in una delle più grandi compagnie assicurative tedesce, la loro mente era rivolta a una sorta di “missione”, una “crociata” per la purificazione del mondo da quelle persone che non rispondevano ai loro canoni. Non sempre è stato chiaro il motivo dei loro omicidi, chiaro invece che, la loro mattanza seriale, iniziò secondo i giudici, a Vicenza. Era il 20 Luglio del 1982. Nel centro di Londra, quel giorno, esplose una bomba dell’Ira provocando otto morti mentre in Italia si festeggiava ancora la vittoria della nazionale di calcio ai mondiali. L’immagine affissa nei bar era quella di uno Zoff che alzava la coppa al cielo mentre Marco e Wolfang studiavano percorsi e modalità della loro “missione omicida”. Come l’atto di una tragedia, come una forma di purificazione del mondo, secondo una visione distorta del mondo stesso. Il bersaglio era fissato, era facile e simbolico: i frati della Basilica di Monte Berico.
(l’inchiesta continua)

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