10 Dicembre 2013 - 10.47

VENETO CRIMINALE: Chinatown Vicenza

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Di Alessandro Ambrosini

Ci sono casi in cui, eventi come la tragedia di Prato nella comunità cinese, sono l’esempio di un modello criminale diventato normale prassi nella loro vita lavorativa. E nel Veneto dei capannoni la storia non cambia di molto. Uomini e donne ammassate in spazi senza nessun controllo igenico sanitario, senza nessuna norma di sicurezza lavorano ben oltre ogni orario sindacale immaginabile . Trattati come schiavi del nuovo millennio, vengono incastrati come pezzi di un tetris dentro furgoncini che, a orari cadenzati dai turni, arrivano in posti di lavoro intestati ad italiani ma con proprietari Made in China, come i loro kapò.

Già a fine anni 90, nei parcheggi dei bar notturni vicentini, si potevano vedere questi carichi umani, stivati ben oltre il consentito, aspettare mentre l’autista cenava. Uno spettacolo inusuale e carico di significati, che al tempo, non si davano ancora. Tutto veniva letto come qualcosa di inusuale e bizzarro.

Criminalità? Sicuramente si. Una criminalità che sfuggiva e sfugge al controllo perché non conosce pentitismo o denuncia. Un mondo parallelo con regole fuori dal nostro vivere comune.

Ma questo è soltanto parte dell’aspetto del problema. Queste Chinatown che stanno crescendo in ogni città del Veneto, al loro interno, vedono nascere centri massaggi che con il benessere non hanno molto a che vedere.

L’arte del massaggio è da sempre una specialità orientale, legale fino a quando non si arriva alla prostituzione. Uno dei motori criminali delle triadi in Europa. Professione antica e molto discreta per quanto riguarda l’Oriente. Difficile vedere nei quartieri o nelle strade “a luci rosse” donne con occhi a mandorla in vertiginose microgonne offrire il proprio corpo. La prostituzione, come tutti gli altri crimini, deve avere il marchio del silenzio. Appartamenti, negozi dal maquillage pulito e regolare, servizi a domicilio per clientela esclusiva. Ma la storia non cambia, per chi è sfruttato.

Altro aspetto invisibile, ma presente in Veneto, è il gioco d’azzardo. Vera e propria febbre per l’orientale a tutte le latitudini. Anni fa, ebbi l’occasione di vedere una di queste sale in un lussuoso appartamento padovano. Nel cuore della città universitaria, oltre 100 mq in stile anni ’30. Immaginatevi la scena della bisca di Grosso guaio a Chinatown, l’ambiente era quello. Soldi, fumo, urla e giochi incomprensibili. Venne chiusa un mese dopo con l’irruzione della polizia.

Dentro a quell’appartamento ci si giocava di tutto, dai passaporti di ignari novelli schiavi o prostitute a montagne di contanti. A gestire il tutto uomini da volti inespressivi e risoluti, non inquietanti buttafuori da muscoli e tatuaggi scolpiti sulla pelle. Normali personaggi dal potere persuasivo molto più forte. Che potevano arrivare con una telefonata alle città del Grande Muraglia e decretare vita e morte di parenti e amici di chi sbagliava.

Questo è il potere ricattatorio delle triadi, quello che chiude bocche, che rende marionette, che uccide le speranze, che toglie patenti di umanità e che rende i disperati che arrivano dentro i container da quelle terra lontane della merce a buon prezzo, come quella che si vende nei loro negozi.

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