23 Novembre 2015 - 14.32

Terrorismo, i rischi per l'Italia di una strategia anti islam

terror

di Marco Osti

L’azione terroristica in un albergo in Mali, con la presa in ostaggio di 170 turisti stranieri, diversi morti tra ostaggi e sequestratori è stato un nuovo attacco alla Francia, sebbene indiretto, conseguenza delle iniziative contro i jihadisti assunte nei mesi scorsi dal Paese transalpino nel continente africano e nel Mali stesso e dei raid aerei scatenati contro l’Isis dopo la strage di venerdì 13 novembre a Parigi,
Si è quindi trattato dell’ennesimo episodio di una escalation della strategia violenta messa in atto dall’autoproclamatosi Stato Islamico, che è passato all’offensiva in Europa coinvolgendo dapprima la Russia, con l’abbattimento dell’aereo della Metrojet sui cieli del Sinai, poi la Francia e successivamente la Germania e il Belgio con minacce ritenute concrete.
Naturalmente si vivono ore di tensione ovunque e ogni cittadino italiano si pone l’angosciosa domanda se il prossimo obiettivo sarà il nostro Paese, dove l’ansia creata dal terrorismo islamico ha già ottenuto l’effetto di scatenare il panico ogni volta che in un luogo pubblico o dichiarato sensibile viene individuata una borsa fuori posto, si sente un rumore improprio o scoppia un petardo lanciato da qualche ragazzino.
I falsi allarmi sono stati diversi in questi giorni, anche a causa dell’idiozia di irresponsabili, con soprattutto l’evacuazione di alcune stazioni della metropolitana a Milano e Roma, mentre a Parigi giorni fa la folla riunita in Place de La Repubblique improvvisamente è fuggita perché sembrava essere esplosa una sparatoria.
Nella ridda di voci incontrollate di questi giorni emergono anche valutazioni oggettive e razionali, di alcuni analisti ed esperti, per i quali l’Italia è naturalmente a rischio, ma non sarebbe in pericolo imminente per una serie di ragioni di varia natura.
Una constata che nelle file dei terroristi non vi sono immigrati, a sconfessare la tesi che il recente accoglimento di profughi comporti un loro facile ingresso in Occidente, ma i figli di chi è nei nostri Paesi da anni.
Immigrati di seconda generazione, nati e cresciuti in Europa, che hanno raggiunto un’età in cui sono affascinati dall’idea di rivoltarsi contro il sistema in cui vivono, peraltro rappresentato spesso da quartieri caratterizzati da grande disagio sociale, ma non ancora con la maturità per sfuggire all’indottrinamento a cui vengono sottoposti.
Da questo punto di vista l’immigrazione italiana islamica è più recente ad esempio di quella francese, quindi un genitore musulmano d’Oltralpe può avere figli che hanno già tra i venti e i trent’anni, mentre da noi hanno, in generale s’intende, tra i dieci e i quindici anni, quindi un’età ancora precoce per intraprendere un’azione terroristica.
Se questa considerazione ha un suo fondamento ne conseguono due valutazioni.
La prima che in Italia il forte rischio di ragazzi italiani figli di immigrati, pronti a emulare le gesta dei terroristi che hanno agito in Francia, potrà esistere tra qualche anno, pertanto è indispensabile che da subito vi sia un’attenta azione di prevenzione, di carattere investigativo, per sorvegliare dove possono nascere possibili focolai di terrorismo dall’interno, ma anche sociale e politica, per creare quelle condizioni di integrazione, determinate anche da benessere sociale, economico e lavorativo, necessarie a far crescere una coesione e un’appartenenza al nostro Paese e a riconoscerne il modello di vita e culturale come riferimento da condividere o con cui convivere, ma non da abbattere.
Il secondo aspetto riguarda il fatto che se per colpire l’Italia non sarebbero disponibili giovani cittadini del nostro Paese, come in Francia, ma esterni, si tratta quindi di persone che devono arrivare dall’estero e varcare i nostri confini.
Una situazione che presuppone piani molto più complessi da attuare e la possibilità, per l’inteligence e le forze dell’ordine italiani, di avere un maggiore controllo e di poter intercettare in anticipo eventuali ingressi sospetti.
Una valutazione confermata in questi giorni anche dal politologo americano Edward Luttwak, del quale chi scrive quasi mai condivide il pensiero e le cui posizioni tra l’altro sono spesso molto severe con l’Italia, che indicava i servizi segreti italiani come più preparati di quelli francesi nel controllo preventivo verso individui ritenuti sospetti.
Tutto ciò in ogni caso non deve illudere e lasciare del tutto tranquilli, perché purtroppo per una strage come quella di Parigi bastano una dozzina di persone, quindi un numero non impossibile da raccogliere anche in Italia, che resta un obiettivo quale simbolo del cristianesimo, odiato dagli integralisti islamici.
Inoltre è indispensabile il presupposto che l’allerta debba rimanere sempre alta, soprattutto considerando il prossimo Giubileo, che di per sé rappresenta un’ottima occasione per i terroristi sotto il profilo propagandistico e una esposizione per l’Italia, cui però non si deve rinunciare, per non lasciare vincere la paura che viene usata come un’arma al pari delle bombe.
Nelle considerazioni che riguardano il rischio che corre l’Italia va poi aggiunta l’analisi sulla situazione politica internazionale e su come si sta muovendo il nostro Paese.
Sotto questo profilo in molti hanno evidenziato, e le rivendicazioni dell’Isis hanno confermato, che Russia e Francia sono stati oggetto di attacchi perché hanno avviato campagne militari dirette in Iraq e in Sinai, o indirette, contro il califfato.
Questo è un punto molto delicato, perché potrebbe far pensare che l’Italia stia tenendo un atteggiamento di distacco opportunistico, per evitare di subire azioni terroristiche, ma la questione è in realtà più complessa.
In Siria oggi c’è un regime autoritario, guidato da Assad, contro il quale è in azione una rivolta, da parte di chi vuole sovvertire il regime e portare il Paese verso la democrazia, e una offensiva parallela dell’Isis, nell’ambito della sua azione di conquista di questo territorio e dell’Iraq, indebolito politicamente dalla disastrosa campagna americana e inglese di George Bush e Tony Blair sulla base di prove false, rispetto alle detenzione di armi di distruzione di massa del regime di Saddam Hussein.
In ogni caso in Siria gli Stati Uniti sostengono i ribelli, la Russia attacca l’Isis e i rivoltosi stessi, pro Assad, e la Francia agisce da sola contro lo Stato Islamico.
Questa confusione ha messo i due Paesi al centro dell’azione terroristica dell’Isis e non da subito altri Stati occidentali, ma dimostra anche che la soluzione da ricercare è una strategia internazionale condivisa e comune.
In un precedente articolo su Tviweb sulla strage di Parigi sostenemmo che i Paesi occidentali dovevano mettere da parte le loro divisioni e unirsi in un’azione comune contro lo Stato Islamico, che dichiarammo essere come la Germania nazista, con un paragone in questi giorni sostenuto anche dal premier russo Vladimir Putin.
Dopo quanto successo a Parigi sono arrivati segnali incoraggianti in tal senso, anche fisicamente testimoniati da un fitto dialogo al G20 di Antalya, in Turchia, nei giorni seguenti, tra Obama e Putin, con un’intesa di massima per la transizione post Assad.
Mentre le diplomazie provano quindi a lavorare per costruire una strategia comune, la Francia ha avviato da sola una campagna militare di enorme intensità contro l’Isis in Siria, chiedendo di sostenerla ai paesi occidentali, e in particolare a quelli dell’Unione Europea, in base ai trattati che li legano.
Il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi ci sembra che su questo punto stia agendo con la necessaria attenzione, perché se quanto avvenuto a Parigi è odioso, non si può scatenare una guerra di tale portata sull’onda emotiva e per seguire iniziative unilaterali, che, anzi rischiano di far fallire l’idea di un percorso comune.
Ci sono la Nato e l’Onu e sotto la loro egida si intraprendono queste azioni, perché in tal modo tutti sono ugualmente responsabili e allo stesso tempo si è in coerenza con regole e principi di diritto internazionale.
La prima campagna militare contro l’Iraq, quando invase il Kuwait, fu messa in atto da un contingente internazionale, che si mosse su pieno mandato di una risoluzione dell’Onu, che delimitava chiaramente i contorni della missione.
Quella è la strada da seguire, come indica giustamente il Governo italiano, ma non per furbizia, ma perché agire nelle regole e secondo quello che prevedono gli Stati di diritto è fondamentale per distinguersi dai criminali e dai terroristi, che se ci fanno diventare come loro conseguono uno dei primi risultati a cui ambiscono.
Del resto chi oggi teorizza che la guerra sia l’unica soluzione da percorrere dimentica il fallimento della strategia aggressiva e unicamente militare in Iraq di Bush e Blair, che è all’origine del vuoto politico che in quella regione ha consentito la nascita dello Stato Islamico e il suo sviluppo.
Una politica basata su un’idea di contrapposizione anche culturale con tutto l’Islam, come sostenuto da chi oggi richiama le tesi di Oriana Fallaci, secondo i quali la nota giornalista andrebbe riabilitata per le sue teorie, quando in realtà proprio la loro traduzione pratica da parte di Stati Uniti e Inghilterra ha portato allo stato di tensione e instabilità in cui gli integralisti sono riusciti a prevalere, imponendosi con la forza e la paura.
Agire invece negli ambiti di regole e decisioni comuni consente di prefigurare l’azione militare solo come un primo passo propedeutico ad adottare una strategia successiva per la pacificazione della regione.
Senza un’idea di cosa fare dopo un eventuale abbattimento dello Stato Islamico lascerebbe di nuovo spazio al risorgere di Isis sotto altre forme.
L’attacco in Mali solo una settimana dopo quello di Parigi dimostra ancora una volta che la reazione militare della Francia non ha ottenuto l’effetto di limitare i seguaci del califfato, che in realtà auspica proprio una situazione di conflitto permanente, perché giustifica la sua esistenza, determina la divisione tra i Paesi occidentali, che rappresenta una condizione di debolezza favorevole a chi vuole seminare solo terrore, e mira a favorire la spaccatura nei Paesi occidentali tra i cittadini di diversa religione.
Quest’ultima ipotesi nelle sue estreme conseguenze, in un Paese come la Francia, che ha oltre 6 milioni di abitanti musulmani (di cui oggi solo poche decine sono terroristi), potrebbe portare addirittura alla guerra civile in uno Stato laico nel centro dell’Europa.
Proprio quello che vuole Isis e quello che a cui può portare la cieca applicazione di teorie integraliste anti islam, uguali e contrarie a quelle dei terroristi, di chi oggi sventola le frasi della Fallaci come proclami politici.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

Potrebbe interessarti anche:

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
CAPITALE CULTURA
UNICHIMICA