2 Luglio 2025 - 9.58

La pillola della salute, del benessere….. e dell’illusione

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Umberto Baldo

Ogni tanto, come l’herpes o l’ora legale, torna la polemica sugli integratori alimentari.

E guarda caso, in questi giorni osservo che il tema è stato ripreso da giornali e media.

Per carità, di tratta  di un dibattito eterno, quasi liturgico, tra chi li venera come il nuovo Graal della longevità, e chi li considera poco più che un sofisticato placebo con il packaging glamour. 

E in mezzo, come una statua di Giustiniano nella nebbia, il professor Silvio Garattini, classe 1928, memoria storica e coscienza critica del settore, che da decenni cerca di spiegare al Paese che no, ingurgitare vitamina C a manetta, non ti salverà dall’influenza né da tua suocera.

Il Prof. Garattini, armato solo di rigore scientifico e di 96 anni vissuti sobriamente senza probiotici alla papaya fermentata, ci ricorda da decenni con ostinazione che “non ci sono prove scientifiche dell’utilità degli integratori”.

Sono vitamine, dice lui, qualche foglia pestata, un pizzico di marketing e tanta, tantissima suggestione.

Ma noi italiani, si sa, quando si tratta di credere alle illusioni, siamo imbattibili. 

Abbiamo costruito miti sulle illusioni: dal ponte sullo Stretto, alla giovinezza eterna di certi politici. 

E allora, perché non credere anche nella capsula magica che ti “rafforza il sistema immunitario”, ti “riduce lo stress ossidativo” e magari ti fa anche passare la voglia di fumare e di tradire?

Secondo i dati del 2023, abbiamo speso 4 miliardi e mezzo di euro in integratori.

Avete letto bene. Non in farmaci salvavita, non in verdura biologica, non in palestre; in pastigliette miracolose vendute per lo più in farmacia, dove la linea tra “cura” e “suggestione” ormai è talmente sfumata che nemmeno un oculista riuscirebbe a distinguerla.

In effetti, la farmacia – quella che una volta era il tempio della Scienza, con la maiuscola – oggi somiglia sempre più a un centro commerciale del benessere. 

Ci trovi l’aspirina, sì, ma anche lo shampoo bio ai semi di lino islandesi, il mascara volumizzante “detox”, e il collagene idrolizzato che promette di farti sembrare la sorella gemella di tua nipote.

E allora, cosa compriamo di più? 

Al primo posto ci sono i probiotici, cioè batteri buoni da buttar giù con fede. Poi sali minerali, che pare ci servano in quantità da muratore sotto il sole di agosto. 

Seguono vitamine, tonici, antiossidanti, proteine in polvere, e l’immancabile Omega-3, pesce finto in formato capsula per chi vuole il cervello di un Nobel senza dover mangiare il merluzzo.

Ma il capolavoro è il “meccanismo” commerciale: si prende una condizione esistenziale normale – tipo l’essere un po’ stanchi il lunedì mattina, o la pancia gonfia dopo il tiramisù – e la si trasforma in un potenziale sintomo da curare con un integratore. 

Così si crea l’ansia, poi il bisogno, e infine si offre la soluzione. 

“Ti senti stressato, gonfio, in calo di energia, fragile, distratto, fragile (l’ho già detto?)?” 

Nessun problema: c’è un integratore per ogni tua sfiga.

E poi ci sono loro, gli integratori per la regolarità intestinale, autentici protagonisti di un’epoca in cui il corpo è diventato più fragile della democrazia parlamentare.
Con nomi che evocano antiche divinità greche (Fibrax, Regolon, ColonHelp…), e promettono miracoli che nemmeno a Lourdes.

Una bustina al giorno, e puff: l’intestino diventa improvvisamente un pendolare svizzero, puntuale, ordinato, efficiente.

Ma attenzione: guai a sbagliare la dose. 

Mezza bustina in meno e resti bloccato come il traffico sulla A4 a Ferragosto; mezza in più e rischi il Via col vento, versione domestica.

Una volta bastava una mela al giorno per “togliere il medico di torno”. 

Ora, se non accompagni la mela con una sinergia probiotica a triplo strato gastroresistente, sei un irresponsabile.

Viviamo in un’epoca in cui l’intestino è più attenzionato dei bilanci dello Stato, e la parola “fermenti” fa più presa della parola “valori”.

Ma diciamoci la verità; sotto sotto, lo sappiamo tutti, non è che siamo più stitici di prima… è solo che adesso ci vendono anche l’evacuazione come fosse un percorso spirituale.

Benvenuti nel millennio in cui pure andare in bagno dev’essere performante.

E come dimenticare gli integratori per la prostata, il nuovo elisir di lunga virilità che campeggia su ogni canale televisivo tra le 18 e le 21, quando il target, diciamocelo, è già in pantofole e col telecomando saldo in mano.

Ogni spot è un inno all’iperplasia benigna come se fosse un traguardo da festeggiare, con toni da sceneggiato medico anni ‘80 e musichette rassicuranti.
“Se ti alzi spesso la notte…” – dice l’attore dalla chioma innaturalmente folta e l’espressione complice – “…potrebbe essere la prostata”.

E giù capsule con nomi virili: ProstActive, UroMen, AlfaPro… roba che suona come squadre di rugby in Champions League.

Ma la cosa più bella è che nessuno osa mai dire prostata senza abbassare il tono della voce, come si facesse riferimento ad un parente che ha sbagliato qualcosa (qualche decennio fa era così per gli assorbenti igienici femminili).

E invece no: oggi la prostata è protagonista! Ha i suoi integratori, i suoi testimonial, i suoi momenti social.

Altro che cuore, fegato o reni: il nuovo organo glamour dell’uomo over 50 è lei, la prostata.

E se poi non funziona, non c’è problema: basta una compressa al giorno e torni a dormire tranquillo.

O almeno, così promettono quelli che guadagnano ogni anno milioni grazie a noi e alle nostre minzioni notturne.

Il Marketing, poi, ci tiene a precisare che gli integratori sono “naturali al 100%”, che è il modo elegante per dire che sanno di fieno bagnato e terra d’orto, ma ti fanno sentire in pace con la natura.

E giù pubblicità con modelle in canottiera bianca, che si toccano il pancino sorridendo come se avessero appena risolto il conflitto israelo-palestinese.

Nel frattempo, noi comuni mortali, ci aggiriamo tra scaffali pieni di fibre solubili, inulina, psillio e fermenti più vivi di noi, chiedendoci se a un certo punto non basterebbe… mangiare un’insalata.

Il genio, però, è nel far passare tutto questo come “naturale”.  Questa è la  parola magica: “naturale”! 

Come se naturale fosse sinonimo di innocuo. 

E allora vai con le bacche tibetane, l’echinacea, l’astragalo, la curcuma, il magnesio marino e l’olio essenziale di ottimismo.

Eppure, udite udite, gli integratori possono anche essere utili, in certe condizioni mediche, o per chi ha carenze documentate, o è sottoposto a stress fisico e psicologico pesante. 

Ma questo, ahimè, è banale. Non fa vendere. 

Meglio spacciare ogni “compressina” come un elisir di lunga vita, e la salute, quella vera, come qualcosa che si compra, a rate, nel blister da 30.

In fondo, che male c’è a spendere 40 euro al mese per delle pillole color pastello che promettono miracoli? 

Abbiamo speso di più per corsi di inglese mai completati, cravatte di dubbio gusto, e bottiglie di vino mediocre. 

Il punto è che in un’epoca in cui nessuno si fida più di niente – della politica, della scienza, del meteo – ci fidiamo ciecamente di un barattolo con scritto “detox”.

È il trionfo della medicina immaginaria: quella che non guarisce, ma consola. 

Che non risolve, ma promette. Che non cambia la tua vita, ma ti fa credere per 20 minuti di star facendo qualcosa di buono per te.

E intanto, tra un multivitaminico ed un enzima coadiuvante, qualcuno incassa. 

A occhio e croce, circa 5 miliardi l’anno. 

Altro che Big pharma. 

Questa è “Big erboristeria”, e funziona benissimo; sicuramente  per gli Amministratori delegati e gli azionisti. 

Umberto Baldo

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