23 Agosto 2021 - 16.12

Infetti….. ma in ferie!

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È sempre più evidente che la pandemia da Covid con il passare del tempo si sia trasformata da emergenza sanitaria a fenomeno sociologico.
Nel senso che i cittadini, di fronte ai rischi connessi all’infezione, e soprattutto alle limitazioni necessarie per arginare i contagi, reagiscono in modo difforme, in linea con le proprie sensibilità e, consentitemi, con i propri valori etici e culturali.
E quindi oggi coesistono propugnatori delle teorie No Vax, contrari a mascherine e vaccini, e disponibili a partecipare a follie come il Rave party nel viterbese, e altri che ad esempio girano in auto da soli con la mascherina alzata fino agli occhi. Come pure si vedono persone che si danno la mano e si abbracciano, ed altre che quando ti incrociano sul marciapiede passano dall’altra parte della strada.
Intendiamoci: qui non si tratta di dare attestati di buona condotta o medaglie a qualcuno, a scapito di altri, ma nella gamma dei comportamenti possibili ce ne sono alcuni non solo censurabili, ma addirittura perseguibili ai sensi della legge penale.
Mi riferisco in particolare al fenomeno che vede numerosi “scellerati”, consci di essere positivi al virus, che non solo se ne fregano beatamente, ma continuano a vivere come se non fosse successo niente, addirittura nascondendo artatamente il loro stato per non rovinarsi le vacanze.
Si, avete letto bene!
Questi “gentiluomini” quando si sottopongono al test rapido in farmacia forniscono numeri di telefono falsi o indirizzi inventati. Così, se l’esame risulta positivo, non possono essere intercettati dall’ Usl di competenza per l’effettuazione del test molecolare di conferma, l’unico previsto dalle norme per certificare la positività, e far scattare ufficialmente la quarantena.
E anche se hanno fornito alla farmacia dati veri, una volta constatata la positività, staccano il telefono, rendendosi di fatto irreperibili per evitare il tempone e la conseguente quarantena, e così non dover rinunciare alle ferie.
Secondo le autorità questo fenomeno dei “positivi in fuga dall’isolamento” è in continuo aumento.
Tanto per fare qualche esempio, a Roma e provincia questi casi da inizio agosto sono stati 250, a Capri 30, ma contagiati spariti dai radar sono stati segnalati in Puglia, Abruzzo, Emilia Romagna, Sicilia, Campania, ed anche nel nostro Veneto.
In particolare a Rimini a far perdere le proprie tracce sono soprattutto i ragazzi, che secondo il capo dell’Ufficio d’Igiene Franco Borgognoni «Vogliono godersi le vacanze”.
Il problema è che questi comportamenti vanificano l’impegno delle Autorità sanitarie, di fatto impossibilitate ad effettuare il “tracciamento” degli infetti, rendendo così problematico individuare eventuali focolai.
A tal proposito, sempre Borgognoni dichiara “Le prime difficoltà nascono col tracciamento: quando troviamo un positivo e gli chiediamo di fornirci i nomi di chi ha incontrato nelle ultime 48 ore, spesso risponde di non avere visto nessuno. Sono rimasto in casa per due giorni, cose così”.
Evidentemente, secondo questi ragazzi, adesso si va nella Riviera romagnola per fare vita monastica.
Chiaramente la reticenza deriva dalla volontà di non coinvolgere gli amici, costringendo anche loro alla quarantena.
Cosa rischiano questi “furboni”?
Se li trovano, una sanzione amministrativa dai 400 ai 3mila euro.
Ma visto il crescere del fenomeno, adesso le Asl girano i nomi alla Polizia, e qualcuno si è trovato gli agenti sotto casa, con il rischio di incorrere anche in conseguenze di carattere penale.
È chiaro che, come spesso avviene in questi casi, quelli che vengono individuati, e che fanno quindi statistica, sono solo la punta di un iceberg, per cui è legittimo chiedersi quanti siano in realtà i contagiati che hanno mentito sulla loro positività, pur di non rinunciare alle vacanze.
Evidentemente tanti, se già a fine luglio a Roma Federfarma aveva fatto sapere che i test rapidi erano andati esauriti.
Tanto che molti farmacisti, anche per una scelta etica, si sono rifiutati di rimetterli in commercio, proprio per l’impossibilità di monitorare gli infetti.
Così uno strumento valido, pensato per favorire le diagnosi precoci, è diventato in mano a certi “cretini irresponsabili” un mezzo per eludere le quarantene, ed andare in giro per l’Italia a contagiare il prossimo.
Ho aperto parlando di fenomeno sociologico, ed in questa chiave viene da chiedersi cosa spinga questi soggetti a comportarsi come dei criminali pur di andare in spiaggia.
Evidentemente non è facile dare una risposta univoca ed esaustiva, ma sicuramente gioca il fatto che nelle nostre società si è ormai sedimentata l’idea che le ferie, il divertimento, il ballo e lo sballo, siano quasi dei diritti fondamentali ed inviolabili della persona.
Per buona parte degli italiani evidentemente il viaggio, la spiaggia, l’aperitivo, il divertimento di massa, sono talmente importanti da fare qualsiasi cosa, anche riprovevole, pur di non doverci rinunciare, anche se questo vuol dire mettere a rischio parenti ed amici, e magari riempire di nuovo gli ospedali di malati Covid quando ci sono migliaia di patologie gravi che aspettano ormai da due anni di essere curate.
Ovviamente il discorso rischia di allargarsi al fatto che alle giovani generazioni viene sempre più proposto un modello sociale basato sui diritti individuali, mettendo sempre più in second’ordine i doveri verso la collettività.
Perché meravigliarsi quindi se, alla fine, il diritto a fare le vacanze anche se si è infetti prevale sul dovere di salvaguardare gli altri dal contagio?
In parte la colpa è anche di uno Stato che molto spesso fissa una miriade di regole di comportamento, senza prendersi poi la briga di farle rispettare.
E questo suscita la percezione di un’ingiustizia diffusa, e la nascita del risentimento di chi quelle regole le osserva scrupolosamente, nei confronti di coloro che le trasgrediscono senza problemi, e senza conseguenze.
Si sedimenta così l’idea che alla fine venga privilegiato chi se ne sbatte altamente di regole e doveri.
Un piccolo esempio?
Giornali e media in questi giorni riferiscono che esibire il Green Pass, in certi ristoranti sembra sia diventato un qualcosa che merita una punizione.
Perché?
Risposta facile: perché i ristoratori, per non rinunciare a qualche coperto, relegano i possessori della certificazione vaccinale nei posti dentro al locale, destinando quelli all’aperto a chi il Green Pass non ce l’ha, e per questo non è autorizzato a mangiare al chiuso.
È chiaro che un ristoratore si giustificherà dicendo che facendo sedere all’aperto i clienti muniti di certificazione vaccinale, rischia di non occupare i posti all’interno del proprio locale.
Ma queste ragioni, pur comprensibili da un punto di vista commerciale, non cancellano l’indignazione e la rabbia di quei clienti che eticamente si sono sottoposti all’obbligo vaccinale, quando si vedono scavalcati da coloro che questa responsabilità non l’hanno avuta, e che magari possono cenare guardando un tramonto sul mare, mentre loro sono costretti a mangiare al caldo, al chiuso di quattro mura.
Certo con i primi freddi d’autunno questo “privilegio” per i non vaccinati finirà, ma provate a dirlo a chi in questi giorni di calura viene relegato obbligatoriamente all’interno del ristorante, riservando i tavoli all’aria aperta ai No Green Pass!
Da tempo ho la percezione che la nostra società stia evolvendo verso una sorta di “formato giungla”.
A mio avviso il Covid ha accentuato questa tendenza.
Dalla quale non usciremo se non riattivando le risorse disponibili a ricercare un nuovo indirizzo, riscoprendo quei valori che distinguono una società coesa da un ammasso di individui rancorosi, indifferenti alle regole, e fra loro ostili.

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