20 Giugno 2025 - 11.20

Il diritto internazionale è il diritto del nulla

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Qualche giorno fa stavo cercando un libro, e fra quelli che sono rimasti dopo qualche trasloco ho trovato un manuale di “Diritto Internazionale”. 

E’ uno dei pochi testi universitari che ho conservato a ormai quasi mezzo secolo dalla laurea, e vi confesso che ho preso in mano questo tomo piuttosto corposo e pesante con un po’ di rimpianto e con un sorriso.

Non che ci siano attualmente molti motivi per ridere pensando alla politica internazionale, ma mi è venuta spontanea qualche riflessione.

In particolare, da tempo mi interrogo su un paradosso che riguarda il mondo accademico, e in particolare due ambiti di studio che conosco bene: Giurisprudenza e in parte Scienze Politiche. 

Mi chiedo: che senso ha oggi mantenere la cattedra di Diritto Internazionale?

Intendiamoci: non è certo mia intenzione rottamare i professori. 

Ma una certa ironia è inevitabile, quando si confrontano i contenuti dei manuali con i bollettini di guerra quotidiani. 

Nei libri si parla di “proibizione dell’uso della forza”. Nei telegiornali si vedono missili che colpiscono ospedali. 

Nei testi si studiano le risoluzioni ONU. Nella realtà, quelle risoluzioni molto spesso restano lettera morta o carta straccia.

Non è quindi una provocazione sterile, ma una domanda che nasce dalla realtà, sempre più brutale, dei rapporti tra gli Stati.

Lo so che si tratta di una presa d’atto amara, ma è purtroppo attualissima. 

Perché da Gaza all’Ucraina, dal Sudan al Mar Rosso all’Iran, fino all’indifferenza ai trattati climatici o alle convenzioni sui rifugiati, il diritto internazionale oggi sembra una grande narrazione ipocrita, un’architettura nobile ma svuotata, quasi una liturgia senza più fede né efficacia.

In estrema sintesi il diritto internazionale moderno è stata una costruzione faticosa, nata soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale. 

Era figlio di un sogno, forse ingenuo ma nobile: quello di costruire una comunità giuridica tra Stati, regolare i rapporti tra le Nazioni, prevenire le guerre, punire i crimini, proteggere i civili. 

Le Nazioni Unite, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, le Convenzioni di Ginevra….. tutto nasce da lì, tutto poggiava su alcuni capisaldi: la sovranità statale, temperata da regole comuni; il divieto di guerra come strumento politico; la tutela dei diritti umani, sempre e ovunque; il rispetto del diritto umanitario, anche nel corso di un conflitto armato.

Ma oggi, quale di questi pilastri regge ancora?

La sovranità? Schiacciata sotto occupazioni, guerre per procura, “missioni speciali”.

Il divieto della forza? Una clausola ormai trattata alla stregua di un optional.

I diritti umani? Soltanto bandiere sventolate per giustificare interventi… oppure ignorati quando sono scomodi.

Il diritto umanitario? Lo si evoca nei comunicati stampa, mentre sul terreno si bombardano scuole, ospedali e campi profughi.

A voler essere pignoli, rivolgendosi sempre alla ormai negletta storia, potremmo dire che non è la prima volta che accade. 

Anche la Società delle Nazioni, creata dopo la Grande Guerra per “rendere impossibile ogni futuro conflitto”, fu gloriosamente inutile quando Mussolini attaccò l’Etiopia, o Hitler marciò su Praga. 

All’epoca si parlava di “sanzioni morali”, una definizione che già allora puzzava di impotenza. 

Oggi, a distanza di quasi un secolo, il copione si ripete, con attori nuovi, ma nello stesso, identico, vuoto giuridico.

Eppure le cattedre resistono. 

Anzi, si moltiplicano corsi, master, seminari. L’accademia produce dottrina, articoli peer-review, convegni internazionali. 

Il diritto internazionale sembra godere di ottima salute… nei convegni.

E allora inevitabilmente torno alla domanda: che cosa insegnano oggi i docenti di diritto internazionale ai loro studenti? 

Li formano a un ideale, sapendo che è inapplicabile? 

Trasmettono strumenti tecnici che nessuno usa davvero? 

Oppure, il sospetto è lecito, preparano giuristi per un mondo che non esiste più, per un mondo che pare ritornato ai tempi di Brenno e del suo “Vae Victis”?

Certo, potremmo dire (per consolarci?) che il diritto internazionale è come il latino: nessuno lo parla davvero, ma serve per capire da dove veniamo. 

Oppure come l’educazione civica: nobile, ma spesso ipocrita. 

Ma se così fosse, allora lo si dica chiaramente: questa è archeologia giuridica, non scienza del presente.

Il problema, però, non è solo accademico. 

È politico, è culturale, è morale.

Forse non bisogna abolire le cattedre. 

Forse bisogna ripensarle radicalmente: insegnare non il “diritto ideale tra gli Stati”, ma la cronaca continua dei suoi fallimenti. 

Perché, se il diritto internazionale resta un insieme di belle parole ignorate da chi ha il potere, allora non siamo più di fronte a una disciplina, ma ad una finzione, ad una liturgia del nulla.

E a quel punto, la risposta alla domanda iniziale è semplice e amarissima:
oggi il diritto internazionale è appunto il diritto del nulla, e la sua cattedra, un altare senza più dèi.

E il mio vecchio manuale?

Beh, resterà dove è rimasto per tutti questi anni.  E chissà, magari qualche mio erede lo prenderà in mano e potrà riscoprire cosa si insegnava nelle Università negli anni  ’70 del secolo scorso. 

Umberto Baldo

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