26 Gennaio 2023 - 9.40

Grandi funerali: fra ipocrisia e caciara, da Verdi alla Lollobrigida

di Alessandro Cammarano

Non c’è momento più intimo della morte eppure l’uomo celebra da sempre il più estremo dei riti di passaggio e in fondo è giusto che sia così.

Le esequie, ovviamente, sono più necessarie a chi resta che non al defunto; costituiscono il primo momento del processo di elaborazione del lutto, di presa di coscienza della perdita e dunque costituiscono un momento importante per parenti ed amici.

Il discorso si fa più complesso quando il trapassato è persona pubblica – qualunque sia l’ambito – o “potente”: qui si innesca tutto un discorso di immedesimazione della cosiddetta “gente comune” che si sente in qualche modo parte attiva di un rito collettivo “allargato”, con tutte le degenerazioni del caso in particolare negli ultimi anni.

Il 27 febbraio del 1901 si celebrarono i solenni secondi funerali di Giuseppe Verdi – una prima cerimonia, modesta come aveva richiesto il compositore era avvenuta un mese prima a poche ore dalla morte – in occasione della traslazione della salma nella tomba approntata nell’appena terminata casa di riposo per musicisti, oggi nota come Casa Verdi, ultima eredità al mondo del Cigno di Busseto.

Ebbene la cronaca racconta di mille coristi e un corteo sterminato di cittadini comuni, quelli che lo chiamavano “Bepìn” o “Pepìn”, che seguiva in silenzio il feretro. La gente, e forse anche le autorità, erano lì a ricordare il Grande, non a mettersi in mostra.

Adesso, nell’epoca dei social – si è capito che li detesto, vero? –, dei selfie, dei reels tutto è diventato epifania di se stessi e il funerale è occasione per mettersi in mostra esattamente come il vernissage di una mostra, una prima cinematografica o una sfilata di moda.

Negli ultimi mesi abbiamo avuto occasione di assistere, con modalità diverse, a tre funerali di altrettanti “grandi” nei quali gli umani vizi e cadute di stile hanno trovato plastica declinazione.

Lo scorso 8 settembre concludeva la sua esistenza terrena la regina Elisabetta Seconda, dopo aver letteralmente attraversato la storia durante settant’anni di regno.

Con la Regina Infinita è di fatto scomparso l’ultimo leader planetario e i suoi funerali, dettati da un protocollo rigidissimo sono stati in qualche modo specchio, pur nella pompa richiesta dall’occasione, di una vita esteriormente inappuntabile; non ovunque però.

Se i sudditi britannici e del Commonwealth hanno dimostrato un’esemplare compostezza del rendere omaggio alla sovrana alla Westminster Hall – facendosi tra l’altro otto chilometri di fila – e la BBC nerovestita, così come SkyNews, ha dedicato dieci giorni a sobri ricordi e testimonianze misurate le televisioni nostrane hanno dato prova di un provincialismo pacchiano e stucchevole ammannendo agli estasiati spettatori una farsumaglia retorica attraverso ricordi di “chi la conosceva bene” e servizi che andavano dai cappellini ai misteri della borsetta: che tristezza.

Immancabili anche i commenti della gente comune – quella che per intenderci, se interrogata, non conosce il nome del nostro Presidente della Repubblica – tutta improvvistamente e “britannicamente” in lutto per un Capo di Stato estero.

Di peggio è successo in occasione della dipartita, dopo lunga malattia, del Pontefice Emerito – primo nella storia del papato – Benedetto Sedicesimo.

In questa occasione le indicazioni lasciate da Joseph Ratzinger erano chiarissime: cerimonia semplice e riservata.

E invece no, non è andata esattamente così: salma imbalsamata ed esposta in San Pietro come si fa per i papi in carica, e ghiotta occasione per uno stuolo di politichetti nostrani – rappresentanti tra l’altro di uno Stato laico per Costituzione – per farsi fotografare con aria contrita davanti al catafalco e rilanciare lo scatto un secondo più tardi si Twitter o Facebook.

Stessa scena il giorno dei funerali: di nuovo tutti a favore di telecamere e tutti impegnatissimi in gara oscena di bacio dell’anello cardinalizio.

Anche la gente comune ci ha messo del suo con lo striscione “Santo subito”, ma si sa, il popolo ha bisogno di figure di riferimento e se queste mancano se le crea.

Ultima a dipartire la novantacinquenne Gina Lollobrigida il cui funerale è stato forse il più sobrio di tutti, al netto delle orrende beghe familiari – tra tentativi di interdizione legale e liti ereditarie – che hanno caratterizzato l’ultima parte della lunga vita della “donna più bella del mondo”.

Il pubblico le voleva bene davvero ma i programmi televisivi “d’informazione”, soprattutto quelli pomeridiani, ormai più tristi dei rotocalchi da sala d’attesa, hanno sguazzato come i cinghiali nei cassonetti dell’Urbe, calcando sugli ultimi, difficili anni della Diva. Orrore puro frutto di un’informazione distorta e volgare.

Chiosa amara: il popolo dei social si adegua al peggio e oramai alla dipartita della persona illustre segue una sfilza di “RIP”, “la terra ti sia lieve” e, peggio di tutti “Ciao”; poi dice che uno si rivolta nella tomba.

Alessandro Cammarano

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