Ferragosto da grigliare: il profumo della festa più popolare che resiste nel tempo, ieri ed oggi!

Il sole picchia alto e implacabile, il cortile è in fermento.
Sotto un pergolato, il tavolo di legno è già coperto da tovaglie scompagnate, bottiglie di vino rosso in mezzo alla condensa della gazzosa, ciotole di insalata che nessuno guarderà fino a quando la carne sarà finita.
Al centro, in una nube profumata di fumo e rosmarino, il “maestro di brace” governa il fuoco come un capitano in battaglia: con la pinza sposta costine e salsicce, inclina il pollo infilzato sullo spiedo, scuote la griglia per far cadere la cenere.
I bambini girano intorno come vespe attratte dal miele, rubando olive e fette di salame “nell’attesa”.
La nonna, con la pazienza di chi ha visto mille Ferragosto, prepara fette di pane da abbrustolire per fare la “scarpetta” come si deve.
In questo teatro popolare, ogni ruolo è assegnato: l’aiutante ufficiale che spennella la carne con l’olio, e bagna la brace con il vino “per dare sapore”, il cugino che offre birra a chiunque si avvicini al fuoco, la zia che porta il vassoio di peperoni “per bilanciare” (nessuno le crede, ma i peperoni finiranno lo stesso).
La scena sembra sospesa nel tempo: potrebbe essere oggi, come cinquant’anni fa.
Cambiano le scarpe, i cellulari, la musica di sottofondo….. ma la sostanza resta la stessa.
Ferragosto, in Italia, è molto più di una data sul calendario.
È un punto fermo dell’estate, una liturgia laica che unisce riti antichi e abitudini moderne.
C’è chi lo vive tra mare e ombrellone, chi in montagna tra prati e polenta, chi come ultima tregua prima del rientro al lavoro, chi come apice delle ferie, e chi come un’occasione per fare quello che da mille anni l’uomo sa fare meglio: radunarsi attorno al fuoco per cuocere carne.
Ecco perché Ferragosto, per l’Italia carnivora, è un rito antico.
Il Ferragosto grigliato è un pezzo di storia italiana che non ha bisogno di proclami. Non nasce ieri: ha radici antiche, romane. Con le Feriae Augusti, Ottaviano Augusto regalava ai suoi sudditi giorni di riposo e banchetti per celebrare il raccolto e il Principe.
Allora non c’era la griglia a gas, ma i fuochi di legna ed i grandi arrosti comunitari: il principio, però, era identico, il giorno di festa richiede un cibo speciale.
Per secoli, però, la carne fu un miraggio per la maggioranza della popolazione.
Nei villaggi contadini si viveva di polenta, legumi e verdure dell’orto; il maiale era un evento annuale, e di quell’animale si usava tutto, come racconta Piero Camporesi: zampe, ossa, sangue, grasso.
Le carni bovine, invece, erano privilegio di nobili e clero, celebrate in ricettari come quelli di Bartolomeo Scappi, che al Rinascimento dava arrosti e brasati degni di cardinali.
Il popolo, invece, aspettava le grandi feste – Natale, Pasqua, Ferragosto – per mettere in tavola “vera” carne, cucinata spesso su fuoco vivo.
È qui che nasce il legame sentimentale tra Ferragosto e la carne: una sorta di rivincita collettiva contro secoli di minestre di fagioli e polente condite con un’ombra di strutto.
Il XIX secolo, con l’opera di Pellegrino Artusi, sancì la carne come piatto centrale della tavola borghese: “Non crediate che la buona cucina sia prerogativa dei ricchi: colla spesa di un tozzo di pane si può, se si sa fare, preparare un boccone delicato”, scriveva.
Ma il Ferragosto grill è un’altra cosa: è meno delicato e più istintivo, meno porcellana e più piatto di plastica, meno bon ton e più convivialità rumorosa.
Ecco perché oggi, anche senza saperlo, quando mettiamo una costina sulla brace compiamo un atto di memoria collettiva.
Non stiamo solo cuocendo cibo: stiamo ripetendo un gesto antico quanto l’umanità.
La grigliata di Ferragosto è anche un’enciclopedia gastronomica a cielo aperto.
Nel Nord Italia trovi la costata e le costine marinate; al Centro, gli arrosticini abruzzesi e le braciole al rosmarino; al Sud, la salsiccia aromatizzata con finocchietto o peperoncino.
In mezzo, mille varianti locali, contaminazioni straniere – dalle ribs americane ai ćevapi balcanici – e invenzioni del momento.
E in fondo, il Ferragosto carnivoro è anche un antidoto alle divisioni.
In un’Italia che litiga su tutto, la griglia mette tutti d’accordo: destra, sinistra, centro… davanti al barbecue non ci sono ideologie, solo opinioni sul punto di cottura.
E sì, qui il vegetariano e il vegano guardano con sospetto… ma, diciamolo, con garbo, e forse anche con un filo di invidia.
Perché la zucchina o la melanzana alla piastra hanno sicuramente la loro dignità, ma non racconteranno mai la stessa storia del pollo che si abbronza lentamente, della pancetta che si scioglie al calore, della salsiccia che esplode in un “pssht” di grasso e sugo.
Attorno alla griglia, le chiacchiere sono lente, le risate facili, il tempo sospeso.
Il fumo ti impregna i vestiti, ti pizzica gli occhi e ti rimane addosso come un ricordo da portare a casa.
C’è qualcosa di tribale e rassicurante in quella comunità di mani che girano le carni, in quell’attesa che unisce giovani e anziani, in quell’assaggio furtivo con il cuoco che “controlla la cottura”.
Quando finalmente il “maestro di brace” annuncia che “si può servire”, è come se suonasse la campana della messa: tutti si avvicinano, piatto in mano, pronti a mordere il Ferragosto.
E mentre la carne si scioglie in bocca e il pane raccoglie gli ultimi succhi, capisci che non stai solo mangiando: stai partecipando a un rito che unisce generazioni, storie, Regioni.
Un rito che, finché ci sarà un po’ di brace, e qualcuno disposto a girare la carne, non morirà mai.
Perché Ferragosto è tante cose: mare, montagna, gite, feste… ma per chi ama la carne, è soprattutto il giorno in cui la brace diventa patria.
E se c’è una morale, è questa: la vita è breve, il Ferragosto passa in fretta… ma una costina ben cotta resta per sempre nei ricordi.
Umberto Baldo













