21 Maggio 2025 - 11.38

Eurovision: quando la body positivity diventa eccesso

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Di Alessandro Cammarano

L’Eurovision Song Contest 2025 ha confermato la sua vocazione di porsi come specchio delle trasformazioni culturali europee e non solo; accanto alla musica, sono saliti sul palco discorsi identitari, lotte civili, rivendicazioni estetiche e, in particolare, un’esplosione di messaggi legati alla body positivity, cosicché corpi – le virgolette sono d’obbligo – “non conformi”, “abbondanti”, “non scolpiti”, “non standardizzati” hanno occupato la scena in modo deciso, e spesso rivendicativo.

Se tutto questo, in un’ottica di “inclusività”, è giusto per rompere con decenni di egemonia estetica tossica – basti pensare all’oscena e degradante anoressia da passerella degli anni ’90 – viene comunque da chiedersi se sia altrettanto corretto celebrare, senza alcuna sfumatura critica, fisicità che possono implicare fragilità e problematicità dal punto di vista della salute.

I casi – tutti al femminile, e già questo suona stonato – di Malta, Danimarca, Finlandia e Spagna mostrano sfaccettature diverse di questo fenomeno: tra provocazione, consapevolezza, “empowerment” e rischio di nuova spettacolarizzazione.

Ma veniamo agli esempi pratici, analizzano ciascuna delle cantanti “non conformi”

La maltese Miriana Conte ha portato sul palco Serving, un brano tra pop elettronico e dancehall, accompagnato da una coreografia che ha messo in primo piano la sua fisicità generosa.
Con costumi sgargianti, movimenti volutamente accentuati e un testo che gioca tra ironia e orgoglio, Conte ha fatto del suo corpo un manifesto.

Il suo messaggio era chiaro: “Io servo così, e vado bene così.”: applausi, meme, e trending topic assicurati.
Tuttavia, anche qui si apre il problema del doppio registro: si può celebrare un corpo non conforme senza scivolare nella glorificazione dell’obesità? Il rischio è che la sacrosanta difesa della dignità di ogni corpo diventi negazione dei suoi bisogni reali, compreso il bisogno di cura.

Con Hallucination, la danese Sissal ha creato – scegliendo sfumature diverse – una performance ipnotica, sospesa tra fiaba nordica e cyber-pop, con il corpo della cantante, abbondante ma tonico, a diventare parte integrante della narrazione visiva.
In un’intervista post-gara, Sissal ha dichiarato: «Non sono un simbolo. Sono solo me stessa. Il mio corpo racconta una storia di forza, non di vergogna.».

Eppure, anche nella compostezza della sua messa in scena, il messaggio è stato recepito da più di qualcuno come una nuova estetica dell’eccesso, in opposizione a quella del controllo; come se si potesse combattere un’estremizzazione solo sostituendola con un’altra. La generosità delle forme ha bisogno di inclusività, sì, ma anche di dialogo aperto su salute, equilibrio e benessere.

Per la Finlandia concorreva invece Erika Vikman, figura di spicco nel pop finnico e spesso incline alla provocazione.
Con Ich Komme – brano cantato in tedesco e carico di allusioni sessuali – ha portato sul palco un’estetica volutamente kitsch, dominata da latex, colori fluo e una fisicità burrosa, rivendicata come erotica e potente.

La sua body positivity non è tanto militante quanto dissacrante: Erika non chiede accettazione, ma la impone con ironia; è la donna che si diverte del proprio corpo e con il proprio corpo. Il rischio, però, è che la dissacrazione diventi estetizzazione forzata: il corpo curvy come nuovo feticcio del desiderio trasgressivo.

Anche questo è un cliché che andrebbe scardinato.

Chiudiamo la carrellata con la rappresentante spagnola; Melody, con Esa diva, ha probabilmente firmato una delle performance più sofisticate dal punto di vista della comunicazione visiva. Corista da bambina, poi attrice e performer matura, Melody ha scelto di mostrarsi con un corpo robusto – il look tra Shakira e Byoncé – valorizzato da una regia scenica studiata al millimetro.

La canzone – un inno alla “diva vera”, fatta di carne, umori, difetti e presenza – è stata accolta come una celebrazione potente della donna reale.

In ogni caso non sono mancati i sospetti che la body positivity in questo caso fosse anche una strategia di branding: incarnare la “diva imperfetta” in un momento storico in cui questo ruolo è socialmente remunerativo. Melody è stata perfetta, sì – ma troppo perfetta nella sua imperfezione?

Il messaggio generale è chiaro e importante: ogni corpo ha diritto a esistere, essere visto, danzare, amare; ma accettare ogni corpo non significa glorificare ogni condizione. L’obesità è una realtà complessa, legata anche a sofferenze fisiche e psicologiche e mettere in discussione l’anoressia da copertina non implica accettare il pendolo opposto come unico modello alternativo.

L’Eurovision 2025 ha dunque offerto una rappresentazione potente e variopinta del corpo. Ora, tocca alla cultura pop – e a ciascuno di noi – raccogliere la sfida più difficile: conciliare inclusività e senso critico, accettazione e salute, visibilità e consapevolezza.

Solo così la body positivity potrà dirsi veramente liberatoria.

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