3 Agosto 2022 - 10.39

Elezioni – Fine del progetto liberal-democratico?

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Oggi non troverete un quotidiano che non dedichi le prime 4/5 pagine all’accordo raggiunto fra il Pd di Enrico Letta e Azione/+Europa di Emma Bonino.

Non era scontato, viste le convulsioni che hanno attraversato i due Partiti nei giorni scorsi, ma sicuramente si tratta di un’alleanza che cambia gli scenari di questa campagna elettorale, già piuttosto effervescente.

Se avete avuto la bontà e la pazienza di leggere quanto da me scritto due giorni fa in un pezzo dal titolo “Alla ricerca del Centro perduto”, ricorderete questo passaggio: “A tal riguardo, dal punto di vista emozionale confesso che preferirei che le forze “centriste” andassero alle elezioni senza apparentamenti, ma sulla base dell’esperienza capisco che, con questa legge elettorale, con i collegi uninominali determinanti, si impone una seria riflessione sul problema del cosiddetto “voto utile”.

Non ho cambiato idea al riguardo, ma prendo atto che in nome della “matematica elettorale”, quindi della necessità di fare fronte comune nei collegi  uninominali in bilico, Letta e Calenda hanno preferito mettere (almeno temporaneamente) da parte le polemiche del passato, concentrando gli sforzi nell’obiettivo di arginare il possibile dilagare della coalizione di Centro Destra.

Intendiamoci, le motivazioni ci stanno tutte!

Ammesso che il trio Meloni-Salvini-Berlusconi alla fine vinca, l’importante, visto da sinistra, è che non faccia “cappotto”, perché se conquistasse i due terzi di Camera e Senato potrebbe cambiare la Costituzione senza dover ricorrere al Referendum popolare confermativo.  Tanto per dirne una, potrebbe trasformare l’attuale Repubblica parlamentare in Repubblica Presidenziale, costringendo di fatto Sergio Mattarella a lasciare il Quirinale in un paio d’anni.

Quindi, al di là della commedia, di un copione forse recitato ad arte, con un pizzico di thriller  fino all’ultimo minuto, alla fine ha finito per prevalere la realpolitik, e Calenda e Letta hanno trovato la quadra.

Ma al di là delle dichiarazioni di facciata, della politica ad usum di televisioni e media, cosa ha spinto Enrico Letta a cedere a Calenda su tutte le richieste, concedendogli tutto, ma proprio tutto: nessun leader candidato nei collegi uninominali (per mettere fuori gioco Di Maio e Fratoianni), completamento dell’agenda Pnrr, divieto di aumentare le tasse, si ai rigassificatori ed ai termovalorizzatori, e soprattutto il 30% dei candidati di Azione nei collegi, contro il 70% del Pd?

Certo alcuni temi sono rimasti volutamente fuori dall’intesa; per fare un solo esempio Calenda ha dovuto accettare un ammorbidimento delle sue posizioni nettamente revisionistiche in tema di Reddito di Cittadinanza e Superbonus 110%.

Ma cosa ha indotto il Segretario del Pd a siglare un accordo liberal-riformista sotto le insegne di Mario Draghi, decisamente poco di sinistra?

Io credo che Letta abbia fatto una seria analisi dell’attuale geografia politica del Paese, e magari, ma questo non lo sapremo mai, ha in mano sondaggi riservati che gli indicano che l’unica possibilità di intercettare un certo voto di centro  (es. berlusconiani delusi che non se la sentono di votare Meloni o Salvini, elettori di area liberal democratica) era quella di stringere un patto di ferro con Calenda.

Quindi la scommessa è vedere se il 25 settembre la lista di Azione alleata con Pd e altri cespugli riuscirà a convincere gli elettori di Forza Italia, i liberali,  ed in generale i moderati che fin qui hanno sempre votato a destra (tranne quando il Pd di Matteo Renzi prese il 40 per cento alle europee del 2014).

In quest’ottica, che per semplificare definisco centrista, si capisce che per Letta diventano quasi insignificanti i partitini di quello che Enrico Mentana definisce il “Club del 2%” posti alla sinistra del Pd, e per questo è disposto a superare la vecchia regola del “niente nemici a sinistra”.

Certo questo accordo ha fatto incazzare di brutto Fratoianni di Sinistra italiana  e Angelo Bonelli dei Verdi, ma a questo punto al di là delle proteste e delle minacce di sfilarsi dalla coalizione (per andare dove?)  non andranno di certo, perché da soli il 3% dei voti, necessario per eleggere parlamentari, lo vedrebbero solo con il binocolo.

Molto meglio abbozzare, cercando di portare a casa qualche eletto, giusto per dire “siamo ancora vivi”.

Quando si fa un accordo un prezzo politico lo pagano un po’ tutti i firmatari, e nella specie lo paga l’intero schieramento dei progressisti, perché offre il fianco al Centrodestra di accusare gli avversari di essere la classica “Armata Brancaleone”, un’accozzaglia di forze divise su molti temi, ma tenute assieme dalla sola volontà di impedire la vittoria della “droite”.

Tornando a quel fantomatico “Centro perduto” della mia ricerca, non c’è dubbio che la scelta di Calenda pone fine a quel progetto liberal-democratico su cui avevo riposto le mie speranze, e nel caso di una pesante sconfitta, la sua scelta di non aver costruito subito un’alleanza repubblicana contro il bipopulismo peserà per sempre sulle sue spalle.

Al momento fuori della partita sembra essere solo Matteo Renzi, su cui è pesato fortemente, a quanto si dice, l’inspiegabile ostracismo di Emma Bonino.

Renzi sembra per il momento resistere alle lusinghe di quei “geni del Pd” che sostenevano fino a ieri che l’ex premier farebbe perdere voti; evidentemente contro il “fascismo alle porte” (sic!)  anche i consensi di Italia viva non puzzano più.

A questo punto è solo, e si tratterà di vedere se avrà il coraggio di presentarsi coraggiosamente e senza paracadute in una corsa solitaria al centro, cercando di intercettare i voti liberal-democratici e quelli in uscita da Forza Italia che non se la sentono di votare a sinistra.

Non sarebbe una corsa facile, sul terreno scivoloso di questa politica, ma si sa che la solitudine spesso è una forte spinta a sfidare il mondo, e Renzi  ha mostrato altre volte che è quello che sa fare meglio.

Per quanto mi riguarda, io sono naturalmente portato a tifare per i più deboli.

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