31 Agosto 2022 - 12.40

ELEZIONI – Attenzione ai sondaggi

Di Umberto Baldo

Inutile girarci attorno, ce li dovremo sorbire fino al quindicesimo giorno prima delle elezioni, dopo di che saranno vietati.

Così prevede la legge vigente.

Meglio dire che ne sarà vietata la diffusione al pubblico, a noi comuni mortali, perché le rilevazioni delle intenzioni di voto degli italiani continueranno ad arrivare puntualmente sui tavoli dei leader politici, che ne sono i veri committenti.

Devo confessarvi che quando questa limitazione venne fissata per legge io mi trovai del tutto contrario, perché mi sembrava una lesione del diritto di informazione, quasi una forma di “censura” frutto di una concezione culturale che considera i cittadini alla stregua di bambini da tenere al riparo da certe notizie.

Con il passare del tempo ho cambiato idea, perché i sondaggi, introdotti per la prima volta in Italia nel 1984 da Silvio Berlusconi, si sono dimostrati fin da subito non uno strumento scientifico al servizio dei cittadini, bensì uno strumento di marketing politico.

Per dirla più chiaramente, in questo nostro benedetto Paese in cui tutto viene in qualche modo asservito alla politica i Partiti, ma anche i giornali che li fiancheggiano, utilizzano i sondaggi come strumento di comunicazione in campagna elettorale, ovvero per confermare, e spesso spingere, l’andamento vincente di un determinato Partito/candidato.

Non ditemi che non avete notato anche voi che, scorrendo le notizia di Google o di Flipboard, o di altri motori di ricerca, non passa giorno che non vengano pubblicati uno o più sondaggi, accompagnati da titoli “sparati” (tipo “Pd cola a picco”, “Balzo della Lega”, “Fdi allunga” ecc.), chiaramente mirati a mettere in evidenza il presunto gradimento di un leader a scapito degli altri, o di un altro in particolare.

Sia chiaro che non intendo mettere in discussione una scienza come la statistica, che sempre più influenza le nostre scelte di vita, e non solo quelle elettorali.

Ma non ho mai dimenticato che un mio caro amico che studiava Statistica quando io frequentavo Giurisprudenza, discutendo una volta mi disse che in una fase del corso in cui studiava appunto i sondaggi di opinione, il professore aveva detto agli studenti che in generale non si sarebbero dovuti fare sondaggi su temi quali politica, sessualità e religione. Il motivo? Perché la gente intervistata non avrà problemi a dirti in che città è nato, se va in palestra o se ha un’auto, ma tenderà molto più spesso a non rispondere, o a rispondere una cosa a caso, se gli viene chiesto per chi vota, se professa una religione, o quali siano le sue preferenze sessuali.

Parlo di tanti anni fa, e può essere che nel frattempo le tecniche di rilevazione si siano affinate a tal punto da vincere le ritrosie degli intervistati, ma proprio vedendo in questi giorni sui social, come accennavo, che i sondaggi sono sempre in linea con l’orientamento politico del giornale o del sito che li pubblica, mi resta costantemente il dubbio che, poiché queste rilevazioni sono spesso commissionate dagli stessi Partiti, gli istituti che le eseguono siano ovviamente propensi a compiacere il cliente-committente.

L’intento è chiaro, quello di utilizzare il sondaggio come strumento di comunicazione in campagna elettorale, ma ciò rischia non solo di manipolare la correttezza e l’imparzialità dell’informazione (ammesso che esistano ancora), ma soprattutto di scatenare il cosiddetto effetto “band wagon”, cioè quello di far salire gli elettori sul carro del presunto vincitore (sport in cui da sempre gli italiani eccellono).

Si arriva quindi giocoforza al problema dell’attendibilità dei sondaggi, che non è per la verità un problema solo italiano, visti i clamorosi errori in cui sono incorsi più volte i sondaggisti americani in occasioni delle presidenziali Usa.

Ma basta anche rimanere all’Italia per vedere che i “guru dei sondaggi” non sempre ci azzeccano.

Guardando alle ultime politiche del 2018, quindici giorni prima del 4 marzo, giorno del voto, i sondaggi davano il Movimento 5 Stelle guidato da Luigi Di Maio al primo posto con il 28 per cento, il Partito Democratico di Matteo Renzi al 23 per cento, Forza Italia di Silvio Berlusconi al 17 per cento e la Lega di Matteo Salvini al 14 per cento. Sopra il due per cento, gli stessi sondaggi davano Liberi e Uguali guidato da Pietro Grasso al 6 per cento, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni al 5 per cento, e Più Europa di Emma Bonino al 2,5 per cento.
I risultati delle elezioni smentirono profondamente questa fotografia dei consensi. Il 4 marzo infatti il Movimento 5 Stelle ottenne il 32,7 per cento dei consensi, staccando di ben quattordici punti il Partito Democratico che si fermò al 18,8 per cento. Nella coalizione di centrodestra si ribaltarono inoltre i rapporti tra la Lega e Forza Italia: la prima, con il 17,4 per cento, risultò avanti a Forza Italia, ferma invece al 14 per cento.

Questa non vuole essere una stroncatura, o un atto di accusa ai sondaggi, ma semplicemente un avvertimento che si tratta comunque di materia da prendere con le molle, e che “differenze fra atteso e reale” sono sempre possibili.

Credo infine che i sondaggi potrebbero anche essere influenzati in negativo dalle particolarità della nostra legge elettorale.

Abbiamo già illustrato nei giorni scorsi come funziona il Rosatellum, e ricordiamo che le sue caratteristiche salienti stanno nella sua natura mista maggioritaria-proporzionale, e nell’inscindibilità che esiste nel doppio voto, nel senso che è vietato il voto disgiunto fra maggioritario e proporzionale.

Per essere più chiaro, quando gli viene consegnata la scheda l’elettore deve decidere come approcciarsi al candidato al collegio uninominale (parte maggioritaria) e ai candidati del listino bloccato per la parte proporzionale.

Poiché i sondaggi sono formulati sulle preferenze di Partito, e dunque sulla sola parte proporzionale, non è assolutamente garantito che, quando voterà, l’elettore darà rilievo preminente alla parte proporzionale qualora il candidato al maggioritario di quel partito non gli piaccia o non lo rappresenti.

Per fare un esempio, se un elettore di orientamento cattolico-liberale, deciso a votare Pd, si trovasse nella scheda all’uninominale, che ne so, il nome di Fratoianni, chi garantisce che, pur di non votare un “comunista”, non decida di votare ad esempio per Calenda?

Ne consegue che se una certa percentuale di elettori decidesse di votare sulla base del nome del candidato all’uninominale, piuttosto che genericamente sul Partito, i sondaggi attuali potrebbero uscire letteralmente stravolti.

In conclusione, portate pazienza per un’altra decina di giorni, dopo di che a contare saranno solo i numeri veri che usciranno dalle urne, e saranno solo quelli a dirci chi governerà l’Italia nell’immediato futuro.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

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