21 Agosto 2025 - 9.07

Dai selfie al porno: le nostre montagne violate dai supercafoni (e dai loro guardoni)

Questa estate, che ormai si avvia verso l’epilogo, non sarà ricordata solo per le polemiche sul caro-spiagge, ma anche per un nuovo sport nazionale: l’assalto dei supercafoni alla montagna.
Atti di vandalismo, aggressioni ai rifugisti, imprudenze da manuale, e code infinite del popolo dei social per conquistare l’angolo più instagrammabile delle Dolomiti, trasformando gli angoli più fragili delle Alpi in un immondezzaio da gita scolastica.
D’altronde cosa ci si poteva aspettare?
Abbiamo ridotto le Dolomiti ad un hashtag, i ghiacciai a sfondo per un selfie, ed il rispetto della natura ad un optional.
Gente in infradito e canottiera pretende di scalare cime da tremila metri, e se si fa male si arrabbia pure perché deve pagarsi il recupero in elicottero (e molti si rifiutano di farlo!).
Non è turismo: è un reality show senza copione, dove il protagonista è sempre più il cafone di turno.
E non mi si venga a dire che la colpa è tutta degli influencer.
No: se da anni trasformiamo la montagna in un Luna Park, con hotel, impianti e promozioni da prime time televisivo, se la vendiamo come fosse Disneyland con panorama, poi non possiamo stracciarci le vesti se tra i villeggianti arrivano anche quelli che non sanno vivere bene nemmeno a casa loro.
Così, a Cortina, in pieno centro, è comparso il turista che ha pensato bene di spogliarsi completamente accanto al suo van, con tanto di panni stesi davanti allo stadio olimpico come fossimo a Scampia.
Nemmeno il tempo di scandalizzarsi che, pochi giorni dopo, lungo la ciclabile che collega Auronzo a Misurina, quattro cicloturisti hanno deciso di rinfrescarsi nel torrente Ansiei, in pieno giorno, in costume adamitico, fregandosene del via vai di famiglie e bambini.
“Eh ma che c’è di male?”, si sente dire.
Nulla, se non fosse che la ciclabile non è un set di “Nudi e crudi”.
Ma è qui che scatta la solita falsa indignazione nazionale: noi italiani, che viviamo immersi in tv che trasmettono di tutto a qualsiasi ora, social che pullulano di cosce, glutei e silicone a buon mercato, pubblicità che ormai vendono anche lo yogurt con la scusa dell’erotismo… ci scandalizziamo per quattro cicloturisti che si rinfrescano nudi in un torrente di montagna.
Roba che, al confronto, persino le balere del lido sembrano conventi di clausura.
Potremmo liquidare tutto come normale cafonaggine turistica, se non fosse che il vero spettacolo lo hanno offerto… i guardoni.
Perché ogni episodio è stato fotografato, filmato, rilanciato, ingigantito e sbattuto sui social con la stessa foga di chi crede di aver scoperto lo scandalo del secolo.
E qui sta il paradosso.
In altri tempi, chi spiava persone nude (o quasi) aveva un nome preciso: “guardone”.
Una figura squallida, da bar di periferia, di cui vergognarsi.
Oggi invece il voyeurismo è diventato un dovere civico, anzi quasi una missione culturale: “documentare”, ecco il nuovo “imperativo categorico”.
Il guardone 2.0 non si nasconde: estrae lo smartphone, zooma senza pudore, e corre a postare su Instagram con tanto di hashtag moralista.
La verità è che siamo diventati un popolo di guardoni digitali.
Non ci indigna il cafone in sé, ma ci eccita l’idea di immortalarlo, di esibirlo, di mostrarci superiori mentre affondiamo nello stesso fango.
È la versione social della “gogna medievale”: solo che ora, invece dei ceppi in piazza, ci sono le storie di Instagram.
E così la montagna la roviniamo due volte: con chi la tratta come un campeggio abusivo, e con chi la riduce a un peep-show da condividere.
Un tempo le Dolomiti erano considerate “cattedrali di roccia”: oggi sono diventate lo sfondo di un porno soft gratuito per guardoni digitali.
E il problema è che, alla fine, non sappiamo più chi faccia più danno: il cafone col van o quello col telefono.
Umberto Baldo

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