Caro Leone ti scrivo. Firmato Martin Lutero

di Umberto Baldo
Dopo l’elezione, diciamo la verità inaspettata di un cardinale statunitense al Soglio di Pietro, e dopo aver appreso che Papa Leone XIV proviene dall’Ordine degli Agostiniani, mi sono chiesto se Martin Lutero, il monaco Agostiniano che nel 1517 scardinò l’unità della cristianità occidentale con le sue 95 tesi, potesse vedere oggi un Pontefice romano del suo stesso Ordine, e per di più con il nome Leone XIV, evocando Leone X, il pontefice mediceo che lo scomunicò, forse alzerebbe un sopracciglio, o farebbe un sorriso amaro.
Siamo ovviamente nel campo della fanta-storia.
A mio avviso trovo difficile immaginare che Lutero si riconcilierebbe con l’istituzione papale, qualunque sia l’ordine di provenienza del Papa. La sua critica non era infatti solo morale, ma teologica e strutturale.
Forse direbbe: “Che un agostiniano indossi la tiara non cambia il fatto che la tiara è un errore. Il Vangelo non ha bisogno di troni, ma di cuori liberi.” Magari aggiungendo: “Se è vero che il papa è agostiniano, allora mi auguro che legga bene Agostino… soprattutto dove insegna che la grazia di Dio non si compra.”
Ma poiché la coincidenza mi affascina, mi sono permesso di immaginare una lettera che Lutero avrebbe scritto al nuovo Pontefice, ovviamente seguita dalla risposta di Leone XIV.
Lettera immaginaria di Martin Lutero a Papa Leone XIV
Wittenberg, nella luce dell’eternità
Alla Santità di Papa Leone XIV, fratello nell’Ordine di Sant’Agostino,
Santità,
dopo tanti secoli, dalla mia piccola cella oltre il tempo, ho appreso con sorpresa che il nuovo successore di Pietro proviene dal mio stesso Ordine Agostiniano. Non posso negare che questa notizia ha scosso la mia anima, sì, ancora inquieta, come sempre.
Le scrivo non come un ribelle, ma come un fratello. Non come il “martello” di Wittenberg, ma come l’uomo che ha trascorso notti intere a dialogare con Dio nella solitudine del chiostro. Siamo figli dello stesso padre spirituale, Agostino, e conosciamo entrambi la profondità della sua lotta interiore, il suo amore per la grazia e la sua sete di verità.
Mi chiedo: che Chiesa guida oggi un Papa agostiniano? È una Chiesa che ascolta più il Vangelo che le corti? È una Chiesa capace di chinarsi, come Cristo, ai piedi dell’uomo ferito? È una Chiesa libera dalla mondanità, o ancora invischiata nei giochi del potere?
Quando affissi le 95 tesi, non volevo dividere la Chiesa, ma svegliarla. Non sognavo una nuova religione, ma una vecchia fede tornata alla sua sorgente: la Parola. Se oggi un papa condivide il mio stesso amore per la Scrittura e la mia inquietudine per la verità, allora oso sperare che la mia voce non sia stata del tutto vana.
Caro fratello, non ti scrivo per chiedere vendette postume, né per rivendicare ragioni umane. Ti scrivo affinché tu, oggi, possa fare ciò che né io né i Papi del mio tempo siamo riusciti a fare: ricucire con carità ciò che fu strappato con l’ira, riconciliare senza cancellare la memoria, riformare senza distruggere.
Se il pastore odora ancora di pecora, se la Chiesa parla la lingua del popolo e non del potere, allora forse la Grazia ha fatto il suo corso.
Ti benedico, non da padre, ma da fratello.
In Cristo, solo in Cristo.
Fr. Martinus Lutero, servo inutile della Parola
Lettera immaginaria di Papa Leone XIV a Martin Lutero
Dal Vaticano, nel giorno della memoria di Sant’Agostino
A Frate Martinus Lutero, servo e testimone della Parola,
Fratello Martinus,
la tua lettera mi ha raggiunto come un vento che soffia dai secoli, e ha smosso in me non solo il cuore, ma anche la coscienza. Ti rispondo non come Pontefice da un trono, ma come fratello da un banco di legno, come uomo che ha pianto leggendo le Confessioni e che ha sentito, più volte, la tentazione e il peso del dubbio.
Non ti nascondo che il tuo nome, nella storia della Chiesa, è stato pronunciato per secoli con sospetto, a volte con rabbia, spesso con dolore. Ma oggi, rileggendoti senza pregiudizi, molti, ed io tra questi, scorgono in te non un nemico, ma un credente appassionato, forse troppo solo, forse troppo avanti.
La tua voce, allora, ha bruciato come un fuoco. La nostra sordità di allora ha reso quelle fiamme un incendio. Oggi, io sento il dovere non di spegnere quel fuoco, ma di comprenderlo, e di imparare da esso.
Hai chiesto se la Chiesa odora ancora di potere o di popolo. Ti rispondo con onestà: in parte l’una, in parte l’altro. Ma la direzione verso cui vogliamo andare è quella della seconda. Stiamo provando a spogliarci dei palazzi per tornare alle tende, a scendere dai pulpiti per stare nelle strade. Sappiamo che non basta predicare il Vangelo: bisogna viverlo, e a volte anche tacerlo per lasciarlo parlare con i fatti.
Il tuo amore per la Scrittura, la tua invocazione della sola gratia, il tuo richiamo alla coscienza come luogo sacro del dialogo con Dio, tutto questo non ci è più estraneo. Non è eresia ciò che spinge l’uomo verso Cristo, è eresia ciò che lo allontana con orgoglio e presunzione.
Tu hai messo in discussione un sistema. Io voglio mettere in discussione l’abitudine. Tu hai fatto tremare un edificio. Io voglio riaprire le finestre. Forse, nei tuoi giorni, non c’era spazio per il perdono reciproco. Oggi, forse, c’è spazio almeno per il riconoscimento.
Ti chiedo, allora, nel nome di quell’Agostino che ci ha generati entrambi, di benedirmi come fratello. Di vegliare su questa Chiesa che cerca ancora la via del Golgota, ma che sogna anche la luce del mattino di Pasqua.
Che il tuo spirito inquieto riposi in pace. Che il nostro spirito inquieto non smetta mai di cercare.
In fraternitate Agostiniana e nella carità di Cristo, Leone XIV
Spero con questa mia ricostruzione fantastica di uno scambio epistolare che non potrà mai avvenire, di non aver turbato la coscienza di alcun credente, sia esso Cattolico o Protestante Luterano.
Ma cosa volete, forse il mio sarà sincretismo religioso, ma sono da sempre convinto che se un Dio esiste, non può essere che lo stesso per tutti gli uomini che calpestano la nostra madre terra.
Umberto Baldo