14 Maggio 2025 - 9.33

Adios “Pepe”, riposa all’ombra della tua sequoia

ISCRIVITI AL CANALE WHATSAPP DI TVIWEB PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO

CLICCA QUI.

Umberto Baldo

Se fino a ieri mi aveste chiesto quale politico per me incarnasse l’idea della Politica come servizio, non avrei avuto alcun dubbio nel rispondervi: Pepe Mujica.

Sottolineo fino a ieri non perché abbia cambiato idea, ma semplicemente perché ieri José “Pepe” Mujica, ex presidente dell’Uruguay e figura simbolo della politica etica e umana, ci ha lasciato.

Quello che io amo definire l’ultimo guerrigliero romantico era nato a Montevideo il 20 maggio 1935, ed è stato un protagonista assoluto della storia uruguaiana e latino americana.

In un tempo in cui la politica appare sempre più prigioniera dell’immagine, della superficialità e di una spasmodica corsa al potere, la figura di José “Pepe” Mujica emerge come un’anomalia quasi commovente. 

Un guerrigliero romantico, l’ultimo forse, capace di coniugare ideali rivoluzionari e saggezza contadina, sobrietà personale e dignità istituzionale.

La sua storia sembra uscita da un romanzo sudamericano: negli anni Sessanta aderisce ai Tupamaros, movimento armato ispirato alla rivoluzione cubana. 

Viene arrestato, torturato, rinchiuso in carceri durissime per quattordici anni, la maggior parte dei quali passati in completo isolamento in un braccio ricavato da un pozzo sotterraneo. 

Ma invece di uscirne con l’odio negli occhi, ne esce con una filosofia di vita che sconfina nella spiritualità: Non odio nessuno, perché l’odio ti rende prigioniero del tuo nemico.”

Approdato alla politica attiva, arrivò il suo primo giorno da senatore in motocicletta, vestito in abiti dimessi, direttamente dalla sua fattoria di Rincón del Cerro, a mezz’ora di strada da Montevideo. 

Ha sempre vissuto lì circondato da verdure, dal suo cane a tre zampe Manuela, e dagli animali della fattoria.

Fu in quel rifugio rurale che portò al parossismo la sua militanza per la frugalità.

Eletto Presidente dell’Uruguay  nel 2010, Mujica non si comporta come un Capo di Stato, ma come un vicino di casa con la responsabilità di guidare un Paese. 

Vive nella sua fattoria, guida una Volkswagen Beetle del 1987, coltiva fiori e devolve il 90% del suo stipendio presidenziale a iniziative di solidarietà (disse: “Sarebbe come rubare i soldi al mio Paese in un momento di grave crisi economica”). 

Niente lusso, niente entourage da film. Solo coerenza.

Mentre i leader globali parlano di crescita e competitività, Mujica, nel suo celebre discorso all’ONU del 2013, parlò di felicità, di sobrietà, di tempo. 

Parlò contro l’idolatria del consumo, contro l’economia che divora la vita e la natura, dicendo: “Siamo nati per essere felici, non per essere eterni consumatori”.

E quelle parole, pronunciate con tono pacato e senza retorica, sembrano colpire più di mille slogan elettorali. 

Perché Mujica non ha mai recitato, non ha mai interpretato un ruolo: era quello che diceva.

Politicamente ha avuto il coraggio di legalizzare la marijuana (non per amore dello sballo, ma per togliere ossigeno al narcotraffico), di tutelare i diritti civili, di promuovere l’inclusione, di fare riforme liberali. 

Ma non si è mai rifugiato nel dogma ideologico. 

Ha criticato la sinistra quando ha perso il contatto con il popolo, ha difeso la democrazia come unica alternativa all’odio e alla violenza.

D’altronde Mujica non aveva mai aderito al Socialismo del XXI secolo, proclamato da Hugo Chavez, e sostenuto da Fidel Castro.

Era dunque una pecora nera, leader ascoltato della sinistra latino americana, che «parlava come un filosofo» (Alberto Fernández, ex presidente argentina), ma fuori dagli schemi.  

I suoi ideali erano rivolti alla gente comune, animati da un liberalismo progressista, ma con una critica violenta e costante al consumismo.

A Mujica non interessava né il potere né l’accumulo di ricchezza. 

Finiti i suoi cinque anni di mandato presidenziale, non si è aggrappato alla poltrona. 

Ha lasciato, tornando alla sua vita semplice, coltivando fiori con la moglie Lucía Topolansky, anche lei militante politica e figura di spessore. 

Proprio per questo Mujica mi ricorda un personaggio dell’antica Roma: Lucio Quinzio Cincinnato. Chiamato dai senatori romani a guidare la Repubblica in un momento di grave crisi militare, accettò il potere con riluttanza, lo esercitò con rigore e, una volta risolta l’emergenza, rifiutò ogni onore e tornò al suo podere.

A 89 anni Pepe era tornato a vivere da privato cittadino, eppure rappresentava ancora un punto di riferimento morale. 

Non perché fosse un santo, ma perché era autentico. 

Non ha mai fatto della sua povertà un’esibizione, né della sua storia un santino. 

È semplicemente rimasto fedele a sé stesso.

Pepe Mujica è stato ed era ancora una figura morale, che ricorda che la politica può e deve essere una missione, non una carriera né un trampolino per il potere o per il denaro. 

In un mondo di leader spesso cinici, ambigui o narcisisti, Mujica rappresenta ancora una bussola etica. 

La sua figura è un richiamo forte a una politica sobria, pulita, essenziale, che parte dall’umiltà e si realizza nel servizio.

Capite bene che qui non si tratta di essere di destra o di sinistra, ma in un mondo che premia l’ambizione travestita da efficienza, Mujica è stato la prova che si può fare politica senza tradire i propri ideali, che si può governare senza rinunciare alla propria umanità, che si può essere rivoluzionari senza fucili, ma con la forza delle parole e dell’esempio.

Ecco perché amo definirlo l’ultimo guerrigliero romantico.

Perché ha saputo combattere, perdere, resistere, governare e, cosa rara, andarsene in silenzio, lasciando dietro di sé non un vuoto, ma un esempio.

In un tempo in cui la carriera politica è diventata una professione redditizia, un mestiere da proteggere con ogni mezzo, la figura di Mujica rappresenta una straordinaria anomalia. 

Parlava piano, vestiva dimesso, viveva con poco. 

Eppure, il suo messaggio ha fatto il giro del mondo. In lui c’era qualcosa che abbiamo perduto e che forse, inconsciamente, ancora desideriamo: la credibilità.

La politica, diceva Max Weber, è “la lenta perforazione di tavole dure”. 

Ma oggi più spesso assomiglia ad un teatro narcisistico, dove conta più il protagonismo che il servizio. 

Mujica ha fatto il contrario: ha depotenziato il suo ego, ha sdrammatizzato il ruolo, ha umanizzato il potere. 

Non ha mai voluto ergersi a modello, e proprio per questo lo è diventato.

Certo, l’Uruguay non è l’Italia, né l’Europa. 

Ma gli uomini di valore non si misurano con il PIL o con la superficie geografica. 

Si misurano con la coerenza. 

Mujica, come ho già detto, non è stato un Santo, ma è stato un uomo onesto. 

In un mondo che si sta abituando all’ipocrisia come linguaggio ufficiale della politica, il suo esempio ci ricorda che c’è ancora spazio per la verità.

E forse, nel nostro piccolo, ciascuno di noi dovrebbe chiedersi: siamo disposti a rinunciare a qualcosa per servire una causa più grande? 

O continueremo a illuderci che sia possibile cambiare il mondo senza prima cambiare noi stessi?

Concludendo, mi piace ricordarlo come esempio che oggi, più che mai, ci parla, ricordandoci sempre che è il tempo il nostro bene più prezioso. 

Perché di uomini come Mujica, non solo ne abbiamo bisogno, ma ne sentiremo la nostalgia, anche se non lo sappiamo.

Umberto Baldo

PS: Come dalle sue ultime volontà Pepe Mujica verrà sepolto nella sua fattoria, ai piedi di una sequoia che lui stesso aveva piantato,  accanto i resti della sua cagnolina Manuela.

VIACQUA
MOSTRA BASSANO
Whatsapp Tviweb
VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

Potrebbe interessarti anche:

VIACQUA
MOSTRA BASSANO
VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
CAPITALE CULTURA
UNICHIMICA