Aptuit: gli animalisti fermano la sperimentazione sui Beagle. Stop del TAR. I lavoratori: «Ricerca a rischio»

Come è noto il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha annullato nelle scorse settimane il rinnovo dell’autorizzazione che permetteva all’azienda veronese Aptuit di effettuare esperimenti di tossicologia generale su cani beagle. Una sentenza che la LAV ha accolto come una vittoria storica nella battaglia contro la vivisezione.
Secondo il TAR, i “giustificati motivi di necessità” che il Ministero della Salute aveva addotto per concedere la proroga non risultavano esplicitati in modo sufficiente. Nella motivazione i giudici hanno chiarito che lo sviluppo e la registrazione di nuovi farmaci non possono essere usati come giustificazione automatica per autorizzare test su specie particolarmente protette come il cane.
La LAV ha esultato per la decisione, ribadendo che la priorità resta la tutela degli animali e la promozione di metodi alternativi. «Difenderemo questo importante risultato affinché i beagle siano definitivamente salvi da ulteriori sperimentazioni», ha dichiarato Michela Kuan, responsabile scientifica dell’associazione.
Ma alla soddisfazione degli animalisti si contrappone la preoccupazione di chi lavora quotidianamente all’interno del centro di ricerca. Preoccupazione già espressa poco prima della sentenza con una lunga lettera aperta nella quale i lavoratori di Aptuit hanno voluto replicare al clima ‘distorto’ che si è creato attorno al caso.
Nella missiva, i dipendenti ricordano che da oltre cinquant’anni contribuiscono allo sviluppo di terapie innovative «consapevoli del ruolo cruciale della ricerca nella cura delle malattie». Sottolineano come la sperimentazione animale resti ancora oggi obbligatoria per l’approvazione di nuovi farmaci, secondo normative rigorose e standard etici elevati. «Evotec opera nel pieno rispetto delle leggi nazionali e internazionali, con studi autorizzati dal Ministero della Salute e supervisionati da personale qualificato», scrivono.
Etica e sicurezza, affermano, rappresentano principi fondamentali del loro lavoro. «Senza la ricerca preclinica non sarebbe possibile sviluppare cure per malattie gravi o terapie innovative, anche in ambito veterinario», spiegano, sottolineando al tempo stesso come l’azienda investa da anni nello sviluppo di metodi alternativi, con l’obiettivo di ridurre progressivamente l’uso di animali.
La parte più accorata della lettera riguarda il modo in cui la loro attività viene raccontata all’opinione pubblica. «Ci ferisce il clima mediatico ostile e le narrazioni distorte che descrivono il nostro lavoro con termini sensazionalistici e fuorvianti», scrivono, lamentando di essere rappresentati come «fautori di pratiche obsolete». Una descrizione che, a loro avviso, mina la fiducia nella scienza e rischia di compromettere la stessa possibilità di fare ricerca in Italia.
Il timore, infatti, è che questa visione ideologica possa scoraggiare i giovani talenti e indebolire la competitività del Paese in un settore strategico come quello biomedico. «Possiamo davvero permettere che l’Italia rinunci alla ricerca, mettendo a rischio la possibilità di sviluppare terapie innovative nel nostro Paese? Possiamo accettare che i pazienti italiani siano esclusi da percorsi terapeutici all’avanguardia, solo perché la ricerca non è più messa in condizione di esistere?», domandano i firmatari.
Nella lettera i lavoratori rivendicano anche una scelta personale e professionale: quella di rimanere in Italia, nonostante le difficoltà, perché credono «nel valore sociale del proprio lavoro». «Vogliamo essere riconosciuti per ciò che siamo: ricercatori al servizio della salute, impegnati a dare nuove speranze a chi ancora non ha una cura».
Infine, l’appello diretto alle istituzioni e alla stampa: «Chiediamo ascolto e un dialogo costruttivo, basato su dati reali. La scienza ha bisogno di confronto e trasparenza, non di slogan».
Tra la soddisfazione della LAV per il salvataggio dei beagle e l’allarme di Aptuit sul futuro della ricerca, la parola passa ora alla politica, chiamata a trovare un equilibrio tra la tutela degli animali e il sostegno a una ricerca scientifica che i lavoratori rivendicano come «rigorosa e responsabile».













