Quando la disco era in centro a Vicenza… C’era una volta il Quattro (o LP)

di Alessandro Cammarano
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Contrà Riale oggi è un angolo silenzioso del centro storico, dove il rumore più forte è quello dei passi dei passanti e degli studenti che frequentano la Bertoliana, ma negli anni Ottanta, tra quei vicoli stretti e pavimentati di memoria, pulsava il battito giovane e frizzante del Quattro Club, nato come LP e diventato nel tempo uno degli epicentri più autentici della gioventù vicentina.
Una microdiscoteca, sì, ma dal cuore grande: capace di accogliere, far crescere e accompagnare una generazione intera attraverso il rito collettivo del sabato pomeriggio.
Qui, tra vinili e luci stroboscopiche, si consumava una trasgressione ancora innocente, quella di chi scopriva sé stesso ballando, sbagliando, innamorandosi per la prima volta. Niente alcolici, piccoli drammi da diario segreto e canzoni che, nel tempo, sono diventate madeleine sonore per chi allora aveva 14 o 18 anni.
In quel contesto così vivo e sincero ha mosso i primi passi anche Roberto Boribello, oggi noto al grande pubblico come “Borillo”, metà dello storico duo dance Los Locos.
All’inizio degli anni Ottanta, per lui e per molti altri, la consolle del Quattro non era solo una postazione, era un banco di prova, un’officina dove sperimentare, ascoltare, sbagliare e imparare.
«La postazione del dj era molto sacrificata – racconta – e io che sono abbastanza alto facevo fatica a starci dentro. Ma è lì che ho imparato a capire il pubblico, a leggere le emozioni e a costruire una serata a colpi di dischi.»
Quel cubo stretto e pieno di cavi fu il punto di partenza di una carriera che avrebbe portato Borillo a calcare palchi ben più grandi, ma nessuno così formativo e autentico.
Nel ricordo collettivo, il sabato al Quattro non era solo un appuntamento settimanale, ma una liturgia.
Si entrava grazie a inviti‑riduzione distribuiti furtivamente davanti a scuola, ci si dava appuntamento con una telefonata vagamente “carbonara” da casa, o da una chiamata dal telefono a gettoni di una cabina e si arrivava alla porta già con il cuore che batteva forte. Niente social, niente chat: solo attese e adrenalina.
Un cronista dell’epoca lo descrisse così: «Particolarmente “trasgressivo” e maledettamente provvidenziale il passaggio in discoteca». Perché al Quattro si diventava grandi nel modo più genuino: osservando, danzando, immaginando.
In sottofondo, le hit di Dan Harrow, Gazebo, Baltimora, Righeira e Tracey Spencer. In primo piano, sguardi rubati, batticuori improvvisi, conversazioni su divanetti imbottiti spesso pronubi alle prime “limonata”.
Era magia pura: bastava una traccia e lo sguardo di un ragazzo o di una ragazza che ti sorrideva dalla pista per sentire il mondo muoversi.
E infine il corollario: una serata al Quattro non finiva con l’ultima canzone: continuava in pizzeria, ai Due Mori per chi voleva sentirsi elegante, al Vesuvio per chi cercava autenticità. E poi a casa, rigorosamente prima delle 21:30.
Il lunedì, in centro o davanti a scuola, si riviveva ogni dettaglio: chi aveva ballato con chi, quale brano aveva fatto scatenare di più, chi aveva avuto il coraggio di fare il primo passo.
Il Quattro Club non era l’unico protagonista di quella stagione straordinaria. Faceva parte di una geografia sentimentale fatta di locali e spazi notturni che oggi suonano come nomi mitologici: Miralago, Elle et Lui, Palladium, Boom, Shangai… ognuno con la sua identità, il suo pubblico, la sua musica. Ma il Quattro aveva qualcosa di speciale: era il ponte tra l’infanzia e l’età adulta, il luogo dove si cominciava a respirare la libertà senza ancora doverla pagare a caro prezzo.
I sogni però finiscono econ l’arrivo degli anni Novanta, il Quattro cambiò pelle; da microdiscoteca divenne piano-bar per poi essere chiuso definitivamente.
La musica si spense, i ragazzi crebbero, ma l’eco di quei sabati pomeriggio non è mai scomparsa del tutto. Oggi, tra i muri di Contrà Riale, c’è silenzio, ma è un silenzio che sa di storia.
Il Quattro Club è stato molto più di un locale. È stato un microcosmo, un catalizzatore di emozioni e di formazione, un luogo dove si è imparato a ballare, certo, ma anche a parlare, ad amare, a sognare, dove un pomeriggio poteva cambiare tutto, dove bastava un vinile, un invito, un’aranciata per sentirsi grandi.
Oggi quegli spazi non ci sono più, ma il loro spirito continua a vivere nei ricordi di chi c’era e nei racconti che ancora oggi, tra un caffè e una passeggiata, affiorano con il sorriso di chi sa di aver vissuto un tempo irripetibile e, forse, proprio per questo indimenticabile.