7 Marzo 2025 - 9.42

Ma quale elettrico?  E’ l’usato a dominare il mercato italiano dell’auto

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Umberto Baldo

Chi ha una polizza RCA comprensiva anche della copertura per il furto, che come noto prevede venga fissato il “valore” del mezzo, sa bene che il capitale assicurato cala anno dopo anno per la naturale perdita di valore dell’auto.

Il costo del veicolo ai fini assicurativi viene dedotto da apposite tabelle  che riportano la quotazione sul mercato dell’usato di quel particolare modello  di auto, in relazione alla sua vetustà. 

Bene, negli ultimi tre anni ad ogni rinnovo della polizza il valore “di mercato” della mia auto per la Compagnia di Assicurazione non ha subito alcun deprezzamento (e quindi non è calato neanche il costo della copertura). 

In altri tempi la cosa sarebbe stata semplicemente “impossibile”, perché illogica, ma l’assicuratore mi ha spiegato che il mercato dell’usato negli ultimi anni ha subito un vero e proprio “boom”, e di conseguenza i prezzi delle auto non sono più calati. 

Sia chiaro che non ho scoperto l’acqua calda; per acquistare una vettura nuova, nel 2023 una famiglia doveva spendere in media 7,7 redditi netti medi mensili, rispetto ai 4,7 di 20 anni fa. Per l’elettrico la media era di 12,8 mensilità. 

Dal 2003 al 2023 i prezzi delle auto nuove sono raddoppiati, mettendo di fatto “fuori mercato” il ceto medio basso, che inevitabilmente è stato costretto a rivolgersi all’usato.

Su un mercato in queste condizioni si sta abbattendo l’uragano Trump, che ha previsto dazi del 25% a Canada e Messico, del 20% alla Cina, e da aprile anche alla Ue,  al Giappone ed dalla Corea del Sud.

Da segnalare che, solo relativamente ai dazi sulle auto, Donald Trump avrebbe  concesso a Canada e Messico la proroga di un altro mese (fino al 2 aprile).  Ma ciò non cambia il problema.

Questa politica protezionistica del Tycoon ha gettato nel panico l’industria dell’auto mondiale, compresi anche i costruttori Usa, come Gm e Ford, che operano in Messico  giusto da un secolo,  e Stellantis  che ha in Messico sette fabbriche fra produzione e componentistica, e sei in Canada.

Ma se i dazi dovessero essere imposti urbi et orbi, a pagarne le spese saranno anche Volkswagen e Hyundai-Kia, oggi i maggiori importatori di veicoli negli Usa (quota d’import rispettivamente dell’80% e del 65% per Global Data)  nonostante entrambi abbiano anche proprie fabbriche nel Paese.

Mazzate anche per la Cina, le cui auto sono già gravate da tempo da dazi del 100%, cui se n’è aggiunto ora un altro 10%.

Credo capiate che si tratta di una svolta epocale; decenni di dazi a zero avevano favorito la delocalizzazione di buona parte della produzione di auto dagli Stati Uniti ai paesi confinanti. 

Una situazione che ora Trump vuole cambiare per riportare le fabbriche negli Usa; ma non è detto che sia così facile in tempi rapidi.

Tanto per avere un’idea: Bmw produce negli Stati Uniti solo il 42% dei propri veicoli commercializzati negli States,  Ford il 78,3%, GM il 47,3%, Honda il 58,9%, Hyundai il 38,4%, Mazda il 20,3%, Mercedes il 36,5%, Nissan il 45,6%, Stellantis il 68,2%, Toyota il 44,1%, Volkswagen il 44,1%.

E’ chiaro che quello che manca per arrivare al 100% è prodotto in Messico e Canada, o altrove in Europa e in Asia.  

Ad aggravare il quadro c’è anche il processo produttivo, che prevede quasi sempre un avanti e indietro fra Messico, Canada e Usa e viceversa; nel senso che le varie fasi di assemblaggio di un’auto sono realizzate in sequenza in Paesi diversi (una Mustang, tanto par fare un esempio, fa  7 volte avanti e indietro fra Messico e Usa).

Cosa succederà con i dazi?  Pagherà il dazio ad ogni passaggio, quindi 7 volte?

Di una cosa tutti gli interessati sono concordi; un dazio del 25%, farà aumentare in modo significativo i costi di produzione, e si ripercuoterà inevitabilmente sui prezzi di vendita.

Un’analisi dell’Anderson Economic Group stima che i crossover più piccoli potrebbero subire un aumento dei prezzi di almeno 4.000 dollari, mentre i SUV e i camion più grandi potrebbero subire un balzo di 9.000 dollari. 

I veicoli elettrici, tuttavia, sono destinati a essere colpiti più duramente, con aumenti medi dei prezzi che potrebbero raggiungere i 12.000 dollari. 

Ovviamente i costruttori si preparano a difendersi, mettendo mano al portafoglio, e chiedendo aiuto ai propri governi nazionali, a Bruxelles per quanto riguarda gli europei.   Audi, che ha appena chiuso una fabbrica in Belgio, farà sapere a breve in quale Stato costruirà il suo primo stabilimento statunitense, Mercedes aumenterà la produzione nel suo sito in Alabama. I giapponesi di Nissan, Toyota e Honda hanno dato mandato al loro ministro dell’industria affinché tratti per loro a Washington, e così hanno fatto i costruttori della Corea del Sud.

Credo sia inutile dire che questo vero e proprio terremoto provocherà un aumento dei prezzi delle auto  nuove anche sul mercato italiano (Federcarrozzieri, l’associazione delle autocarrozzerie italiane, stima un incremento di circa 3.000 euro).

Di macchine elettriche se ne vendono pochissime, ma anche le termiche non stanno certo andando alla grande, e questo calo generalizzato delle immatricolazioni è dovuto sia ai prezzi esagerati, che alla diminuita capacità di spesa degli italiani.

Naturale che ciò spinga i consumatori verso l’usato, come accennato un mercato già in forte espansione negli ultimi anni.

Detta in altre parole, il boom dell’usato è legato alla crisi del mercato delle auto nuove: sono storicamente due mercati interconnessi in quanto dipendono dalla capacità di spesa dei consumatori. Quando le automobili nuove vanno bene, quelle usate diminuiscono. Quando invece le vendite di automobili nuove calano, come oggi, le auto usate salgono.

Ma per arrivare a questa situazione le Case automobilistiche ci hanno messo anche del loro.

Mi spiego meglio.  Il mercato italiano è sempre stato caratterizzato da una forte presenza di auto piccole e poco costose,  le cosiddette utilitarie, che poco a poco i costruttori hanno cancellato dai listini.

Il motivo è semplice; puntando su modelli più grandi e più costosi i loro margini sono aumentati, e pur con meno auto prodotte hanno comunque salvaguardato i bilanci.

Ma il giochino alla fine si è inceppato, e adesso i dazi di Trump rappresentano una sorta di botta finale.

Ecco perché la clausola furto e incendio della mia polizza da tre anni a questa parte non ha più registrato il consueto calo annuale.  

Perché la gente, con pochi soldi in tasca, compra auto usate; e tanto per dire oltre la metà dei passaggi di proprietà avvenuti l’anno scorso ha riguardato macchine con più di dieci anni di età. 

Ciò ha una diretta conseguenza  sull’età media del parco auto circolante, che nel 2010 era di 8 anni, e che oggi si aggira sui 12 anni.

Con buona pace dei deliri degli ecologisti, perché paradossalmente mentre la Ue punta  al tutto elettrico, le nostre strade si riempiono di veicoli sempre più obsoleti, e inevitabilmente più inquinanti.

D’altronde gli stipendi e le pensioni non hanno certo seguito la dinamica dei prezzi, e se nel 2019 il prezzo medio di un’automobile in Italia era di 18 mila euro, oggi sfiora i 30 mila, e non è che i soldi gli italiani li trovino sugli alberi.

E con i dazi il costo delle auto aumenterà ancora.

Oltre a tutto non è che i finanziamenti offerti dalle Finanziarie delle Case automobilistiche siano poi così convenienti; provate a guardare bene Tag e  Taeg!

Non so quale potrà essere la via d’uscita da questo cul de sac, che vede il consumatore costretto a scegliere fra comprare usato o  rinunciare all’auto.

Però osservo che il sogno che fu di Henry Ford, quello di dare un’auto a tutti, sia sta progressivamente ridimensionando.

Umberto Baldo

PS: Anche su questo tema l’Europa, che con i suoi 450 milioni di abitanti rappresenta il mercato più florido al mondo per gli Stati Uniti, deve essere consapevole che ha le sue carte da giocare. Ad una condizione. Deve presentarsi unita di fronte a Trump. Non ha senso che i singoli capi di governo o di Stato europei si presentino da lui per condurre trattative singole. Nessuno da solo ha la forza di trattare da pari a pari.

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