La corruzione in politica è ineluttabile? La corruzione in politica è ineluttabile?

Umberto Baldo
L’arresto del Sindaco di Sorrento con l’accusa di intascare “mazzette”, da parte della Procura di Torre Annunziata, non è che uno dei tanti episodi di presunta corruzione che contribuiscono ad inquinare la nostra vita politica. Nulla di nuovo; queste storiacce alla fine si assomigliano tutte, e fra qualche tempo ne conosceremo l’epilogo processuale. Alla fine ci si abitua, come al sole o al paesaggio, e purtroppo si finisce per indignarsi sempre un po’ di meno.
Ma ciò non toglie che resti sul tappeto la domanda: ma politica e corruzione devono necessariamente convivere?
Inutile girarci attorno o fare le vergini violate: la storia dell’umanità è anche la storia della corruzione.
Da quando esiste il potere, c’è chi cerca di usarlo per interesse personale.
La politica, che dovrebbe essere l’arte di governare per il bene comune, è spesso diventata teatro di giochi sporchi, scambi occulti, favori, clientele, tangenti.
In molte epoche, la corruzione non è stata vista come un’eccezione, bensì come modalità abituale del fare politica.
Basta leggere la storia: dalla Roma repubblicana, dove i senatori compravano voti e incarichi pubblici, alle corti medievali infestate da simonie e favoritismi, fino alle democrazie moderne, dove la corruzione assume forme più sofisticate: lobbismo opaco, finanziamenti illeciti, porte girevoli tra politica e affari.
I pochi che tentano di restare incorruttibili spesso la pagano cara.
Robespierre, simbolo di intransigenza rivoluzionaria, finì ghigliottinato; Catone il Giovane si tolse la vita pur di non accettare la tirannide di Cesare. Anche nel Novecento, figure come Aldo Moro o Enrico Berlinguer – pur su fronti opposti – furono uomini “scomodi” in un sistema che preferiva l’opacità,il clientelismo, il nepotismo, l’acquisto del consenso, l’arricchimento personale.
A rigor di logica la corruzione non è connaturale all’idea di politica, che in teoria dovrebbe essere servizio alla polis, cioè alla comunità.
Ma è connaturale alla pratica del potere.
Chi fa politica, inevitabilmente gestisce potere, e il potere – per usare le parole di Lord Acton – tende a corrompere.
Ma attenzione: non è detto che ogni politico si corrompa.
Piuttosto, è il sistema di potere che crea continuamente occasioni di corruzione.
Ed è su questo punto che possiamo dire che la corruzione tende ad annidarsi nella politica, non per destino biologico, ma per meccanica sistemica.
Ecco perché, mi ripeto, i “puri” – come Robespierre, Catone l’Uticense, o perfino Aldo Moro nel suo tragico epilogo, sembrano fuori posto in un contesto dove le relazioni, i compromessi, le transazioni spesso prevalgono sui principi.
La loro intransigenza diventa un problema per il sistema stesso, che non tollera chi non si piega alle sue logiche.
Il destino degli incorruttibili non è tragico per natura, ma per incompatibilità con il cinismo della macchina politica.
Vedete che alla fine continuiamo a girare attorno alla stessa domanda: dunque la corruzione è inevitabile?
In teoria no, madiciamoci la verità: ogni volta che un politico parla di etica, ci viene da ridere. Forse per sfiducia, forse per esperienza.
Perché la storia e la cronaca ci insegnano che la corruzione è il sottofondo costante del potere (Sorrento è solo l’ultimo caso ad essere stato scoperto, ma chissà quante mazzette stanno passando di mano anche in questo momento, di cui non si verrà mai a sapere nulla).
Non voglio che ci cospargiamo inutilmente il capo di cenere.
Alla mia età lo so bene che il problema non è solo italiano, che la corruzione è ovunque ci siano poltrone da spartire, appalti da truccare, favori da restituire.
Solo che noi abbiamo una lunga tradizione, dai tempi dei Comuni medievali fino a Tangentopoli, passando per le Mafie ed i Sottogoverni.
In questi giorni leggo che il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina suscita fondate preoccupazioni riguardanti l’infiltrazione mafiosa e la corruzione. Gran parte degli studiosi e dei magistrati antimafia ritiene che l’opera in questione possa attrarre interessi mafiosi e comportare ritardi e corruzione, come già accaduto in passato con altre grandi opere pubbliche in Italia.
Detta in altre parole, per questi esperti il ponte costituirebbe una vera e propria “manna” per Mafia, Ndrangheta, anche in considerazione che le grandi opere rappresentano da sempre un ambito privilegiato per l’operatività delle organizzazioni mafiose contemporanee.
Oltre a tutto l’opera verrebbe realizzata in un ambiente sociale e culturale in cui l’illegalità e l’impunità dei colletti bianchi predominano.
Se dovessi esprimere la mia opinione, che non vale nulla ovviamente, direi che l’intromissione di Cosa Nostra e ‘Ndrangheta sono una certezza matematica, e provocherà fenomeni di corruzione, ritardi, incrementi dei costi, e violazioni delle normative sulla sicurezza.
D’altro canto basta ripensare ad un’opera costruita in un ambiente che almeno sulla carta avrebbe dovuto avere una minore presenza delle mafie sul territorio: e parlo del Veneto e del MOSE, il sistema di barriere idrauliche, progettato per proteggere la laguna di Venezia da possibili fenomeni di esondazione.
Ebbene anche nel nostro Veneto le infiltrazioni corruttive ci sono state; hanno alimentato tangenti nell’ordine del miliardo di euro, portando il prezzo finale dell’opera ad oltre sei miliardi sui circa due miliardi inizialmente previsti.
Badate bene che la corruzione non sempre si presenta in bustarelle o valigette.
A volte è più sottile: è il favore scambiato, la tolleranza reciproca, la pax del silenzio.
Chi si oppone, rompe gli equilibri, e chi rompe gli equilibri, viene isolato.
Ma senza quei “rompiscatole”, la democrazia diventa un condominio di furbi.
Ma allora che si fa? Si blocca tutto per evitare le mazzette?
No, sarebbe sbagliato perché a mio avviso non è tutto perduto.
I politici onesti esistono.
Ma non possono farcela da soli.
Serve una società civile che non si venda per una raccomandazione o una scorciatoia.
Serve una stampa libera, una giustizia che non venga delegittimata ogni volta che tocca i potenti, e cittadini che votino con la testa e non con la pancia.
La corruzione non è un destino, ma una scelta collettiva.
Tollerarla è complicità, combatterla è fatica, ma è l’unico modo per non arrenderci all’idea che il potere debba sempre puzzare.
Forse la vera domanda è: quanto siamo disposti, come cittadini, a tollerarla?
Perché in fondo, ogni sistema politico ha la corruzione che il suo popolo accetta.
E forse anche questo spiega perché i Robespierre, i Catoni, i Moro, finiscono male: perché fanno da specchio ad una società che preferisce non guardarsi dentro.
Umberto Baldo