10 Marzo 2020 - 9.24

Giovani e meno giovani: tutti insieme contro il coronavirus

Negli ultimi decenni l’Italia è invecchiata rapidamente.  Oggi oltre la metà degli italiani ha più di 45 anni, ed oltre un quarto è over 65.
Questo fa della nostra penisola il Paese più vecchio d’Europa, con un’età media di 44,7 anni.
Non è questo l’ambito per discettare di andamenti demografici, e ci limitiamo ad osservare che fino ad ora il problema veniva sollevato relativamente alle politiche di welfare e del lavoro. Nel senso che i giovani fanno fatica  a trovare occupazione, ed ogni caso devono farsi carico delle pensioni dei loro genitori e dei loro nonni, senza sapere se, quando verrà il loro turno, quella pensione ci sarà anche per loro.
Ma l’irrompere dell’epidemia da coronavirus aggiunge un elemento in più al confronto fra generazioni.
Confronto che è sempre esistito.  Da sempre i vecchi hanno manifestato le loro “perplessità” sui comportamenti giovanili. Il primo brontolone della storia è Aristotele, che nella sua Retorica (IV secolo a.C.) dedica una piccola parte al tema della giovinezza: «I giovani sono magnanimi; poiché non sono ancora stati umiliati dalla vita, anzi sono inesperti delle ineluttabilità, e il ritenersi degni di grandi cose è magnanimità: e ciò è proprio di chi è facile a sperare (…). Essi credono di sapere tutto e si ostinano al proposito; questa è appunto la causa del loro eccesso in tutto».
Ma nel I secolo a.C., Orazio borbotta: «Questa gioventù di sbarbati … non prevede ciò che è utile, sperperando i suoi soldi».
Ed ancora nel 1925 in un articolo si scriveva : «Sfidiamo chiunque tenga gli occhi bene aperti a negare che vi sia, come mai prima, un’attitudine da parte dei giovani a comportarsi in modo grossolano, sprezzante, rude e assolutamente egoista». E nel 1936: «Probabilmente non c’è un periodo nella storia in cui i giovani abbiano dato una tale enfasi alla tendenza a rifiutare ciò che è vecchio e desiderare ciò che è nuovo”.
L’ho presa alla lontana, per sgombrare il campo dalla narrazione più comune, che vuole i giovani naturalmente in contrapposizione, o in contestazione, con i più anziani, ai miei tempi giovanili etichettati con il brutto termine di “matusa”.
Venendo all’oggi, il decreto per il contrasto all’epidemia di coronavirus ha imposto notevoli limitazioni alle normali abitudini di vita di noi italiani. In zona rossa ad esempio è vietato spostarsi, e penalmente sanzionato, anche dal proprio comune ad uno limitrofo senza comprovate esigenze di lavoro o di salute.
Al di là delle singole prescrizioni, dalla limitazione dell’orario di apertura dei bar, alla chiusura di numerosi luoghi di aggregazione per citarne solo due, il messaggio che le Autorità politiche e sanitarie stanno faticosamente cercando di  veicolare è semplicemente un bel “state a casa”.
Inutile soffermarsi sui tecnicismi delle modalità di contagio, ma va detto che il nuovo tipo di coronavirus non viaggia nell’aria, non galleggia nell’acqua, e non staziona a lungo sugli oggetti.
Di conseguenza la trasmissione avviene solo fra “umani”, principalmente con le goccioline di saliva espulse con gli starnuti od i colpi di tosse, o con contatti stretti con un infetto.
Ne deriva che la regola principale da rispettare è di una semplicità disarmante; “se non potete stare in casa, almeno mantenete dagli altri una distanza minima di sicurezza di almeno un metro”.  A dire la verità ci è stato detto che la distanza ottimale sarebbe di cm 187, ma un metro sembra più che sufficiente per ridurre il rischio di contagiarsi.
Ma se questa è la regola, perchè anche dopo il Decreto del Governo vediamo che la stessa viene “allegramente” non considerata, e quindi violata, da molti italiani, ma soprattutto dai giovani?
A meno di non voler incasellare questi comportamenti nelle abusate categorie del conflitto fra generazioni, ci dev’essere qualcosa d’altro che spinge i nostri ragazzi a “fregarsene” delle nuove regole.
Come spiegare che sabato 7 marzo, quando il testo del decreto era già noto per la fuga di notizie, nella zona dei Navigli a Milano c’era una specie di gigantesco happening con migliaia di giovani appiccicati gli uni agli altri in spazi ristretti, fra baci abbracci e selfie con il bicchiere in mano?
Ma queste scene di “incontri di massa di giovani” si è replicata in buona parte delle città italiane anche domenica sera, come documentano gli ormai immancabili video sui social.
E le cronache riportano anche di reazioni scomposte ed insulti rivolti a chi faceva loro notare l’inopportunità e l’irresponsabilità di questi comportamenti, alla luce della gravità della situazione.
Ma questi non sono atteggiamenti tipici solo dei grandi agglomerati urbani. Nel mio paese mi è capitato di vedere un ragazzo ed una ragazza baciarsi su una banchina come se non ci fosse un domani, tanto che mi era venuto da suggerire al maschietto “Tientene anca par doman!”.  E ancora nei bar gruppi di adolescenti stretti attorno ad un video, a distanza di pochi centimetri, nonostante gli  avvisi affissi dei gestori di tenere la distanza di sicurezza.
L’impressione è che i giovani non intendano cambiare lo stile di vita cosi come suggerito dal Governo, e sembrano quasi slegati da qualsiasi azione di prevenzione.
Ma se non è una riedizione del conflitto generazionale che contrappone i figli ed i nipoti ai padri ed ai nonni, di cosa si tratta?
Oltre a tutto la chiusura delle scuole ha fatto venire meno il ruolo dei docenti, che potevano trasformarsi in testimonial di informazioni veritiere o comunque scientificamente approvate.
Intendiamoci, non è facile tenere in riga ragazzi “forzatamente in vacanza”, che vedono questa come un ‘opportunità di svago e di rapporti interpersonali più liberi dagli obblighi quotidiani; specialmente se i genitori sono al lavoro.
Oltre a tutto potrebbe essere passato fra i giovani il messaggio di essere meno esposti al contagio, e che a rischiare la vita sono solo i vecchi ultrasessantenni.
E quindi, chissenefrega!  Via con baci, abbracci, scambi di bicchieri, selfie!
A nulla sembrano serviti i reiterati allarmi che il rischio di contrarre l’infezione è trasversale ad ogni età, e che una volta infettati, anche se magari non si mostrano sintomi significativi, c’è il rischio di contagiare con gravi conseguenze genitori e nonni, categorie più fragili e a rischio vita.
A meno di non voler pensare ad un generale imbarbarimento dei rapporti inter generazionali, io credo che potrebbe trattarsi di un problema di comunicazione.
Nel senso che per la parte più adulta od anziana della popolazione il messaggio è arrivato chiaro dallo tsunami televisivo di questi giorni, ed oltre a tutto una persona attempata da un lato è più portato per educazione ad allinearsi alle regole, dall’altro ha meno voglia e meno opportunità di frequentare “movide” o  luoghi affollati.
Per i giovani il canale informativo privilegiato è la Rete, che fra l’altro è il terreno fertile in cui montano le fake news, in cui si generano notizie incontrollabili che il più delle volte sono l’unica fonte su cui si formano le  loro opinioni ed i loro convincimenti.   
E quindi, a mio avviso, le Istituzioni dovrebbero porsi il problema di come utilizzare Internet per incanalare una informazione corretta, e mirata a fare penetrare fra i giovani la percezione che non si sta scherzando, che non si sta esagerando, che i rischi non sono solo per i “vecchi”, ma anche per loro.
Facendo loro capire ad esempio che se non si riuscisse a fermare il contagio, in breve si saturerebbero i posti in terapia intensiva od in rianimazione, con il rischio di non poter essere più in grado di fornire interventi e cure adeguate anche ai giovani, qualora fossero vittime di un grave incidente in motorino o in auto.
Io sono sempre fiducioso nei giovani, perchè costituiscono il nostro futuro, e sono disposto a dare loro fiducia anche quando si contrappongono ai valori di noi più anziani.
Ma devo  constatare che in questo grave passaggio per il nostro Paese stiamo assistendo purtroppo ad una generazione che sta dimostrando scarsa responsabilità sociale.
La vita civile in una democrazia è fatta sì di diritti, ma anche di doveri, e fra questi c’è senza dubbio il rispetto degli altri, con le loro fragilità.
Per gli scontri generazionali ci sarà tempo più avanti.
Adesso c’è una battaglia da vincere, e questo deve essere l’unico obiettivo comune di tutti, giovani e meno giovani.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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UNICHIMICA

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